Numero 11 del 2021
Titolo: ATTUALITÀ- Salviamo le nostre tradizioni
Autore: Cristina Minerva
Articolo:
La sediolina d'oro non era un gioco con regole o con modalità di partecipazione precise.
Certo, per chi ne aveva la possibilità, era fantastico stare seduto sul sedile formato dalle mani intrecciate di due compagni o, nei desideri più ambìti e non facilmente realizzabili, spesso dalle mani sicure di mamma e papà. Chiunque stesse in quella posizione si sentiva al centro del mondo.
Si formava in questo modo un seggiolino vero e proprio.
Il sedile, al centro della scena, era formato dalle quattro mani di due compagni, che afferravano in modo saldo uno dei quattro polsi, in sequenza ordinata, così da ottenere un doppio intreccio che facilitava il sollevamento e la sicura tenuta della struttura in cui ospitare, in posizione seduta, un terzo compagno.
Era un seggiolino d'oro pieno d'affetto perché costituito da braccia umane, che si prodigavano nello sforzo di mantenere sicura la presa e proteggere il piccolo ospite.
Tutti gli anziani parlano di questo seggiolino d'oro; ognuno rammenta di averlo provato, dapprima come sorretto e poi, più cresciutelli, come portatore.
Il massimo dell'allegria coincideva con il momento finale quando il ribaltamento del seggiolino umano imprimeva la spinta, che faceva saltare, atterrare al suolo e così ricominciare con altrettanta soddisfazione un'altra sequenza della sediolina d'oro.
Tutto questo svolgimento era accompagnato dalle parole di una filastrocca, ovviamente in dialetto, che spesso veniva anche cantilenata ed era diversa da una zona all'altra, poiché ogni località aveva variazioni nel proprio linguaggio locale. La nenia recitava così:
Sediolina d'oro/che pesa più dell'oro/l'oro e l'argento/che pesa più del vento/vento, ventone/getta in aria il sediolone
Il gioco, che aveva molte varianti regionali, ma non si discostava dalla semplice versione originale, era noto anche come "alla sègge de Monzegnore" (Bari), "sedia del Papa", "portesse an Papa in carca” (Piemonte), "fare predellucce" (Toscana), "siggitedda" (Milazzo), "a màmmara" (Napoli).
Diamo il nostro contributo a questa definizione aggiungendo anche una versione bellunese.
Caregheta d'oro,/che porta el me tesoro/che porta el me bambin/caregheta careghin.
Il bambino nella beata posizione provava la gioia di sentirsi cullato come su una improvvisata altalena che sorreggeva e dondolava, dedicando particolare importanza al protagonista del divertimento.
La sequenza non era di lunga durata, ma portava con sé una gioia completa tale che un "trono regale" non poteva racchiudere in sé.
Le mie guide, nel ricordo di questa bella immagine del passato, hanno voluto raccontare, nel loro immaginario, anche la storia di una sedia, altrettanto preziosa e ricca di fascinazioni leggendarie, che contiene l'origine di una creazione della città di Chiavari, che val la pena raccontare.
Questo è, infatti, un apprezzato manufatto di legno pregiato e paglia intrecciata che, per la sua eleganza è famoso e diffuso ovunque, noto soprattutto agli intenditori e ai raffinati cultori dell'intaglio.
Si racconta che un ardito falegname, tale Campanin, un giorno si costruì una sedia, come era solito fare. Alla fine della propria fatica, il valente artigiano, si trovò di fronte a una seggiola, che con il suo aspetto leggero ed esile, non prometteva un uso popolare e nostrano, come era richiesto dagli acquirenti, ma soprattutto, non prospettava, a vedersi, una durata nel tempo, con quelle sue gambette sottili, sotto la sapiente impagliatura.
"Eppure ho scelto il legno più stagionato ed elastico" - pensò tra sé il creativo intagliatore. "Devo provare che questa mia creazione non durerà come una sediolina d'oro da bambini".
Per mostrare la stabilità e l'affidabilità del suo elegante prodotto artigianale l'ingegnoso falegname cercava un collaudo esemplare, che fosse di assoluta efficacia per il proprio impegno professionale ma anche per la comunicazione dei risultati ottenuti.
I mezzi a disposizione per tale dimostrazione non erano molti, ma l'originale personaggio era pienamente fiducioso del proprio lavoro e trovò la soluzione. Salì con la sua bella sedia in cima al campanile più prossimo al suo piccolo laboratorio e la cosa gli fu particolarmente facile perché l'oggetto era leggerissimo. Arrivato in cima, dopo aver richiamato l'attenzione dei suoi concittadini con il suono delle campane, lanciò la sua opera nella piazza sottostante, tra lo sbigottimento generale e il sarcasmo di tanti.
La sedia arrivò al suolo e non solo non si ruppe, ma rimbalzò lieve come una piuma atterrando infine senza neanche una scalfittura in mezzo alla piazza gremita di pubblico accorso curioso per assistere all'evento.
Il capolavoro di Campanin ebbe immediata fama e si diffuse velocemente per le vicine contrade e, successivamente, per i confini cittadini e ben oltre. I fatti avevano dimostrato che la nuova creazione era una vera e propria robustissima ed elegante sedia d'oro.
La "Chiavarina" fu ideata nel 1807 dall'ebanista Giuseppe Gaetano Descalzi (detto "Campanino" poiché discendeva da una famiglia di campanari), che dietro l'invito dell'allora Presidente della Società economica di Chiavari, il marchese Stefano Rivarola, riadattò alcuni modelli di sedie francesi riconducibili allo stile Impero, favorendone l'apparato decorativo e limitando le sezioni delle materie strutturali. La sedia ebbe successo e in breve tempo sbocciarono moltissime manifatture a Chiavari e nei comuni limitrofi: alla morte di Gaetano Descalzi, avvenuta nel 1855, si contavano circa 600 operai impiegati nel settore. La chiavarina fu molto apprezzata da Carlo Alberto di Savoia, da Napoleone III e dallo scultore Antonio Canova.
Molti altri giochi da bambini erano simili a quello sopra descritto:
lo scaricabarile "scarreca varrile", in alcune città e regioni sinonimo di "cavallina", in altre di un gioco a squadre molto simile, che a Roma era "tre tre giù giù", e altrove "quatt'e quatta otto" (Baselice, Benevento), "oscaricabotto" scaricabotte (Cannara, Perugia), "salta la mula"(Pistoia) "o mammaredda", piccola mamma (Brindisi), in altre ancora, come nella capitale, di quel gioco, che a Napoli era piuttosto "vacanta varile" svuota barile e si faceva in due (ci si metteva schiena a schiena e, a turno, uno sollevava e l'altro si faceva sollevare); lo scarica la botte "scarreca la votta", in cui a essere scaricato era il bambino tenuto sulle ginocchia, come recitava una celebre filastrocca: "Trotta trotta cavallino per la strada del mulino; il mulino non c'è più: trotta trotta cadi giù".
I bambini di allora, spensierati e felici, si divertivano, inventando giochi fantasiosi, con pochi strumenti, la maggior parte delle volte con niente, dando sfogo alla loro riserva infinita di energie.
Alcuni ragazzi schiamazzavano mentre decidevano di giocare al "satamartin" o "scaricabarile", una variante della cavallina, che era forse uno dei giochi più semplici e vecchi del mondo, poiché "le spese d'impianto" erano praticamente nulle: occorreva solo saper saltare e avere qualche compagno disposto a piegarsi. Alcuni ragazzini facevano a pari e dispari: tre di loro perdevano e dovevano piegare la schiena, appoggiandosi al muro. Gli altri saltavano in groppa e cercavano di stare in questa posizione il più a lungo possibile, senza scivolare o poggiare i piedi per terra, mentre quelli sotto cercavano di resistere alla fatica, per un tempo stabilito, scandito dal ritornello, ripetuto più volte: Satamartin, sata a cavallo.
Di sotto però qualcuno franava miseramente, stremato dal peso e i tre sopra esultavano di contentezza: avevano vinto e obbligavano gli altri tre a ricominciare e a posizionarsi nuovamente ricurvi contro il muro... e avanti così con un nuovo divertimento". Naturalmente era molto frequente che fossero quelli sopra a cadere per la vivace irruenza dei sottoposti e quindi si invertivano le posizioni.
L'alternanza delle posizioni derivava dall'abilità personale e dalla volontà di stabilire semplici gerarchie di prevalenza nel gioco. Una variante di questo divertimento prevedeva invece lo scavalcamento del compagno, come in un volteggio sulla groppa di un supposto cavallo ginnico.
Vinceva ovviamente chi faceva il salto più lungo e più agile, ma il riconoscimento del primato dava adito spesso a intense discussioni, che non trovavano la sicurezza dei risultati. Le risate e i motteggi sottolineavano con l'acustica argentina le fasi del gioco. Altri spazi e altri passatempi aspettavano infaticabili concorrenti per ritrovare nuove idee e nuove volontà di passare con piacere il tempo con la gioia di crescere allegri e spensierati.