Numero 6 del 2022
Titolo: Donne coraggiose
Autore: Redazionale
Articolo:
Mi vendevo contro il dolore
Storia di Rose
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
«Denunciami pure, chi vuoi che ti creda? Sei solo una puttana». Marcus, uomo orrendo, me lo urla contro trascinandomi per i capelli in mezzo alla strada nella periferia di Roma. Finché strattonarmi e offendermi non gli basta più. E allora giù schiaffi, manrovesci e pugni che, d'istinto, paro coprendo la testa con una mano mentre tento di proteggere la pancia con l'altra perché aspetto un bambino: il suo.
Troppo tardi, non sono stata abbastanza rapida a reagire di fronte alla sua furia crescente.
Uno dei suoi calci sferrati con violenza omicida sul mio fianco mi butta sul marciapiede e, in un istante, perdo i sensi. Quando riapro gli occhi, intorno a me c'è una pozza di sangue. Vedo un'amica, la sento gridare spaventata, mentre chiama un'ambulanza con il suo telefonino. Nell'attesa al pronto soccorso nessuno che ci chieda perché siamo vestite a quel modo; nessuno che ci domandi il motivo di ecchimosi, ferite e bruciature sul mio corpo emaciato. In fondo siamo solo due prostitute, brutta gente, perché mai il mondo dovrebbe interessarsi di noi?
Un tipo speciale
Sono una ragazzina diversa dalle altre. Alle elementari passo la ricreazione giocando da sola. Me ne sto sulle mie: riflessiva, un po' malinconica. Non ho voglia di socializzare, i miei compagni di classe non mi interessano granché, ma non sono neppure abulica. Basta niente per rendermi furiosa. Somiglio a mamma, mi dico. Non che papà sia da meno: entrambi, in un attimo, pigliano fuoco. Ho 8 anni quando i miei genitori si lasciano e per via della loro separazione finisco dritta da una psicologa. Nel frattempo, vivo con la valigia: il lunedì dalla mamma, il martedì da papà, il mercoledì di nuovo con mamma e così via. Oltre alla borsa, mi tiro dietro una sorella che di anni ne ha cinque meno di me.
Il tempo passa, quasi anestetizzata in una quotidianità senza ricordi importanti arriva l'adolescenza. Nel torpore emotivo di quel periodo, l'unica scintilla che mi accende sono le attenzioni dei maschi. A 11 anni do il primo bacio; a 14 ho il primo rapporto tra tenerezza e coccole. Capisco subito che così non fa per me. Il sesso che mi piace è passionale e furioso, non amo i preliminari, non voglio perdere tempo con le smancerie.
L'incontro fatale
Inizio a infilarmi in chat erotiche che condivido con dei ragazzi. Quando papà ne becca una, è turbato, mi porta dalla psicologa, la stessa professionista che mi aveva seguito dopo la loro separazione. «Vuole attenzioni» dicono gli adulti di me.
Riprendo la psicoterapia che s'interrompe quando la dottoressa s'ammala: è grave, impiegherà tempo prima di ristabilirsi. Così, me ne torno al computer nel mio mondo segreto. Sviluppo una nuova ossessione per il porno. Cerco in Rete parole come «video porno estremo», «video porno stupro» e trovo tutto quello che serve a soddisfare le mie curiosità.
A 14 anni una sera in un pub mi avvicina una donna e mi confida segreti che non ti aspetti di sentire da un'estranea.
Sorride appena, mi guarda dritto negli occhi, la sua voce arriva distinta alle mie orecchie nonostante la musica alta. «Mio padre abusava di me, mia madre non c'era mai. Ho trovato conforto nella prostituzione». È curioso, ma mi ritrovo nelle sue parole, specie quando dice che «fare sesso spegne tutti i dolori e riempie il vuoto che si sente dentro». Non sono più sola e, quando mi dice «sei speciale» mi conquista. Depongo le armi.
«Vienimi a trovare: potresti provare ad andare con un uomo. A pagamento».
Mollo il mio drink e me ne vado. Non prima di esserci scambiate i telefoni.
Nel covo della prostituzione
L'appuntamento è in un casale alla periferia di Roma. Arrivo in motorino. La donna mi viene incontro, un abbraccio caloroso mentre intorno la scena è surreale: ragazze seminude che si truccano e che, scopro, verranno smistate in auto in giro per il quartiere.
«Tu no, cara, resti qui. Se vuoi, ti mostro una camera».
È di tre metri per due: un letto, delle coperte e una poltrona. Sul tavolino, sex-toys, manette e corde: «I clienti hanno fantasie malate».
Quanto sei coraggiosa? mi chiedo. Quanto sei forte? Perché se molli, sei una codarda. Così sorrido e inizio la serata. Quando entra il primo uomo, sto provando una maschera che tengo sul viso finché lui non se ne va, un po' per gioco, un po' per paura. Fare sesso da prostituta non è come farlo con chi ti piace: è sfibrante, non hai il controllo di niente. Su chi sia la persona, su ciò che ti possa fare perché, pagando, è autorizzato a pretendere quasi tutto. Non decidi quando smettere, non puoi dire «basta», niente «aspetta, mi fa male». Hai scelto di stare al gioco e queste sono le regole.
Ricordo il ribrezzo, il dolore, la violenza. Ma, soprattutto, la sua richiesta: «Chiamami papà». Io eseguo. I rapporti successivi sono una passeggiata: tutti simili l'uno all'altro; col sottomesso, che vuol essere picchiato, legato o l'aggressivo che gode vedendoti soffrire e allora t'impone rapporti orali che tolgono il respiro o ti piglia per il collo finché non chiedi pietà. Ci si abitua a tutto.
Marcus è il vero orrore
In quella casa mi sento bene. Riesco a spegnere la testa. Vado e vengo quando voglio, sbarazzandomi dei soldi che non saprei come giustificare a casa. Li do alle ragazze che vanno in strada e, al mattino, sono la studentessa di sempre. Solo che a un certo punto la musica cambia: la protettrice si ammala e finisco in mano al compagno. Un uomo rude, imponente, che mi piazza due schiaffi in faccia la prima volta che mi vede. Come al solito, arrivo in tuta: «Sei una mignotta, devi essere nuda perché quando gli uomini arrivano non possono perdere tempo a spogliarti». Mi fa violenza in ogni modo. Entra in stanza quando vuole, mi stupra, come dice lui, come vuole lui. Posso pregare, piangere, scongiurarlo, ma non sente ragioni. Così, inizio ad andare ogni sera: faccio come vuole o l'indomani sarà peggio. Accetto di essere legata, violata in ogni modo, mentre addosso sento i suoi sputi. Tutto, chiaramente, senza preservativo. Al punto che scopro una gravidanza non voluta. Ma accettata come un dono.
«Stai ingrassando» mi dice un giorno, non mi trattengo, sbotto, gli dico che aspetto un figlio. Gli grido che lo denuncerò. Lui mi riduce in una pozza di sangue come vi ho già raccontato.
Chiedo aiuto ai miei genitori
In ospedale scopro di aver perso il bambino. Chiamo i miei genitori, vuoto il sacco e per giorni torno sulle scale della psicologa senza riuscire a bussare alla porta. Poi finalmente mi faccio coraggio. Entro in studio, mi siedo sulla solita poltrona e senza girarci intorno, le dico quello che ho nel cuore.
«Da quando mi hai lasciato non ho fatto più una cosa giusta».
Inizio a raccontarle, lei mi ascolta, poi ha un'intuizione.
«Rose, tenevi un diario da bambina? Mi piacerebbe leggerlo. Me lo porti?».
La seduta successiva lo leggo a voce alta e scopro interi paragrafi che non ricordo di aver scritto.
Parole inadeguate per una bimba piccola, frasi come: «Voglio tenere in bocca le tue mutande, passare con te tutta la notte».
«Qualcuno ti ha spinto a guardare cose da adulti? Qualcuno ha abusato di te?» domanda.
Dal nulla ricordo una mattina d'inverno, una coperta e una casa estranea. Mi sono alzata presto e un amico di famiglia è sceso per la colazione. In tv il video di una canzone che si chiama Kamasutra. Gli chiedo cosa voglia dire. Lui si avvicina, mi prende la mano, la usa su di sé fino a eiaculare; poi me la pulisce sulla coperta. Ho 7 anni e quella coperta non me la tolgo di dosso fino a sera. La psicoterapia mi aiuta a ricordare, a metabolizzare. A prendere le distanze da quell'orrore dopo averlo riportato alla coscienza affinché non possa più guidare la mia vita in direzioni sbagliate. Questo percorso di rinascita diventa il centro della mia nuova vita. Sono una sopravvissuta e ne vado fiera. Oggi, entro nelle scuole, racconto la mia storia e presto sarò psicoterapeuta: se posso aiutare qualcuno, anche una sola persona, per me sarà una vittoria.
Rose, nome di fantasia, 26 anni, romana. Laureata in Psicologia, collabora con l'Associazione Iroko Onlus (associazioneiroko.org).