Logo dell'UIC Logo TUV

Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

torna alla visualizzazione del numero 22 del Kaleîdos

Numero 22 del 2021

Titolo: Se dopo l'abuso ti senti in colpa

Autore: Ilaria Amato


Articolo:
(da «F» n. 48 del 2021)
Succede a molte donne, alle quali si dice persino: «Te la sei andata a cercare». Una serie francese racconta i mille volti della violenza di genere. Tra le protagoniste, Sveva Alviti, ex tennista, modella e ora attrice che presto sposerà Anthony Delon (no, non si sono lasciati)
«Un uomo che usa il corpo di una donna senza chiederle il permesso». Questa è la violenza di genere secondo Sveva Alviti, attrice romana trapiantata a Parigi dove vive con il compagno Anthony Delon, figlio di Alain, e protagonista della serie di cortometraggi «H 24 - 24 heurs dans la vie d'une femme»: «Siamo 24 attrici e ognuna racconta un abuso in un monologo di pochi minuti. 24 storie per 24 ore, perché in una giornata subiamo abusi di ogni tipo: dal commento pesante per strada al maestro di danza che allunga le mani. Ma la cosa più brutta sa qual è? È essere costrette a far finta di niente, ad andare avanti, come se nulla fosse, star zitte per paura di non essere credute, di ritorsioni. E io come attrice voglio dar voce alle donne che non hanno la possibilità di parlare».
La serie in Francia è un successo e andrà anche nelle scuole: «Tutti, maschi e femmine, devono imparare qual è il limite da non superare. Accadrà di nuovo, dobbiamo fermarli».
D. Lei nella serie che violenza subisce?
R. Vengo drogata e stuprata. Il mio personaggio fa la cuoca e, mentre racconta quello che le è accaduto, pulisce degli scampi; si vedono le sue mani che violano un corpo inerme senza pietà. Ecco, quella scena rende perfettamente l'idea della violenza subita, un atto crudele a cui la vittima non può opporre resistenza. Il monologo è stato scritto da Nadia Busato, che ha vissuto un'esperienza simile: andando a un concerto con un'amica, ha conosciuto due ragazzi, sono andate a bere una birra insieme e dopo gli uomini le hanno stordite e hanno abusato di loro.
D. C'è chi direbbe che se la sono andata a cercare.
R, È una scusa che non regge. Il mio personaggio è una donna che sta passando un brutto periodo, una sera esce per distrarsi un po' e bere un calice di vino, conosce un uomo che le versa questa droga dell'oblio nel bicchiere e la violenta. Davvero si può pensare che se la sia andata a cercare?
D. Teme che possa capitare a lei?
R. Sì, è una delle mie più grandi paure. Parlo del timore di perdere il controllo del proprio corpo, che poi invece in qualche modo conserva la memoria di ciò che è accaduto: dopo l'abuso ti senti sporca, offesa, ferita.
D. Ha mai provato qualcosa di simile?
R. Non ho mai subito violenza, ma conosco quella sensazione di impotenza e umiliazione, di sentirsi usati. Quando facevo la modella e dovevo spogliarmi davanti a tutti, era come se il mio corpo non appartenesse a un'anima, a una persona. Allora avevo 17 anni e provavo fastidio, anche se non sapevo perché. Oggi ho capito che non era giusto, e che avevo ragione a sentirmi a disagio.
D. Cosa ricorda dei suoi esordi?
R. È stato un periodo bello e complicato. Prima di fare la modella, giocavo a tennis da professionista e passare dalla racchetta alla passerella non è stato semplice. È accaduto tutto in fretta: avevo fatto un concorso a Roma per l'agenzia Elite Model Look, mi hanno presa e dopo una settimana ero a New York, in un mondo nuovo dove non conoscevo nessuno. E mi sono trovata faccia a faccia con la vera solitudine.
D. Come mai ha abbandonato la carriera da tennista?
R. Perché avevo il talento, ma non la testa per diventare una campionessa. Quando giocavo contro avversarie più deboli mi prendeva il «braccetto», ovvero non azzeccavo più un colpo: avevo talmente paura di perdere che alla fine perdevo sul serio. Devi avere equilibrio se miri a essere come Serena Williams, io invece ero frustrata, piangevo in campo, avevo ansia da prestazione. Nella competizione non funzionavo, non ero fredda.
D. L'emotività è un difetto?
R. Dipende. Per fare l'attrice mi è molto utile, questo mestiere mi permette di entrare in contatto con i punti oscuri dell'animo attraverso l'arte. Giocare con le emozioni è la migliore opportunità che una donna con il mio carattere possa avere.
D. Com'è diventata attrice?
R. È iniziato tutto quattro anni fa. Vivevo a Miami e mi è arrivata la chiamata per partecipare al casting del film su Dalida. Non lo volevo fare perché non sapevo né cantare né parlare francese. La mia agente ha insistito e sono volata a Parigi. Le selezioni sono durate giorni, hanno visto 200 attrici, anche grandi nomi come Penélope Cruz. Al provino ho cantato «Je suis malade», inno disperato di una donna che non può vivere senza il suo uomo, lì ho tirato fuori tutto il tumulto di emozioni che avevo dentro, e mi hanno presa. Da allora la Francia mi ha adottata. E qui ho trovato anche l'amore.
D. Allora con Anthony Delon state ancora insieme.
R. Sì. La notizia che ci eravamo lasciati era falsa, ma ci ha messo un attimo a rimbalzare da un sito all'altro.
D. Avete smesso di postare foto insieme sui social, però.
R. Abbiamo deciso di vivere in modo più riservato il nostro amore. Ma abbiamo tanti progetti insieme. Abbiamo appena finito di girare un corto: io sono la regista, lui il protagonista.
D. Di cosa parla?
R. Di un argomento un po' delicato: un uomo che perde la madre.
D. È autobiografico? Nathalie Delon è scomparsa a gennaio scorso.
R. È solo lo spunto, poi la storia si sviluppa in modo diverso. Certo, la sua scomparsa ci ha molto toccato. Per me era un'amica, una donna con una forza incredibile, mi ci sono trovata subito.
D. E con suo suocero Alain Delon?
R. Non ci siamo ancora incontrati. Vive fuori Parigi e Anthony non ha un rapporto quotidiano con il padre.
D. Ha mai pensato cosa gli dirà al vostro incontro?
R. Che è un'icona con cui sono cresciuta. «L'eclisse» di Antonioni, con la grande Monica Vitti, è un film di culto per me.
D. Invece con Anthony come vi siete conosciuti?
R. A una cena da amici, due anni e mezzo fa. Sedeva di fronte a me, ma io non lo conoscevo. Abbiamo parlato per ore. È stato davvero un colpo di fulmine. Abbiamo tante affinità.
D. Malgrado la differenza d'età.
R. Venti anni, ma non li sentiamo.
D. Pensate ancora di sposarvi?
R. Sì, e di mettere su famiglia.
D. Lei vive con lui e due delle sue figlie. Andate d'accordo?
R. Molto. Viviamo nella stessa casa, formiamo une famille recomposée, una famiglia allargata, e funzioniamo bene. Le ragazze hanno 20 e 25 anni, sono serie, in gamba, studiano e lavorano. Per me sono amiche.
D. Vuole diventare mamma?
R. Sì. Spero succeda, ma non voglio mettere fretta al destino. Bisogna lasciare che la vita accada, perché a volte ci sorprende in meglio. Se in passato mi avessero chiesto: «Ti metteresti con un uomo di 20 anni più grande di te e con due figlie?», avrei detto di no. Ma poi ho conosciuto Anthony e tutto è cambiato.
Ilaria Amato



Torna alla pagina iniziale della consultazione delle riviste

Oppure effettua una ricerca per:


Scelta Rapida