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Kaleîdos

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Numero 2 del 2022

Titolo: Addio mal di testa

Autore: Chiara Dall'Anese


Articolo:
(da «F» n. 2 del 2022)
Quando l'emicrania è un ospite che ruba giornate ed energie, analgesici e fai da te non bastano. Oggi una legge la riconosce anche come malattia cronica, da curare nei centri specializzati. E con terapie che (finalmente) risolvono
«Il primo episodio di emicrania di cui abbia memoria? Frequentavo la scuola materna. Ma alla diagnosi di cefalea cronica sono arrivata tardi, quando avevo quasi 45 anni». Lara Merighi è la coordinatrice di Alleanza Cefalalgici e Fondazione Cirna Onlus, associazione che riunisce medici, pazienti e loro familiari e che aiuta a migliorare la qualità della vita di chi soffre di cefalea, anche attraverso gruppi di autoaiuto. Come spiega agli altri pazienti che incontra, o con cui interagisce sul forum di cefalea.it, queste forme di mal di testa richiedono un approccio terapeutico totalmente nuovo: «Soffrire di cefalea cronica significa avere episodi di emicrania 15, 20, persino 30 volte al mese. Ciascuno può comparire all'improvviso, dalla sera alla mattina, apparentemente senza una causa. Il dolore può durare giorni, a volte scomparire per alcune ore per poi ripresentarsi. E, anche quando è assente, basta un piccolo movimento, un leggero scuotimento della testa, per innescarlo di nuovo. Gli antidolorifici spengono i sintomi, ma assumerli ogni giorno ne riduce, progressivamente, l'efficacia: inoltre, con il tempo, aumentano la sensibilità al dolore. Che, ricordiamolo, nelle donne è già molto più intenso».
Disparità di genere
Di emicrania soffre il 12 per cento della popolazione generale, ma tra le donne la percentuale sale a 20. La forma cronica, invece, colpisce due italiani su cento, con una prevalenza netta di donne e nella fascia 20-50 anni. Tuttavia, è poco compresa, sottostimata e sottodiagnosticata. Non ha nulla a che vedere con il mal di testa passeggero prima del ciclo, o con il senso di pesantezza alla testa che si avverte se si mangia troppo o si beve un bicchiere in più: oltre al dolore pulsante, provoca nausea, vomito, necessità di isolarsi da luci e rumori, e il problema si manifesta oltre 15 giorni al mese, a volte anche consecutivi, per almeno tre mesi. «Non è un disturbo, ma una malattia neurologica fortemente invalidante, che può compromettere le varie attività giornaliere della sfera personale e professionale», spiega Antonio Santoro, Dirigente unità di Neurologia presso l'Irccs Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovarmi Rotondo.
Comporta la perdita di giornate lavorative e scolastiche, una spesa consistente per acquistare i farmaci antidolorifici, vissuti di depressione, sfiducia, ansia. «Oggi in Italia - primo Paese ad adottare un provvedimento del genere - la legge approvata definitivamente dal Senato l'8 luglio 2020 la riconosce come malattia sociale. Infatti il problema più grave, oltre al dolore, sono i suoi effetti. Gli studi epidemiologici hanno fatto luce sulla sofferenza che questi pazienti devono sopportare, e sulla rinuncia alla vita sociale e familiare, perché qualsiasi minimo cambiamento nelle abitudini quotidiane può essere il detonatore di un attacco, che induce ad autoisolarsi alla disperata ricerca di buio e silenzio assoluto».
Colpisce anche i bambini
L'emicrania cronica può essere scatenata da vari fattori: stress, abuso di alcuni alimenti, variazioni di luci e rumori o nei ritmi del sonno, alterazioni ormonali, climatiche o meteorologiche. In alcuni casi, ci può essere una predisposizione genetica. «Tantissimi bambini soffrono di mal di testa cronico, ma spesso si pensa che il problema abbia una base psicologica», continua Lara Merighi. Ci si rivolge all'oculista, pensando a un deficit che affatichi la vista, o ad altri specialisti, e spesso si ricorre a esami diagnostici inutili: in realtà, i dati dicono che l'emicrania riguarda una decina di bambini su 100, e uno su quattro ne ha sofferto almeno una volta nell'anno precedente.
Mal d'auto, vertigini o mal di pancia ricorrenti, per esempio, sono sintomi da non sottovalutare, perché potrebbero essere spia di cefalea.
Dove chiedere aiuto
Convivere con questa patologia significa, in molti casi, attendere anche anni prima di ottenere una diagnosi corretta. E, nel frattempo, ricorrere a un uso massiccio di antidolorifici che, spesso, lascia il passo a un vero e proprio abuso, nel vano tentativo di scacciare il dolore. «Certo è che quando il classico analgesico non è sufficiente significa che qualcosa di più serio sta succedendo a livello neurologico», spiega Santoro. Spesso chi ne soffre passa da uno specialista all'altro, e non sempre si rivolge in prima battuta ai centri specializzati nella cura delle cefalee, ormai presenti in tutta Italia: sui siti malditesta-aic.it, sisc.it e cefalea.it si trovano indirizzi e riferimenti suddivisi per regione. Per avere una diagnosi in tempi rapidi e individuare il trattamento efficace, infatti, è fondamentale affidarsi a mani esperte: «In Italia ci sono realtà che mettono a disposizione tutte le opzioni terapeutiche per affrontare questa patologia nel migliore dei modi. Nei centri si valuta il quadro clinico del paziente e si intraprende una terapia che permetta di ridurre la frequenza e l'intensità degli attacchi e migliorare la qualità di vita».
Trattamenti su misura
La cura deve tener conto di sintomi, stili di vita e tanti altri elementi: in altre parole, va personalizzata in base alle caratteristiche e alle esigenze del paziente, come un abito sartoriale. Oltre ai farmaci, oggi ci sono trattamenti infiltrativi (iniezioni), come gli anticorpi monoclonali e la tossina botulinica di tipo A. «I primi, autorizzati lo scorso anno in Italia, sono prescritti attraverso un piano terapeutico e, dopo valutazione del medico, somministrati ogni mese. Agiscono bloccando il rilascio di Cgrp, uno tra i mediatori coinvolti nello sviluppo del dolore. La tossina botulinica di tipo A, invece, approvata in Italia nel febbraio del 2013, viene somministrata dal medico attraverso microinfiltrazioni in specifici muscoli del cranio e della regione cervicale, una volta ogni tre mesi. È la stessa che viene usata in altre patologie neurologiche o per motivi estetici, e agisce in maniera locale, bloccando in periferia il rilascio di più mediatori coinvolti nella genesi del dolore emicranico, come Cgrp, glicina, glutammato». A San Giovanni Rotondo c'è un ambulatorio dove viene utilizzata con successo da anni, e in cui attualmente sono in cura circa 200 emicranici cronici.
Queste terapie mirate possono davvero trasformare l'esistenza dei pazienti: «Tanti parlano di vita recuperata, dove l'unità di misura sono i giorni del mese liberi dagli attacchi. Ma va chiarito un punto importante: la qualità di vita è dipendente dal trattamento, qualunque esso sia. Pertanto questo diventa un vero compagno di viaggio per i pazienti».
Chiara Dall'Anese



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