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Kaleîdos

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Numero 4 del 2022

Titolo: Donne coraggiose

Autore: Redazionale


Articolo:
Mio marito ha ucciso nostra figlia
Storia di Giovanna
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
Sul pianerottolo, le pareti fanno da teatro a un macabro graffito. Ovunque, vedo sparse le impronte delle mani insanguinate di mia figlia Marika, 14 anni, lasciate nel tentativo disperato di chiedere aiuto allo zio, che abita nel nostro stesso stabile. La paura mi accompagna, mentre la verità mi viene sbattuta in faccia: vedo Laura, la mia secondogenita di 12 anni, pallida e intubata, su una barella sorretta dal personale del 118. La stanno portando via.
«Amore mio, apri gli occhi!» urlo disperata.
La seguo come un automa, cerco di salire sull'ambulanza con lei, ma i paramedici me lo vietano. Al pronto soccorso attendo alcuni minuti. Intensi, lenti. Un'infermiera avanza verso di me in lacrime, dietro di lei, due medici si muovono a passo incerto, mi aprono la bocca, sparano gocce di calmanti e mi comunicano che Laura non c'è più. Suo padre le ha tolto la vita. Poi il buio. Non ricordo nulla degli attimi successivi.
Si è vendicato di me
È la mattina del 22 agosto 2014. Ho trascorso la notte nella casa d campagna dei miei genitori perché mio marito e io siamo in crisi. I nostri quattro figli sono rimasti con lui. Sono passate da poco le sette quando un vicino di casa comunica a mio padre che è appena successo qualcosa di grave nella mia abitazione. Provo a chiamare i ragazzi: «Vieni subito, papà ha fatto una cavolata!» mi dice Andrea.
Una volta arrivata, vedo sirene e ambulanze e una torma di gente stravolta in viso.
I miei fratelli mi vengono incontro per farmi da scudo. Nessuno parla, solo facce scure. Mi avvicino alla porta di casa ma i carabinieri non mi fanno entrare. Passano i minuti e il quadro diventa chiaro: mio marito si è vendicato di me perché faticavo a tornare con lui dopo un suo tradimento. Così ha accoltellato le nostre due figlie nel sonno. Laura è morta dissanguata durante il trasporto in ospedale, mentre Marika, svegliata dalle grida della sua sorellina, è stata ferita gravemente. È stato il nostro primogenito Andrea a disarmare il padre e a chiamare i soccorsi.
Mi sembra di riviverli decine di volte quei momenti. La corsa in ospedale e la morte della mia bambina, che arriva implacabile. Me la fanno vedere, sembra che dorma.
È ancora sporca di sangue, così inizio a lavarla, le copro le ferite, mi prendo cura di lei pulendole viso, mani, braccia e gambe.
«Amore mio, adesso la mamma ti prepara per andare da Gesù» le dico mentre il mio respiro sembra fermarsi. Fisso mia figlia senza vita e mi sento morta anche io.
Non ho la forza di urlare, né di piangere. Sono un simulacro vuoto. Laura non c'è più. Eppure mi sembra di sentire l'eco delle sue risate. Devo farmi coraggio perché c'è Marika che lotta tra la vita e la morte e devo andare subito da lei. Mi accompagnano nel reparto di terapia intensiva: è intubata. Prego Dio che non mi porti via anche lei.
Le ragazze scoprono tutto
Come siamo arrivati a questo? Come? Me lo domando per ore, giorni, mesi. Ho conosciuto Roberto, il mio ex marito, a 13 anni. A 21 ci siamo sposati, e poi abbiamo avuto quattro figli. Credevo saremmo invecchiati insieme anche se la nostra era una vita semplice e lui il classico pantofolaio. Siamo una famiglia unita fino all'aprile del 2014, quando le mie bambine scoprono per caso, su Facebook, che il loro papà ha un'amante. Me lo dicono subito, ma io non affronto Roberto. Per tre mesi mi tengo dentro un enorme dolore che mi lacera l'anima.
Nessuna scenata, niente faccia a faccia. Cado in depressione perché vedo la mia famiglia, che credevo perfetta, sfaldarsi come cartapesta. Lui si accorge che sto male e dopo i suoi ripetuti «Come stai?» mi decido ad affrontarlo.
«So che hai un'amante» gli dico.
«È solo un'amica!» replica.
Poi cede. Mi dice che se si è legato a lei è anche colpa mia, dei miei turni massacranti come addetta alle pulizie di un centro commerciale.
«A casa non c'eri mai, io mi sentivo solo e bla bla bla».
Le sue giustificazioni mi fanno più male del tradimento.
A giugno, esausta, mi trasferisco dai miei genitori.
Cerca un riavvicinamento
Decidiamo di allontanarci un po' per vedere se ci fa bene. Il sentimento che provo per mio marito è cambiato, si è trasformato in un affetto sbiadito. Vorrei innamorarmi di nuovo, ritrovare la serenità perduta, ma non è facile.
Intanto Roberto cerca di riconquistare la mia fiducia. La sera prima del dramma parliamo a lungo. Mi rivela che per quella donna aveva perso la testa, che la riempiva di regali, cosa che con me non ha mai fatto, e che per tutto questo si sente in colpa nei miei confronti. Poi mi chiede di tornare con lui, ma io sono confusa, disorientata, non so più se fidarmi. Gli rispondo che ho bisogno di tempo. Di fronte alle mie titubanze, insinua che io abbia un altro uomo. Folle pensarlo. Ci abbandoniamo a un lungo abbraccio. Sembra che il peggio sia passato. Prima di andarsene, mi dice che vuole portare a cena i nostri quattro figli.
Dopo qualche ora Laura mi chiama entusiasta: «Mamma, è stata una bella serata, siamo anche andati al parco, peccato che tu non ci fossi!».
Già, peccato. Dopo cena, mio marito chiede alle nostre figlie di postare sui social una foto che hanno scattato insieme, e poi le invita a dormire con lui nel lettone, cosa insolita. Nell'altra stanza, i nostri due figli più grandi.
È mattina presto: il sole squarcia il cielo quando Roberto accoltella le nostre bambine.
Niente sarà più come prima
Marika resta in coma per cinque giorni, quando si sveglia chiede della sorellina, non sa che è morta, vuole vederla, ma tutti, me compresa, le diciamo che deve aspettare. Non so dove ho trovato la forza di nasconderle il mio dolore.
Oggi sono passati più di cinque anni e abbiamo ricomposto, a fatica, il puzzle di una famiglia a metà. Vivo a casa dei miei genitori con i miei tre figli.
Del mio ex marito non voglio più sapere nulla. Ho ottenuto la separazione, poi il divorzio. Arrestato e condannato in primo grado all'ergastolo, ha fatto ricorso in Corte d'Appello. Diceva che non ricordava nulla di quella furia omicida. Non gli ho creduto. E nemmeno i giudici che hanno stabilito la condanna all'ergastolo, confermata dalla Cassazione.
Non lo perdonerò mai, ha distrutto quanto di più bello avessimo costruito.
Ha tolto la vita a un'anima innocente e Marika dovrà convivere per sempre con il dolore per la perdita della sorella e con il ricordo di quella mattina infernale.
Niente è come prima e il luogo in cui vivo me lo ricorda ogni giorno. Molti compaesani mi sono stati vicino, ma, come ho scritto nel settembre 2019 in una lettera al «Corriere della Sera», mi sarebbe piaciuto sentire il calore della comunità civile e religiosa.
Invece ho vissuto questi cinque anni con la netta sensazione di essere una figura fastidiosa. E in alcuni sguardi ho letto atti di accusa: sarei stata io ad armare la mano del mio ex marito perché mi sono allontanata dopo aver scoperto che aveva un'altra. La mia colpa è non aver lasciato correre. All'inizio uscivo solo se avevo addosso gli occhiali da sole, era impossibile sostenere quegli sguardi, sopravvivere al pregiudizio è stata una delle tante prove che ho dovuto affrontare.
Ma ora so che ho sbagliato a sentirmi sbagliata. Io sono la mamma di Laura, ho lei dalla mia parte, non mi nascondo. E non mi arrendo. Porterò avanti la mia battaglia contro ogni forma di violenza. Giro le scuole, guardo negli occhi i ragazzi, parlo al loro cuore. Sono gli adulti di domani. Se una donna li rifiuterà, non dovranno vendicarsi con un'arma in mano.
Giovanna Zizzo, 49 anni, vive a San Giovanni La Punta (Ct), con i genitori e i tre figli, Marika, Emanuele e Andrea. L'ex marito è stato condannato all'ergastolo.



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