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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

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Numero 23 del 2021

Titolo: Rinascere si può

Autore: Tamara Ferrari


Articolo:
(da «F» n. 48 del 2021)
Superare il trauma devastante di una violenza. Uscire da una relazione tossica. Imparare un mestiere per rendersi indipendenti. Quattro progetti che aiutano le vittime di maltrattamenti a rifarsi una vita
A lezione d'amore. Per se stesse
Khadija Cirafici, 41 anni, coach olistica e fondatrice dell'associazione «Mi Diras Nur»
Da ragazzina sono stata vittima di uno stupro di gruppo. Mi sembrava di avere perso l'anima, faticavo perfino a sentire parti del mio corpo. Gli anni successivi sono stati di autodistruzione: odiavo il mondo e me stessa. Sono scappata, ho vissuto per strada, mangiavo alla Caritas. Ho provato a togliermi la vita. Poi, lo ricordo benissimo, è scattato qualcosa: «Devi vivere», mi sono detta. E sono corsa a vomitare. Non si guarisce da una violenza, però si può imparare a conviverci.
D. La risalita è stata lunga?
R. Sì, ho iniziato una terapia psicologica, ma ho capito che dovevo tornare a sentire il mio corpo. Studiare la ciclicità ormonale mi ha aiutata. Poi mi sono avvicinata alla meditazione a alla metagenealogia, che aiuta a rintracciare nel passato familiare le ferite e curarle. Quando ho cominciato ad amarmi, la mia vita ha preso una svolta.
D. Cos'è successo?
R. Con un'amica, nel 2017, scriviamo sul palmo della mano Mi Diras Nur, in esperanto «Io dico basta», e lanciamo sui social un messaggio contro la violenza. Arrivano risposte da tutta Italia, ma anche tante richieste di aiuto. La mia associazione è nata così: ho cercato un avvocato, una psicologa, ho organizzato corsi di autodifesa e cerchi di donne per raccontarsi. Nel frattempo, con la mia attività di coach olistica ne ho aiutate tante ad acquistare consapevolezza e diventare imprenditrici. Dopo il lockdown ho aperto l'accademia, Orme di luna, con corsi gratuiti per diventare coach olistiche. Il mio obiettivo è aiutare le donne a imparare ad amarsi.

Ago e filo per «cucirsi» un futuro
Piera Manfreda, 65, vicepresidente di Telefono Donna Como
Siamo un centro antiviolenza attivo da trent'anni, abbiamo uno sportello di ascolto, un numero verde, psicologhe e avvocate. C'è una casa rifugio, con un indirizzo segreto, che ospita le vittime più a rischio. Organizziamo gruppi di auto-aiuto e abbiamo uno sportello per l'orientamento al lavoro che collabora con altre realtà della zona. In tanti anni di attività ci siamo rese conto che c'è una forma di violenza di cui non si parla: quella economica.
Molti uomini tengono le compagne all'oscuro della gestione dei conti di casa. Tante, quando arrivano da noi, non sanno nemmeno quanto guadagna il marito. Tirarsi fuori da certe situazioni è più difficile, specie se lui ti minaccia di portarti via i bambini: «Non te li assegneranno mai, perché non lavori e non sai fare niente».
D. Cosa avete fatto?
R. Il 20 ottobre abbiamo attivato un corso di sartoria nell'atelier Cou(L)ture Migrante, dove cinque donne imparano l'arte del taglio e del cucito per rimettersi in gioco. Alla fine del corso, le donne avranno le competenze di base per poter accedere a stage e borse lavoro. Stiamo creando alleanze con aziende del territorio comasco, che ha una lunga tradizione nel settore tessile. Le prospettive non sono solo nella moda, ma anche presso tappezzieri e artigiani. Se tutto andrà bene, il progetto continuerà poi con tante altre donne.

Una marmellata ci salverà
Nicoletta Cosentino, 50 anni, ideatrice di cuoche combattenti
Il mio è un laboratorio artigianale di conserve e prodotti da forno che a Palermo dà lavoro a cinque vittime di violenza. L'idea mi è venuta nel 2017, mentre facevo la salsa. In quel periodo ero seguita dal centro antiviolenza «Le Donne Onlus», al quale mi ero rivolta per avere un aiuto legale per separarmi, dopo 15 anni di matrimonio. A casa non c'erano calci, pugni o spintoni. C'erano, però, urla e minacce. Vivevo in un costante stato di paura, evitavo di esprimere desideri, bisogni e opinioni perché temevo accessi d'ira.
D. Come l'ha realizzata?
R. Al centro mi hanno aiutato a chiedere un finanziamento, all'inizio producevo solo marmellate. Poi ho affittato un negozietto con cucina, attivato un tirocinio per due vittime della tratta. Siamo partite a settembre 2019, a Natale avevamo già tantissime consegne da fare e ho assunto altre due donne. Durante il lockdown abbiamo attivato l'e-commerce. Ora cerchiamo negozi etici in tutta Italia per vendere le conserve. Sui prodotti ci sono frasi come: «Chi ti ama non ti controlla». Spero che, leggendoli, in tante si decidano a chiedere aiuto. Sergio Mattarella mi ha insignita del titolo di Cavaliere dell'Ordine al Merito. Una gioia, soprattutto perché è stato riconosciuto il valore del mio progetto e tante donne hanno scoperto che esistiamo. E che da certe situazioni si può uscire.

Un lavoro per diventare autonome
Giusy Nuri, 41, della Cooperativa sociale Soleinsieme
Facevo volontariato al centro antiviolenza «Agata», a Reggio Calabria, vedevo tante ragazze e signore che, trovato il coraggio di denunciare, non sapevano più dove andare perché non avevano un lavoro. Così è nata l'idea di renderle protagoniste di un progetto di cooperazione sociale: abbiamo avviato un'impresa di pulizie e una sartoria. In sette anni ne abbiamo aiutate più di cento: alcune lavorano ancora con noi, altre si sono messe in proprio.
D. Come funziona?
R. La nostra sede è in un bene confiscato alla 'ndrangheta. Le donne vivono nel centro antiviolenza, le assumiamo con contratti regolari. Così, quando arriva il momento di lasciare il centro, riescono a prendere una casa in affitto. Nella sartoria si fanno riparazioni, abiti su misura e gadget. C'è anche un negozietto. Ma la cosa più bella è che, mentre cuciono, parlano, si raccontano, capiscono che non sono sole. Ora ci stiamo mettendo in contatto con altre sartorie sociali, vorremmo creare una rete e avviare una produzione più grande, per aiutare più donne possibile.
Tamara Ferrari



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