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Kaleîdos

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Numero 20 del 2021

Titolo: Donne coraggiose

Autore: Redazionale


Articolo:
«Dacci i soldi o pagheranno i tuoi figli».
Storia di Elisa
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
Il suono del cellulare a tutte le ore, giorno e notte. Lo lasciavo sempre acceso sperando che mi chiamassero dalla pizzeria dove ogni tanto la sera andavo a servire e a lavare i piatti per arrotondare lo stipendio. E invece, dall'altra parte, c'erano uomini che urlavano minacce terribili.
«Non hai idea di quello che ti succederà se non paghi. Sappiamo chi sei, dove abiti, dove giocano i tuoi bambini».
Uomini del racket. Loro non mi conoscevano davvero e io non sapevo chi fossero, ma le loro minacce erano convincenti. Però non avevo neppure i soldi per dar da mangiare ai miei figli. E avevo un debito di 50 mila euro.
L'angoscia mi assaliva ogni volta che suonava il telefono, ogni volta che un uomo per strada si avvicinava. Magari era un passante, un perfetto sconosciuto, ma io temevo che mi cercasse, che volesse i soldi che non avevo. Mi chiamo Elisa, sono impiegata in un ente pubblico e ho due figli che vanno ancora a scuola.
La mia storia è iniziata dieci anni fa. Ho contratto debiti senza nemmeno capire quello che stavo facendo. Pensavo che poco alla volta avrei pagato ciò che avevo comprato a credito. Il debito iniziale era di 12 mila euro: si trattava del primo finanziamento, chiesto per pagare il mobilio della casa dove sono andata ad abitare con mio marito, quando ancora lavoravamo entrambi. La cifra è salita tra interessi, more e nuovi finanziamenti chiesti per cercare di pagare il primo debito e per fare altri acquisti a rate. Così ci siamo trovati schiacciati da qualcosa molto più grande di noi: un debito di 50 mila euro.
Inanello molti errori
Il più grande è stato quello di aver comprato a credito cose che non potevo pagare. Ho fatto valutazioni sbagliate e ho quasi distrutto la mia vita mettendo a rischio il mio futuro e quello dei miei bambini per aver chiesto prestiti. Per cosa? Per comprare oggetti dei quali avrei potuto fare a meno: una macchina, una tv al plasma, una vacanza. Per cinque anni, anche se con uno stipendio di 1.100 euro, ho pagato la rata. Poi Nando, mio marito, ha perso il lavoro, che è sempre stato precario, ed è arrivato il nostro secondo figlio.
Il mio stipendio, l'unico, è stato ridotto al minimo dopo i primi sei mesi di maternità obbligatoria e non ce l'ho più fatta a pagare i 120 euro al mese più quasi 50 euro di commissioni e interessi. La mia esistenza, la nostra vita, si è trasformata in un incubo che è durato due lunghi anni.
Ho vissuto nel terrore che ci ammazzassero o che ci facessero del male. Non potevano portarci via alcunché perché non avevamo nulla. Niente era effettivamente nostro e vivevamo in affitto, ma per due anni ho convissuto con l'angoscia di quelle telefonate minacciose che arrivavano all'improvviso, come bombe nel cervello. Era come avere uno stormo di avvoltoi sulla testa o come se qualcuno si fosse impossessato di quello che restava della mia vita. Ben poco, se ci penso adesso, i miei pensieri erano limitati ai conti. Facevo i conti su tutto. La mia busta paga doveva bastare per pagare l'affitto, le bollette e il cibo per quattro persone. Figurarsi se ci potevano stare le rate.
Ero tornata al lavoro perché mio marito, ormai disoccupato, badava ai bambini, ma le persone che mi chiamavano al telefono - gli addetti al recupero crediti, anche se a me sembrava che facessero proprio un altro lavoro - minacciavano di portarmi via lo stipendio, di non farmi arrivare al giorno dopo. Ho cercato di spiegare che la mia famiglia stava attraversando un periodo d'indigenza, che le mie entrate erano il solo sostegno, e che non era per cattiva volontà se non stavo pagando quelle rate, ma non è servito a niente. Gli uomini che fanno quelle telefonate sono pagati per minacciare e non sentono ragioni: vogliono metterti paura per avere i soldi.
Capisco le persone che in situazioni d'indebitamento compiono gesti insani. Io non ho mai pensato di ammazzarmi, perché avevo i miei figli, ma so che non si intravede nessuna soluzione quando il denaro non c'è.
Inutile, non guadagno abbastanza
Cercavo lavori extra di tutti i generi, e oltre a fare l'impiegata, servivo ai tavoli saltuariamente in una pizzeria e lavavo le scale di due condomini. Avevo capito che la fine non sarebbe mai arrivata. Avevo accettato un paio di carte revolving che consentono di fare acquisti indipendentemente dai fondi disponibili sul proprio conto corrente, per poi ripagare il debito nei confronti dell'istituto finanziario con rate mensili costanti. Volevamo usarle per rimetterci in pari più facilmente, ma abbiamo fatto altre spese perché il trucco è proprio questo. Con le carte ti danno credito e tu, che sei un povero disperato incapace di gestirle, vai e ti compri a rate la tv ultrapiatta e la macchina nuova, e così sommi ai debiti che hai nuovi debiti cacciandoti ancora di più nel tunnel.
Da un inferno così non si può uscire se non con l'aiuto di chi conosce bene le fragilità di chi si indebita e le perversioni di chi sfrutta questa debolezza. E vi assicuro che i lupi non mancano.
L'ultimo è un uomo incontrato vicino a una finanziaria che mi ha offerto il suo «aiuto disinteressato», cioè 10 mila euro in prestito.
«Me li renderà un po' alla volta, con comodo, senza firmare alcuna carta» ha detto.
Quando sei angosciato e hai l'acqua alla gola è difficile pensare con lucidità.
Con 10 mila euro pensavo che avrei potuto estinguere subito una parte del debito di 50 mila e allontanare gli avvoltoi che mi telefonavano a ogni ora. Mi sembrava una soluzione comoda perché da troppo vivevo nell'angoscia che la mia vita e quella dei miei bambini si spezzasse per colpa dei soldi che non avevo. Eppure dentro di me è suonato un campanello d'allarme. Quell'uomo era stato così gentile e suadente da avermi fatto pensare ai cattivi di tante favole. Perché uno sconosciuto mi offriva una cifra così alta senza chiedere nulla in cambio? Gli ho promesso che gli avrei risposto il giorno dopo e l'ho salutato.
La Caritas è la nostra salvezza
Invece di tornare subito dai miei bambini sono andata al centro ascolto Caritas vicino a casa cui volevo rivolgermi da tempo. Mi hanno chiarito che si trattava di un usuraio e mi hanno consigliato di raccontare tutto alla polizia. Poi mi hanno dato una mano anche economica: 400 euro al mese con cui riuscivo a pagare l'affitto. Ogni quindici giorni la mia famiglia, per un lungo periodo, ha avuto aiuti alimentari.
All'inizio mi vergognavo terribilmente, poi ho capito che non c'era motivo: avevo fatto molti errori, certo, ma ero giovane e, parlandone con i volontari, ho capito che c'era un rimedio. Sono andata alla Fondazione San Bernardino Onlus, che assiste e sostiene persone sovraindebitate a rischio usura. Il loro ingresso nella mia vita è stato un sollievo: il telefono non suonava più. Nessuno mi minacciava, l'incubo si era finalmente concluso.
Quando mio marito ha trovato un lavoro da magazziniere ed eravamo sostenuti dalla certezza di due stipendi, abbiamo avviato le pratiche per l'inizio della transazione: il debito di 50 mila euro si è dimezzato perché i volontari hanno ottenuto sconti e condoni delle spese, abrogazione delle more e degli interessi. Da due anni stiamo pagando rate di 450 euro mensili ed entro tre saremo liberi definitivamente. Anche la mia denuncia dello strozzino alle forze dell'ordine ha avuto il suo effetto: quell'uomo è stato pedinato, colto in flagrante e arrestato.
Se avessi accettato i soldi, sarei stata un'altra delle sue tante vittime, invece mi sono ribellata per tutti.
Elisa, nome di fantasia, 44 anni, impiegata in un ente pubblico. Vive a Milano, con il marito e due figli.



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