Numero 21 del 2021
Titolo: Isteriche? No, diverse
Autore: Rosa Baldocci
Articolo:
(da «F» n. 46 del 2021)
Bagni gelati, feroci digiuni, punizioni corporali. Nell'800 così venivano torturate le donne che non si assoggettavano al volere dei padri. Figlie, mogli, sorelle ribelli, o semplicemente troppo libere. Lo racconta un film francese duro e poetico
Una distesa di cilindri neri.
Un mare di uomini vestiti a lutto invade le strade di Parigi, folla muta e immobile, rivolta verso il Pantheon. È il 1o giugno del 1885. Le campane suonano a morto. La salma di Victor Hugo, sommo poeta e scrittore francese, è esposta sotto la bianca cupola. Si racconta che quel giorno 3 milioni di persone siano salite sul colle di Sainte-Geneviève per rendergli omaggio. In mezzo a tanti uomini scuri una fragile figurina, i capelli raccolti a chignon, un corsetto di raso blu. Il suo corpo trema. Lo rivela il bagliore intermittente, la luce spezzata degli orecchini che indossa. Così incomincia il bel film «Il ballo delle pazze», diretto e interpretato da Mélanie Laurent, la biondina scelta da Tarantino per interpretare la volitiva, coraggiosa Shoshanna in «Bastardi senza gloria» (2009). E la Laurent, al suo quinto lungometraggio da regista, ci consegna un melodramma dalle tinte oscure, quasi sovrannaturali, ma appassionato. Un elogio femminile della «devianza», un patto ribelle tra donne che hanno imparato sulla loro pelle il prezzo della diversità, del venire meno alle ferree regole di un tempo che le vuole mansuete e dedite ai voleri dei padri. Presto impariamo che quella figurina dai capelli annodati sulla nuca è la bella, colta, ricca Eugénie (un'intensa Lou de Laàge), ragazza troppo intelligente e ribelle per la sua epoca. Esce da sola, frequenta locali dove si radunano gli artisti, discute animatamente col fratello, soffre di eccessi di gioia e tristezza, legge libri sullo spiritismo e sente presenze intorno a sé, insofferente verso tutte le ragazze della sua età destinate a ricchi matrimoni. Che fare di una figlia così? Che non dà speranza per un futuro di giusto, doveroso decoro? Che non si piega ai voleri del padre? E provoca, dunque, imbarazzo in società? La soluzione è facile e sbrigativa. Rinchiuderla. Crederla pazza. E così dimenticarla perché scandalosa. O sperare di farla rieducare ai compiti che rifiuta.
Chi sono i folli?
All'ospedale della Salpètrière, nella Parigi di fine 800, Eugénie non è la sola ragazza «diversa». Attorno a queste «anomalie della femminilità», ridotte dallo sguardo dei neurologi a semplici «corpi che non eseguono più i loro doveri», Jean-Martin Charcot, medico di gran fama che ispirerà anche Freud, sperimenta le sue teorie. Bagni gelati, feroci digiuni, punizioni corporali, ipnotismo, isolamento, continue visite ginecologiche sono soltanto alcune delle umiliazioni a cui Eugénie viene sottoposta. Questa giovane donna, con l'unica colpa di essere dotata di intelligenza, esuberanza e un potere negato ai più, vede con orrore davanti a sé l'abisso in cui sono precipitate le altre. Eugénie capisce che la depressione o lo stato psicotico in cui versano, il più delle volte, è stato causato da quegli stessi uomini che avrebbero dovuto occuparsi di loro. Sarà Geneviève (Mélanie Laurent), la capo infermiera, attratta dalla sensibilità e sofferenza della ragazza, ad avvicinarsi a lei, tentando prima un dialogo, poi aiutandola e alla fine stringendo un patto di ribellione contro quel mondo maschile che, a ben vedere, appare più sessualmente represso e disfunzionale di tutte le abitanti della Salpètrière stessa. E la resa dei conti avviene la notte del «Ballo delle pazze». Quando pubblico e medici si mescolano alle pazienti, in una notte di danze ed eccessi che sembra uscito dalle pagine di De Sade. Perché chi sono i folli quella notte? E quali sono i confini del lecito e dell'illecito?
Intanto, in America
Brava Mélanie Laurent a governare una storia tratta dall'omonimo romanzo di Victoria Mas, che porta in sé anche l'ombra del sovrannaturale. Perché Eugénie vede i fantasmi sul serio. «Ciò fa di lei una ragazza dotata di ipersensibilità, di immaginazione potente, non semplicemente una folle», dice la regista. «Le condizioni di vita a cui Charcot sottoponeva le sue «isteriche» erano quelle. E la cosa non avveniva solo a Parigi, ma ovunque». È vero. Proprio in quegli stessi anni, nel 1887, in America, la prima grande giornalista investigativa Nellie Bly raccontò nel libro «Dieci giorni in manicomio» un mondo di soprusi, violenze, maltrattamenti. Fingendosi vittima di violenti attacchi di paranoia, si fece rinchiudere nel manicomio femminile di Blackwell's Island, oggi Roosevelt Island, nell'East River di New York, per testimoniare con i suoi occhi ciò che vivevano le donne rinchiuse tra quelle mura. Quello che raccontò fu alla base della riforma dei manicomi americani: «A una donna bastava essere povera, straniera, ripudiata o reagire alle molestie maschili per essere internata in manicomio. Solo la tortura può portare alla malattia mentale più velocemente del trattamento a cui vengono sottoposte le donne a Blackwell's».
Così andava in Italia
A provare poi che tali metodi non appartengono solo a un secolo come l'800 c'è il saggio «Malacarne. Donne e manicomio nell'Italia fascista» (Donzelli) della storica Annacarla Valeriano, con le storie e i volti di migliaia di sventurate destinate a consumare le loro esistenze in quei luoghi, prima che la legge Basaglia (1978) li facesse chiudere. Sono soprattutto donne vissute durante gli anni del regime fascista. E in questa fase storica che in manicomio finisce la «malacarne», composta da «coloro che si discostano dall'ideale della sposa e madre esemplare, e che con le loro condotte intemperanti, con le loro esuberanze, con la loro inadeguatezza fisica, rischiano di intaccare il patrimonio biologico e morale dello Stato. Esse dovranno essere rieducate attraverso la disciplina manicomiale», scrive la Valeriano. Sono «le madri inadeguate che hanno ricusato un ruolo materno vissuto come costrittivo, oppure le ragazze ribelli, colpevoli di non saper controllare pulsioni sessuali, caratteri indomiti, e assimilate, in diversi casi, a vecchie figure patologiche come le isteriche di Charcot». Ma anche donne che oggi tutti sarebbero naturalmente portati a «tutelare», come «le vittime di violenza carnale, o dei traumi di guerra».
Per ritornare al film, non è un caso che la Laurent abbia scelto di aprirlo coi funerali di Victor Hugo, evocazione indiretta e omaggio silenzioso a quella figlia, Adele H, resa folle dal troppo amore e resa eterna dal film di Francois Truffaut.
Rosa Baldocci