Numero 1 del 2022
Titolo: Donne coraggiose
Autore: Redazionale
Articolo:
Ho promesso a Samuele di essere forte. Anche ora, che lui non c'è più
Storia di Maria Antonietta
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
Salgo la scaletta dell'aereo per L'Avana accanto a mio nipote che ha accettato di condividere questo viaggio della speranza. La cabina è già piena, vedo l'entusiasmo e l'eccitazione per la partenza illuminare i volti dei passeggeri.
Beati loro, penso e stringo forte la mano di Alessandro. Dopo il decollo qualcuno dorme, altri si scambiano informazioni sulle destinazioni più belle di Cuba. Il mio pensiero vola a casa, alla mia famiglia, che ho lasciato nel borgo ligure di Zuccarello, e a mio figlio Samuele.
È per lui che siamo partiti: la nostra meta non sono le spiagge, ma i laboratori della Labiofam, dove estraggono il veleno dello scorpione azzurro, un antidolorifico e antinfiammatorio che a Cuba usano per curare i tumori.
Dicono sia efficace soprattutto contro i dolori causati dalle metastasi ossee. Sarà vero? Non lo so. Quando ne ho parlato all'oncologa che ha in cura Samuele, lei ha scosso il capo e ha sussurrato qualcosa come «male non farà».
È un tentativo disperato, me ne rendo conto, ma sono disposta a tutto per smentire la statistica che ho letto su internet: «In caso di tumore primario con recidiva e metastasi ai polmoni» diceva l'articolo «le possibilità di sopravvivenza sono prossime allo zero». È proprio il suo caso. Semplicemente non posso ammettere che il mio splendido ragazzo ventitreenne sia condannato. Quale madre può accettare una simile sentenza?
Sembrava una cisti
Era cominciato tutto nel 2004 con un rigonfiamento alla caviglia destra. All'inizio i medici avevano pensato a una cisti, ma gli accertamenti e soprattutto l'esame istologico successivo all'intervento avevano dato il terribile responso: sarcoma sinoviale monofasico, un tumore raro che colpisce le parti molli.
È iniziato così il nostro calvario. Mano nella mano, Samuele e io abbiamo varcato la soglia del reparto di Oncologia pediatrica dell'ospedale di Torino, dove abbiamo conosciuto una vita fatta di cicli di chemio e radioterapia, di nuovi interventi e altri esami, di speranze e disillusioni.
In quegli anni il bimbo che aveva paura degli aghi ha lasciato il posto a un uomo coraggioso, capace di combattere contro il male senza perdere mai la fiducia.
Anche quando il dolore mordeva il suo corpo indebolito, Samuele trovava la forza di reagire e di confortare me e la sorella Miriam.
Quando abbiamo scoperto la recidiva e abbiamo saputo che era necessario un secondo intervento, io ero a pezzi, ma lui mi ha guardata negli occhi e ha detto serio: «Mamma, dobbiamo essere forti. La gente, quella che vive la vita dei sani, deve provare invidia per noi, non pietà. Vedrai che ce la faremo».
Aveva solo 19 anni. Anche in seguito, dopo ogni ricaduta il mio splendido figlio trovava la forza di tornare alla sua vita, fatta di serate in discoteca con gli amici, di corse sulla moto e soprattutto del suo amore: Sabrina, una ragazza tanto giovane, tanto forte e tanto saggia, proprio come lui.
In moto era un campione
Dal suo coraggio e dalla sua determinazione a conquistarsi una vita normale ho trovato la forza per andare avanti. Quando la paura allagava la mia anima, il suo sguardo un po' severo e un po' scherzoso era sufficiente a far rinascere in me la speranza.
Ricordo quella volta che tutta la famiglia si è messa in viaggio verso Adria, in Veneto, per seguire una gara di moto-ciclismo. C'eravamo tutti: io, suo padre, sua sorella, la fidanzata e persino il cane. Samuele non ha potuto gareggiare, ma ha corso durante le prove libere. Benché la malattia gli avesse impedito di allenarsi, è andato davvero forte e in pista era il più veloce di tutti, anche del campione italiano. Quella sera abbiamo fatto festa, eravamo felici ed eccitati.
«Sembriamo una famiglia normale» ha detto Miriam, e mi si è stretto il cuore. Anche lei, che quando il fratello si è ammalato aveva appena 10 anni, ha lottato e sofferto assieme a noi, come un'adulta, perché in quegli anni difficili non ha avuto la possibilità di vivere la sua infanzia. Quella notte ad Adria Samuele era riuscito a trasmetterci la sua gioia ed eravamo felici. È l'ultimo ricordo che ho di tutta la famiglia riunita. Poi la situazione è precipitata, il male ha ripreso ad avanzare e non si è fermato davanti a nulla, non si è indebolito con i cicli di chemio, né con le operazioni disperate per arrestare le metastasi.
Un anno più tardi, una brutta notte di aprile, quando ormai da molti giorni non riusciva più ad alzarsi dal letto, Samuele mi ha chiesto: «Ho una gara domani?».
E in poche ore se n'è andato, dopo otto anni esatti di dolore.
Il mondo è appannato
La mia fortuna si chiama Miriam, soffre molto per l'assenza del fratello e ha bisogno di me. È per amore suo che ogni mattina stringo i denti e affronto il mondo. Un mondo che, da quando Samu non c'è più, mi appare appannato, come se il sole avesse smesso di scaldare la terra. Vado avanti lo stesso, ho ripreso a insegnare e l'affetto dei miei alunni è un grande aiuto, anche se è difficile arrivare in fondo ai miei giorni sempre bui.
Ogni sera, prima di addormentarmi, scrivo una lettera a Samuele, gli racconto tutto quello che è capitato a me, a sua sorella e i pettegolezzi del paese. Assieme a lui faccio il punto della mia vita.
Sì, perché gli ho promesso di essere forte, di tornare a essere felice e di realizzare i miei e i suoi sogni, come quello di andare in vacanza alle Maldive. È il mio modo per sentirlo vicino, per riallacciare il filo del dialogo che ci ha sempre uniti.
Il suo coraggio può ispirare chi soffre
Ho iniziato a raccontare quello che succedeva quando si è manifestato il tumore. Era una lettera per Samuele, volevo fermare quel momento così importante per lui. Mentre scrivevo, pensavo: lo rileggeremo assieme quando tutto questo sarà finito, quando sarà guarito. Ma non è andata così. Negli anni della malattia ogni tanto aggiungevo qualche pensiero e ne abbiamo parlato spesso: Samu era contento che rimanesse il ricordo, di lui e delle sue lotte. Dopo la sua morte ho riordinato quegli appunti nel libro «Mamma scrivila tu la mia storia». L'ho pubblicato perché sono convinta che il coraggio di mio figlio possa essere di aiuto a chi attraversa un momento difficile. Con i proventi delle vendite, vorrei far intestare a Samuele l'appartamento che ci ospitava per i cicli di chemio a Torino. Desidero che resti una traccia del suo passaggio.
A lui farebbe piacere.
Antonietta Biagiotti. 56 anni, insegnante. Vive a Zuccarello (Sv).