Numero 7 del 2022
Titolo: Attualità
Autore: a cura di Vincenzo Massa
Articolo:
Estero
27 marzo, Istanbul
I primi progressi verso un possibile accordo di pace dopo 34 giorni di guerra in Ucraina vengono da Istanbul: grazie alla mediazione turca, i colloqui in presenza sul Bosforo hanno permesso «due passi da gigante» da parte della Russia, impegnata a ridurre drasticamente le sue attività militari a Kiev e anche a Chernihiv e a prevedere un vertice nel caso si giunga a un accordo. Usa e Regno Unito hanno espresso qualche prudente perplessità e preferiscono verificare che gli impegni di Mosca si trasformino in fatti concreti, ma i mercati hanno reagito in maniera positiva, anche se i negoziatori russi hanno detto che questo impegno non equivale a un cessate il fuoco e che «la strada è ancora lunga» per arrivare a un trattato accettabile reciprocamente. Il governo britannico ha confermato, tramite il portavoce di Downing Street, che i russi hanno ridotto i bombardamenti intorno a Kiev «soprattutto perché le forze ucraine hanno respinto i russi con successo a nord ovest della capitale». Nella conversazione di oggi, i leader di Usa, Gb, Francia, Germania, Italia hanno affermato la loro determinazione a continuare ad alzare i costi sulla Russia così come a continuare a fornire all'Ucraina assistenza di sicurezza per difendersi da questa aggressione «ingiustificata e non provocata». Lo ha riferito la Casa Bianca. L'Ucraina ha detto che accetterà uno status di neutralità se ci sarà un «accordo internazionale» per garantire la sua sicurezza: i possibili candidati al ruolo di «Paesi garanti» sono Polonia, Israele, Turchia e Canada. Zelensky è tornato sulla questione che riguarda le sanzioni contro Mosca. La fine di quest'ultime può essere ipotizzata «solo dopo che la guerra sarà finita». In un video diffuso dopo i colloqui di oggi fra Russia e Ucraina, il presidente ucraino ha comunque ammesso la registrazione di qualche progresso che lui stesso ha definito «positivo». Il costo per far ripartire il Paese, una volta terminato il conflitto, sarà pari al 10% del Pil secondo le stime del Fmi. Da un sondaggio emerge che il 90% degli ucraini vuole che la Russia risarcisca i danni.
2 aprile, Sri Lanka
Sale la tensione nello Sri Lanka dopo la proclamazione dello stato d'emergenza e del coprifuoco per contenere le proteste di massa suscitate dalla grave crisi economica. Sfidando le autorità, decine di deputati delle forze di opposizione si sono riversate nelle strade della capitale per affluire davanti alla residenza del loro leader Sajith Premadasa, da dove hanno dato vita a un corteo. I manifestanti sono stati bloccati da militari e poliziotti armati di fucili. In precedenza, per soffocare le proteste era scattato anche il blocco dei social network in base ai poteri straordinari conferiti alle autorità dallo stato d'emergenza. Lo Sri Lanka è sull'orlo del baratro per la peggior crisi economica degli ultimi decenni causata dal calo vertiginoso, del 70%, di valuta straniera nelle casse dello Stato, impedendo alle autorità di importare beni di prima necessità, dai farmaci al cibo, dal carburante al cemento, e di rimborsare un gravoso debito estero. I suoi 22 milioni di abitanti sono allo stremo delle forze per il rincaro dei prezzi, conseguenza diretta della costante diminuzione dei prodotti disponibili sul mercato, costretti a lunghe code per acquistare quei pochi beni essenziali ancora in vendita e razionati, oltre a dover sperimentare black-out fino a 10 ore al giorno. Sono settimane ormai che nella capitale in tutta l'isola si ripetono le stesse scene di vita quotidiana, fatta di privazioni, ore di code ai mercati, supermercati, benzinai e farmacie, sotto la sorveglianza delle forze armate che temono sommosse della fame. La situazione è notevolmente peggiorata nei giorni scorsi: nella capitale i mezzi di trasporto pubblici sono fermi per la carenza di carburante, diversi ospedali hanno dovuto bloccare gli interventi chirurgici ordinari a causa dei black-out e della penuria di farmaci e forniture sanitarie. La crisi in atto viene valutata come il risultato della cattiva gestione delle finanze pubbliche e dei tagli fiscali intempestivi operati dal governo oltre all'impatto della pandemia di Covid-19. Anche la guerra in Ucraina non ha aiutato: i costi del carburante sono aumentati del 40% in una settimana. Per giunta lo Sri Lanka, uscito soltanto nel 2009 da decenni di guerra civile, è stato colpito da una serie di eventi strazianti. L'agricoltura ha subito una disastrosa siccità nel 2016, il turismo è stato spazzato via dagli attacchi islamisti della domenica di Pasqua del 2019, uccidendo almeno 279 persone, poi il Covid-19 ha prosciugato le rimesse dei cittadini che vivono all'estero. Il turismo e la diaspora sono due fonti vitali di valuta estera necessarie per pagare le importazioni e rimborsare il gravoso debito estero.
3 aprile, Kiev
Dopo le immagini dei palazzi sventrati dai missili, di donne e bambini in fuga sotto i colpi dell'artiglieria e dei cecchini e di città rase al suolo, le notizie di esecuzioni sommarie e fosse comuni provenienti dai territori riconquistati dalle forze ucraine intorno a Kiev sconvolgono l'Occidente. E rilanciano l'ipotesi di nuove, più incisive sanzioni anche energetiche contro la Russia di Vladimir Putin - che nega la responsabilità di quanto accaduto - rafforzando allo stesso tempo la volontà di portare i responsabili di questi crimini di guerra davanti alla giustizia internazionale, come anche l'Onu ora ritiene necessario. «La Russia sta compiendo un genocidio per spazzare via l'intera nazione Ucraina», ha denunciato il presidente Volodomyr Zelensky dopo che il suo ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, aveva parlato di un «massacro deliberato» compiuto dall'esercito russo a Bucha, località a circa 60 chilometri a nord-ovest di Kiev. Finora sono stati recuperati 410 corpi. Un massacro che riporta alla memoria quello avvenuto più di 25 anni fa a Srebrenica, dove le forze serbo-bosniache (e filo russe), trucidarono migliaia di musulmani. Davanti alle notizie delle atrocità avvenute a Bucha - che Mosca attribuisce a una montatura organizzata da Kiev con foto truccate - la condanna dell'Occidente è stata durissima e unanime.
4 aprile, Serbia
Un trionfo annunciato. È quello di Aleksanadr Vucic in Serbia, dove si è votato in contemporanea per le parlamentari anticipate, le presidenziali e le amministrative in 14 Comuni, compresa la capitale Belgrado. «Pace. Stabilità. Vucic»: è stato questo lo slogan della campagna elettorale del presidente uscente, svoltasi all'ombra della guerra in Ucraina e con gli alti e bassi della pandemia indebolita ma non ancora debellata. Una campagna che aveva inizialmente come temi dominanti la lotta a corruzione e criminalità, il rafforzamento dei diritti democratici e la difesa dell'ambiente, temi che sono rimasti ai margini, sopraffatti dall'incombere della guerra e dal posizionamento della Serbia sul conflitto armato nell'Ucraina non così lontana. E le nuove tensioni emerse con l'intervento armato russo, insieme ai timori per il possibile estendersi di instabilità e minacce anche ai Balcani, hanno dato ulteriore motivazione e slancio alla campagna di Vucic che, oltre a martellare sui grandi risultati economici e di modernizzazione del Paese ottenuti dalla sua gestione negli ultimi dieci anni, si è posto come l'unico e vero leader politico in grado di mantenere la barra dritta e garantire pace e stabilità non solo alla Serbia ma all'intera regione. La guerra tuttavia ha posto la Serbia, e Vucic in primis, in una posizione scomoda nei confronti dell'Unione europea, con cui ha in corso il negoziato di adesione. Pur condannando la violazione dell'integrità territoriale dell'Ucraina, Belgrado si rifiuta infatti di aderire alle sanzioni internazionali contro Mosca invocando gli interessi nazionali della Serbia, in primo luogo le forniture energetiche a prezzi scontati e il sostegno sulla spinosa questione del Kosovo. I serbi del Kosovo, per votare, hanno dovuto raggiungere oggi quattro località del sud della Serbia, dopo il fermo rifiuto delle autorità di Pristina, nonostante le pressioni di Ue e comunità internazionale, a organizzare sul territorio del Kosovo elezioni di un «Paese straniero». Una posizione questa ritenuta inaccettabile da Belgrado, che non riconosce l'indipendenza del Kosovo, considerato ancora parte integrante della Serbia. Il voto odierno è stato monitorato da gruppi di osservatori di Osce, Consiglio d'Europa e Parlamento europeo. Irregolarità e incidenti di vario genere, seppur non di grande rilievo, sono stati segnalati in alcuni seggi in giro per il paese.
4 aprile, Budapest
L'Ungheria non cambia: Viktor Orban vince ancora. E lui, che stavolta si era proposto come «uomo della pace», spingendo sulla paura del conflitto ucraino, ha esultato in tarda serata: «Abbiamo vinto contro tutti!». «Prima l'Ungheria!» Ad oltre il 70% dello scrutinio, il premier uscente sovranista risulta in netto vantaggio, con la coalizione composta dal partito di governo Fidesz e dai cristiano-democratici di Kdnp, premiata dal 54,6% delle preferenze, che si tradurrebbero in 134 seggi, su un totale di 199; e l'opposizione dell'ultracattolico europeista Peter Marki-Zay, che aveva radunato tutti gli altri partiti in un'alleanza, al 33,6% con soli 58 seggi. In uno dei voti più importanti nella storia del paese, con il premier Orban in corsa per il quarto mandato consecutivo, l'affluenza alle urne si è attestata al 67,8%, in leggero calo rispetto a quattro anni fa. E lui, il capo di Fidesz, non ha perso l'occasione di sottolineare che dalle urne esce anche «un chiaro segnale a Bruxelles». «Questa nostra quarta vittoria consecutiva è la più importante, perché abbiamo conquistato il potere contro un'opposizione che si era alleata. Si sono alleati tutti e noi abbiamo vinto lo stesso» ha detto trionfando. «Abbiamo vinto anche a livello internazionale contro il globalismo. Contro Soros. Contro i media mainstream europei. E anche contro il presidente ucraino». «Fidesz rappresenta una forza conservatrice patriottica e cristiana. È il futuro dell'Europa. Prima l'Ungheria!». Il primo ministro che promuove da anni la democrazia illiberale, e che ha un contenzioso con l'Europa sullo stato di diritto, per aver limitato la libertà di stampa e della magistratura, nelle ultime settimane aveva puntato sulla paura della guerra, arrivando a rompere la compattezza dei Visegrad. È stato infatti l'unico a negare la consegna di armi a Kiev, e ad assicurare in tutti i modi che Budapest si terrà fuori dal conflitto con Mosca.
Italia
31 marzo, Roma
Il 12 giugno sarà Election day: si voterà infatti per i cinque quesiti referendari sulla giustizia proposti da Radicali e Lega ed ammessi dalla Consulta, nonché per il primo turno delle amministrative che coinvolgeranno circa 950 Comuni per complessivi 8,5 milioni di elettori (il 26 giugno previsti i ballottaggi). L'ok è arrivato dal Consiglio dei ministri. Seguirà un decreto del ministero dell'Interno per le Amministrative ed uno del presidente della Repubblica per i Referendum. Si dividono i promotori di quest'ultima consultazione. I Radicali protestano per la data scelta, mentre Matteo Salvini esulta: «si risparmiano 200 milioni». Servirà il quorum per la validità dei cinque referendum abrogativi: dovrà cioè esprimersi il 50% degli elettori più uno. Questi i quesiti: 1) si chiede di abrogare la parte della Legge Severino che prevede l'incandidabilità, l'ineleggibilità e la decadenza automatica per parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali nel caso di condanna per reati gravi; 2) lo stop delle «porte girevoli» per non permettere più il cambio di funzioni tra giudici e pm e viceversa nella carriera di un magistrato; 3) via l'obbligo per un magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme per presentare la propria candidatura al Csm; 4) togliere la «reiterazione del reato» dai motivi per cui i giudici possono disporre la custodia cautelare in carcere o i domiciliari per una persona durante le indagini e quindi prima del processo; 5) il quesito chiede che gli avvocati, parte di Consigli giudiziari, possano votare in merito alla valutazione dell'operato dei magistrati e della loro professionalità. Maurizio Turco e Irene Testa, segretario e tesoriere del Partito Radicale criticano la decisione del Governo e la tv pubblica che negherebbe la possibilità ai cittadini «di conoscere e ai promotori di essere conosciuti. Una tornata elettorale e referendaria tra il 12 e il 26 giugno equivale a boicottare la partecipazione popolare, a delegittimare ulteriormente la politica, a boicottare i referendum. Se questo è l'obiettivo lo si può considerare sin d'ora raggiunto. Noi non ci stiamo - aggiungono - ad avallare questo scempio mentre si poteva legittimamente rimandare il voto amministrativo e referendario a metà ottobre». Salvini si dice invece soddisfatto «perché hanno ascoltato la richiesta della Lega. L'election day comporta un risparmio di tempo e soldi, almeno 200 milioni di euro che chiederemo vengano usati per tagliare ancora i costi di bollette e benzina». Le Amministrative coinvolgono circa 950 Comuni (tra cui 4 capoluoghi di regione, Genova, Palermo, Catanzaro e L'Aquila) e 22 capoluoghi di provincia (Alessandria, Asti, Barletta, Belluno, Como, Cuneo, Frosinone, Gorizia, La Spezia, Lodi, Lucca, Messina, Monza, Oristano, Padova, Parma, Piacenza, Pistoia, Rieti, Taranto, Verona e Viterbo). Per i Comuni della Valle d'Aosta le urne sono anticipate al 15 maggio (ballottaggio il 29), per quelli del Trentino Alto Adige il 29 maggio (ballottaggio il 12 giugno).
1 aprile, Roma
Buone notizie per i lavoratori che hanno figli con disabilità. Il provvedimento relativo all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per genitori e prestatori di assistenza, approvato in Consiglio dei ministri, chiarisce infatti l'obbligo da parte del datore di lavoro (pubblico o privato) a riconoscere priorità di lavoro agile per chi ha figli con disabilità, escludendo qualsiasi limite di età. Lo afferma il ministro per le Disabilità Erika Stefani in una nota. Inoltre ci sono novità - aggiunge - per i caregivers, ai quali si riconosce ora la stessa priorità dei lavoratori che hanno figli con disabilità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. «Siamo soddisfatti che si sia posta più attenzione e fatto un chiarimento normativo utile a tutelare i diritti di chi lavora prendendosi cura di persone con disabilità».
Sport
24 marzo, Palermo
L'Italia è stata battuta dalla Macedonia del Nord ed è fuori dai Mondiali in Qatar. È la seconda volta consecutiva che gli azzurri non si qualificano ai Mondiali, dopo aver già mancato Russia 2018. È questo il responso di una serata paradossale e triste, nella quale gli azzurri perdendo 1-0 contro la Macedonia del Nord nella semifinale degli spareggi accentuano la tendenza emersa dopo quell'11 luglio 2021 del trionfo di Wembley: erano stati incapaci poi di battere per due volte la Svizzera, nonostante i famosi due rigori a favore falliti da Jorginho, non erano andati oltre il pari neanche con Bulgaria e Irlanda del Nord. Quella squadra con gioco e carattere magistrali, evidentemente non esisteva più.
a cura di Vincenzo Massa