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Corriere dei Ciechi

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Numero 12 del 2021

Titolo: ATTUALITÀ- Salviamo le nostre tradizioni

Autore: Cristina Minerva


Articolo:
Il volo ha avuto da sempre per l'uomo un fascino che non si può dubitare. Anche i bimbi hanno frequentemente visto nel volo il meglio delle proprie possibilità di gioco: si pensi al salto, all'altalena, all'arrampicamento sugli alberi, agli aeroplanini di carta e via discorrendo.
L'aquilone ha saputo rispondere efficacemente a questo bisogno di librarsi nell'aria, con grande soddisfazione e senza il conseguente rischio icariano.
A questo gioco si sono destreggiati numerosi bambini, di epoche ormai sbiadite dal tempo, con vestitini alla marinara e lunghi fili per pilotare il proprio meraviglioso oggetto volante.
Nelle zone di mare, dove l'aria non è mai ferma, ma si rincorre nei corridoi del cielo, spinta dalle brezze di mare e di terra che fluttuano simulando capriole aeree, è particolarmente agevole sfruttare le correnti per giochi di questo tipo.
L'aquilone è paragonabile a un piccolo aliante veleggiatore, conosciuto da tutti e costituito da un leggero telaio di legno o metallo ricoperto di carta velina o tela leggera.
Un tempo il materiale era reperito fra gli scarti e dava al piccolo costruttore stimoli per la creazione di manufatti sempre diversi e originali. Questo creativo e ingegnoso sistema aerodinamico formava ieri come ora, seppur sempre meno frequentemente nella pratica ludica attuale, una specie di sistema di vele che si sostenevano in aria grazie alla spinta del vento e la portanza dell'aria. A terra, un manovratore aveva il compito di trainare l'oggetto con un filo molto lungo, arrotolato a rocchetto e abbastanza robusto. Ogni piccolo soffio di brezza era utile per seguire le opportune direzioni verso cui spingere l'aquilone. Con sapienza si poteva imprimere l'impulso al filo per permettergli di sollevarsi costantemente, rimanendo in quota e potendosi così librare perfettamente dinamico e orizzontale nel cielo. I fattori più importanti per il mantenimento dell'equilibrio dell'attrezzo erano proprio il peso e la reazione del cavo di traino. L'aquilone, come molti altri giochi, ha un'origine molto lontana nel tempo: ancora una volta pare che la sua invenzione debba essere attribuita ai cinesi (ancora oggi possiamo ritenere il popolo cinese maestro mondiale dell'arte del volo degli aquiloni). Esistono antichi documenti cinesi scritti che descrivono l'aquilone più che come gioco come strumento magico e rituale di collegamento con l'aldilà, simbolo delle anime di chi ci ha preceduto nel mondo, che sembrano incapaci di staccarsi dalla vita terrena. In conseguenza di questa credenza popolare l'aquilone veniva usato per innalzare al cielo preghiere.
In Melanesia e Indonesia, invece, questo attrezzo volante era impiegato in tempi antichi e forse ancora oggi, soprattutto in zone sottosviluppate dove si pratica ancora la pesca con sistemi primitivi, come elemento ausiliario di questa attività per trainare una lenza con l'esca.
Lo studioso A.G. Haddon immagina che l'aquilone sia stato un dono che l'Oriente avrebbe offerto all'Europa in cambio della trottola al tempo dei primi scambi commerciali e culturali tra queste due parti del mondo.
In Corea si narra che l'aquilone fosse stato usato perfino nelle antiche guerre di quel paese contro il Giappone e paesi limitrofi. Una volta un generale avrebbe infatti fatto ricorso ad uno stratagemma psicologico per rincuorare i soldati che, vedendo una lanterna tenuta alta nel cielo per mezzo di un aquilone, pensarono ad un astro propizio. Un'altra volta si riuscì a gettare un ponte sopra un torrente impraticabile con l'abilità tipica di chi sa ingegnarsi in mille modi. Sempre in Corea le disgrazie dell'anno trascorso erano caricate sull'aquilone e allontanate così con il vento dai villaggi.
La grande genialità dei cinesi si manifestò nel 206 a.C. quando, sfruttando l'aquilone come misuratore di distanza, un capo di quell'esercito, utilizzando lo strumento come terzo punto di riferimento, riuscì a calcolare con la trigonometria la distanza effettiva di una fortezza nemica.
Un esempio occidentale famoso dell'uso di un aquilone è quello dell'esperimento di B. Franklin che, nel 1752, munendo lo strumento di un filo di ottone, riconobbe la natura elettrica del fenomeno del fulmine e, di conseguenza, inventò il parafulmine, fortunatamente senza conseguenze gravi per sé e per la sua intraprendenza.
Il gioco dell'aquilone era uno di quelli prediletto dai ragazzi. L'emozione nel vederlo volare nell'aria contagiava facilmente anche gli adulti tanto che ci viene spontaneo pensare: "E se, in molti casi, i primi e veri inventori fossero stati i bambini? Se fossero stati gli adulti ad essere stati ammaliati dall'incredibile semplicità e funzionalità dei "brevetti infantili" e ad appropriarsi così dei semplici e originali manufatti inventati dai ragazzi"? Questo dubbio ci alletta, aprendo nuove strade alla conoscenza del mondo infantile: forse i bambini, proprio perché sostenuti da immediatezza, linearità, innocenza e disinteresse possono essere stati veramente loro, in molti casi, i primi abili e potenziali inventori mossi, al di là di ogni falsa retorica, dal solo scopo di divertirsi e stare insieme per il solo gusto di divertirsi.
Sono questi i momenti sereni della compagnia ricordati anche da G. Pascoli. I suoi pensieri tornano indietro nel tempo, ai luoghi della sua infanzia, quando, con gli amici, faceva volare in alto gli aquiloni:
"... un'aria d'altro luogo e d'altro mese/ e d'altra vita: un'aria celestina/ che regga molte bianche ali sospese.../ Sì, gli aquiloni!"./ e or siam fermi: abbiamo in faccia Urbino/ ventoso: ognuno manda da una balza/ la sua cometa per il ciel turchino./ Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,/ risale, prende il vento; ecco pian piano/ tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza./ S'inalza; e ruba il filo dalla mano,/ come un fiore che fugga su lo stelo/ esile, e vada a rifiorir lontano./ S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo/ petto del bimbo e l'avida pupilla/ e il viso e il cuore, porta tutto in cielo./ Più su, più su; già come un punto brilla/ lassù lassù... Ma ecco una ventata/ di sbieco, ecco uno strillo alto... Chi strilla?
L'aquilone si alza nel cielo e srotola il filo che il ragazzo tiene nella mano. È paragonato dal poeta a un fiore, che il vento strappa dal suo fragile stelo per portarlo lontano, dove rifiorirà dando origine a una nuova pianta: è il succedersi della vita nel ciclo della natura.
L'aquilone alzandosi sembra trasportare in cielo anche i fanciulli: i loro piedi che continuamente saltellano per seguire il volo dell'aquilone, il loro respiro affannoso, l'occhio che ne segue sempre più in alto e il viso, il cuore, ovvero l'emozione di quel magico momento.
E il volo diventa realtà nella mente e nel cuore di ogni pilota, guidando con maestrìa il proprio variopinto aquilone.

Il macramè e la cunetta
Una attività artistica di grande attrattiva anche oggi per i cultori del bel ricamo e dei merletti è sicuramente il prestigioso macramè, che orna le più preziose biancherie di nostalgici amanti del meraviglioso intreccio di fili che dà origine a questa pregiata trina.
Il macramè è un merletto consistente, di origine moresca, eseguito con una serie di nodi, che nel loro insieme formano disegni e sfondo al tempo stesso.
La produzione del macramè ha contrassegnato anche i momenti dell'infanzia e della prima giovinezza di tante bambine dei tempi passati, che, imparando il lavoro tramandato dalle madri e dalle nonne, sono diventate a loro volta abilissime ricamatrici.
Quando il lavoro abile delle mani non aveva la possibilità di proporsi nei giochi, ormai oggi tanto diffusi sul piccolo schermo del cellulare o su playstation, diventava molto piacevole utilizzare le energie sempre abbondanti per apprendere una particolare destrezza volta al ricamo. Ancora oggi quelle ragazze di allora, che hanno avuto la gioia di raccontarsi, vorrebbero intrecciare i nodi, che hanno permesso loro di realizzare vere e proprie opere d'arte, ma le loro mani tremano un po' tradendo un'età che si avvicina all'esigenza di riposo e di inattività. Un passatempo lieto era quello di giocare con un cordoncino alla cunetta, che, in qualche modo, anticipava o seguiva l'abilità manuale necessaria per il ricamo. Un pezzo di cordetta, un avanzo di lana o una funicella erano sufficienti alle bimbe per divertirsi utilizzando la propria capacità di movimento agile delle dita.
Anche i ragazzini dei litorali hanno sempre avuto innata, infatti, per tradizione generazionale e per esigenza ambientale, la capacità di intrecciare reti, osservando gli adulti dediti alla pesca. Le bambine, dal canto loro, si destreggiavano già molto precocemente in virtuosismi manuali trasformando la stessa predisposizione dei maschi e trasferendola nelle artistiche creazioni del macramè.
Il gioco della cunetta era sicuramente un modo più disimpegnato e gradevole di passare il tempo adeguando allo svago la stessa manualità.
L'uso della mobilità fine delle falangi, quindi, era maturato, il più delle volte, in ben più seri impieghi della manipolazione e solo tra lavoro e lavoro era possibile, ogni tanto, abbinarsi ad un compagno seduto di fronte per passare con lui tra le dita, ora dell'uno ora dell'altro, il filo, intrecciandolo e tendendolo, avvolgendolo o estendendolo in un susseguirsi di curiose figurazioni sempre più complesse. Il gioco della cunetta si concludeva con una figura finale in cui la funicella era intrecciata in modo tale da sembrare un'ardimentosa doppia croce di Sant'Andrea, che poteva essere tesa su un dito o su un altro, alternativamente, per procedere a tirare e a mollare i due capi opposti come se si trattasse di un elastico. L'evoluzione del gioco prevedeva anche una figurazione che simboleggiava una "culla", da qui il nome del passatempo. Quest'ultima fase era accompagnata da una cantilena.
Anche questo gioco, come molti altri, trova in quasi tutte le culture una analogia. Sono frequenti in molte zone del mondo riferimenti a figure intrecciate per mezzo di una funicella tesa tra le mani. Resta un mistero il fatto che tanti popoli diversi e sicuramente con usi e costumi differenti (dai Maori della Nuova Zelanda agli Indiani dell'America Settentrionale fino a giungere alle tribù africane e ai lontani Esquimesi dell'Artico) possano comporre figure così simili usando uno spago.
I giapponesi destinano questa abilità, chiamata culla con lo spago, alle ragazze, ma non è infrequente trovare anziani giapponesi capaci di comporre mirabili figure (è nota la strabiliante capacità di questo popolo di utilizzare i materiali più semplici per creare con facilità prodotti ingegnosi, per esempio manipolando abilmente la carta con l'arte dell'origami o realizzando composizioni floreali con l'arte dell'ikebana).
Tra gli esquimesi Chugach, la tradizione assegna alle fanciulle il gioco della culla di spago. I ragazzi Inuit sono esortati a non praticare questo passatempo perché esiste la credenza superstiziosa che, abituandosi troppo a questi intrecci complessi, le loro dita potrebbero rimanere impigliate nella corda degli arpioni durante la pesca, perdendo così l'abilità nel manovrare fiocine.
Gli indiani Navajo, del sud-ovest degli Stati Uniti, sono così abili nelle composizioni con lo spago tra le dita che gli etnologi hanno battezzato alcune combinazioni "figure alla navajo".
La cunetta ha portato a molti bambini di ieri il suo carico di fantasiose configurazioni simili a geometriche forme artistiche così rapide nella creazione quanto veloci nella trasformazione. Il gioco della cunetta, come molti altri che ho già potuto trattare, ha la caratteristica di esigere uno strumento molto semplice e di uso comune, di molto facile reperimento, un filo tra le dita e, come si può ben immaginare, anche un ulteriore ingrediente, "piccole porzioni di tempo", per realizzare figure, che la fantasia può far diventare singolari compimenti di idee, che solo la mente infantile è in grado di abbellire all'infinito.



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