Numero 11 del 2021
Titolo: ATTUALITÀ- Si può fare
Autore: Federica Carbonin
Articolo:
L'ing. Francesco Canini e le sue numerose passioni
Buongiorno cari lettori, per questa nuova puntata della rubrica ideata dal comitato pari opportunità UICI Roma sono tornata nella mia Regione. A Rieti ho incontrato un amico, l'ingegner Francesco Canini. Classe 1980, non vedente dalla nascita.
D: Ciao Francesco. Sapevi che sono veramente pochi i non vedenti assoluti? Solitamente almeno un po' di luce si percepisce, anche tu riesci a captarne un po', giusto? Raccontaci la tua storia.
R: Ciao Federica! Sì, anche per me è così: mi accorgo se il cielo è sereno o nuvoloso, se andando in macchina entro in una galleria, cose di questo genere. Nato ad Orvieto, mi sono trasferito a Rieti a pochi mesi di vita. Dopo i cinque anni di elementari e i tre di medie frequentati in una scuola situata in un paese vicino Rieti, mi sono iscritto al liceo scientifico della mia città. Mi ritengo fortunato perché con i compagni di scuola ho ancora ottimi rapporti.
D: Sono anni ormai che ti sei laureato in ingegneria, impresa che potrebbe sembrare impossibile, soprattutto quando lo hai fatto tu poiché non era disponibile la strumentazione odierna. In questo la tecnologia ha fatto miracoli. Tu ci hai dimostrato che "si può fare" e si poteva fare anche allora quando hai portato a casa una bella laurea con il massimo dei voti e lode annessa.
R: Mi sono laureato nell'ormai lontano 2005, il 27 maggio, uno dei giorni più felici della mia vita. Meraviglioso il periodo universitario: studiavo soltanto ciò che mi appassionava, non più italiano o storia, vivevo da solo a Roma, una grande città che, se da una parte ha molte barriere architettoniche, dall'altra offre molti svaghi. Non è stata una passeggiata, le cose da studiare erano molte, la tecnologia non era sviluppata come ora, ma qualche ausilio c'era: avevo un portatile pesantissimo per prendere appunti e un bellissimo registratore a nastro per registrare le lezioni. Se fosse esistito internet e la possibilità di studiare su libri in formato elettronico, sarebbe stato più semplice, ma tenacia e passione hanno prevalso e sono riuscito ad andare avanti anche grazie al prezioso supporto di mio padre. Ingegnere anche lui, mi ha registrato tutti i libri su cassetta, descrivendone le figure e gli schemi; io studiavo con cassetta nel registratore e piano in gomma alla mano. Esame dopo esame, anno dopo anno, mi sono trovato al giorno della laurea quasi senza accorgermene!
D: Oltre lo studio, lo sport: come nasce la passione per il ciclismo? Andavi in bicicletta insieme a tuo padre, non in tandem, non ti piace vincere facile! Lui ti dava le istruzioni da dietro, non avevi paura?
R: Perché parli all'imperfetto? Mi fai troppo vecchio? Ci andrei anche adesso in bici, se non piovesse, pensa che mi chiamo Francesco in onore del grande corridore trentino Francesco Moser. Come l'ingegneria, anche questa passione me l'ha trasmessa papà che da giovane correva in bici; seguivamo tutte le corse in tv, probabilmente ho imparato prima ad andare in bici che a camminare. Quando mio padre ed io usciamo in bici, siamo affiancati sulla strada, ognuno sulla sua. In salita mi dà istruzioni, mentre in pianura mi oriento ascoltando il rumore della ruota che si riflette sul ciglio destro della strada; a sinistra mio padre sulla cui bicicletta è montato un cicalino che periodicamente emette un beep. In discesa usiamo un'altra tecnica: papà tiene la sua mano poggiata sulla mia spalla perché andiamo troppo veloce ed essere solo per me sarebbe impossibile. Siamo due grandi amanti che ogni estate percorrono i passi dolomitici. Senza dilungarmi in descrizioni il più terribile finora battuto è il Passo Giau.
D: Tuo padre, evidentemente amante dello sport, ti ha introdotto anche allo sci. Gli atleti paralimpici ricevono le istruzioni in cuffia, anche voi facevate così?
R: Come il ciclismo, è un'attività che non ho abbandonato, quindi puoi usare il presente. Ricevo istruzioni in cuffia e pratico sia sci di fondo che sci alpino, il primo al Terminillo, il secondo in Trentino.
D: Un'altra tua passione sportiva il ballo, nello specifico il tango. Praticato da solo, o meglio in coppia, ma senza "l'accompagnamento" di tuo padre. Eri l'unico ragazzo con problemi di vista nel tuo corso, ma non hai mai incontrato difficoltà. Perché hai abbandonato?
R: Una bella parentesi quella del tango. Ero l'unico disabile, ma l'handicap visivo non costituisce un ostacolo per questo tipo di ballo dove conta il contatto con il partner, è tutto un gioco di equilibrio e di punti d'appoggio. Difficoltà iniziale è stata quella di seguire la pista senza uscire dai bordi, ma come ogni attività, con la pratica diminuisce il margine di errore. Andavo a lezione dopo il lavoro, quindi spostando la sede da Roma a L'Aquila, ho dovuto abbandonare perché non ho trovato una scuola che logisticamente facesse al caso mio, magari un giorno riprenderò.
D: Sono anni ormai che hai un impiego fisso presso un'importante azienda informatica, immagino tu sia soddisfatto, ragion di più che sei uno dei pochi ingegneri non vedenti.
R: Sono soddisfatto della mia occupazione che ricopro da quindici anni, lavoro in Leonardo, la ex Finmeccanica. Sono impiegato nel laboratorio software e mi occupo sia di programmazione che di definizione di specifiche tecniche. Mi auguro che la mia esperienza sia utile per l'azienda affinché consideri di assumere persone appartenenti alle categorie protette e che in particolare i disabili vengano considerati anche per ricoprire posizioni di rilievo perché trovo incredibile che nel 2021 si pensi al cieco sempre e solo come il centralinista. Ancora oggi, quando parlo con una persona per la prima volta e racconto che lavoro in Leonardo, mi si pone sempre la stessa domanda: "quanti siete al centralino?". Quando si assume un disabile lo si deve mettere nelle condizioni di lavorare al meglio, quindi l'altra speranza che nutro è che con il tempo ci si renda conto che servono software accessibili e che le case produttrici ci dedichino sempre più attenzioni, io ad esempio a volte devo fare salti mortali per utilizzare i tool aziendali, questo mi fa perdere energie e soprattutto tempo, facendomi sentire meno competitivo.
D: Prima a Roma, poi sei stato trasferito a L'Aquila, raggiungi il tuo ufficio con i mezzi pubblici, trovi o hai trovato difficoltà nell'effettuare il percorso?
R: Per arrivare in ufficio devo prendere prima il treno e poi l'autobus. Con il trasporto ferroviario, che trovo estremamente efficiente anche per chi come me ha problemi di mobilità, mi trovo ottimamente; capitreno e macchinisti sono gentilissimi e il servizio di assistenza è encomiabile. i problemi sorgono in città, con i mezzi pubblici; quando lavoravo a Roma, sulla Tiburtina, ogni volta che dovevo andare in ufficio e tornare era un'impresa, macchine parcheggiate ovunque, pullman che non passavano, la Tiburtina da attraversare. A L'Aquila c'è un pessimo servizio di trasporto urbano, autisti che sbagliano percorsi, marciapiedi inesistenti.
D: La nostra intervista è giunta al termine, quindi Francesco, ti ringrazio e ti auguro buona fortuna.
R: Grazie a te!