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Kaleîdos

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Numero 20 del 2021

Titolo: «E così l'Arminuta è diventata un film»

Autore: Isabella Fava


Articolo:
(da «Donna moderna» n. 46 del 2021)
È arrivata al cinema la pellicola tratta dal bestseller di Donatella Di Pietrantonio. E anche sul grande schermo la storia della ragazzina abbandonata e poi restituita alla famiglia di origine «affonda nella parte più segreta di ciascuno di noi» confida la scrittrice. «Eppure la protagonista me l'ero immaginata diversa...»
Sulla copertina del romanzo «L'Arminuta» di Donatella Di Pietrantonio c'è il volto di una ragazza con le lentiggini e gli occhi scuri. È un volto dallo sguardo intenso, che sembra dirti: «Apri questo libro, dentro c'è la mia storia». Ho ritrovato lo stesso sguardo fiero e disperato nelle protagoniste dell'omonimo film, ora al cinema. L'Arminuta ha i capelli rosso tiziano e gli occhi blu della 14enne Sofia Fiore; mentre Adriana, la sorella piccola e vivace, ha gli occhi marroni di Carlotta de Leonardis, 8 anni appena. La pellicola è fedele al romanzo: racconta la storia, dolorosa, del ritorno nella famiglia di origine di una bambina cresciuta dai cugini benestanti. L'incontro con una realtà fino a quel momento a lei ignota, una vita fatta di stenti, di caos e a volte di rabbia, di nuove relazioni da costruire, ma anche di solidarietà e sorellanza. Rimangono impressi il senso di abbandono di questa ragazzina, la sua voglia di farsi accettare, la capacità di non affondare. Ricordo che, quando chiusi il libro, la vita e le esperienze dell'Arminuta mi accompagnarono per giorni, forse per mesi.
Donatella Di Pietrantonio è reduce dalla prima del film ed è super entusiasta: «L'ho guardato con gli occhi di una bambina che ha realizzato il suo sogno» mi confida. «È stato bellissimo vedere il mio libro trasposto in immagini, perché ho sempre avuto una grandissima passione per il cinema. Il regista Giuseppe Bonito è riuscito a portare in questa storia la sua grande sensibilità verso i bambini e gli adolescenti di cui aveva già dato prova nella sua prima opera, «Pulce non c'è». Ha una straordinaria empatia verso questa fase dell'esistenza così importante». L'Arminuta si affaccia alla vita, ha una personalità che si forma nonostante le difficoltà, un altro mondo da comprendere e la povertà. «Naturalmente un romanzo non può stare dentro a un film» mi fa notare la scrittrice. «Ma sulla povertà (quella di certe zone dell'Abruzzo degli anni 70, dove è ambientata la storia ndr), il regista è riuscito a essere autentico, senza mai cadere nei sentimentalismi».
Nel film, come nel libro, è fondamentale il rapporto con la madre, anche lei vittima delle situazioni, incapace di affrontare quello che sembra un destino già scritto, piegata da una cultura antica che ha deciso che i figli si possono cedere. «Le madri dell'Arminuta sono due, quella biologica e quella adottiva: a entrambe il regista ha rivolto uno sguardo più pietoso, nel senso alto del termine, rispetto al mio libro. Ci sono momenti di pianto improvvisi e viene fuori l'incapacità di donne che non sanno rispondere a questo ruolo difficilissimo. Le attrici Vanessa Scalera ed Elena Lietti sono fantastiche nel rappresentarle».
Il romanzo «L'Arminuta» ha vinto il Campiello nel 2017 e numerosi altri premi, grazie al passaparola ha venduto oltre 300.000 copie e con l'uscita del film è tornato in classifica. «Mi colpisce il fatto che sia ancora così vivo» dice Donatella Di Pietrantonio. «Credo sia accaduto qualcosa che non potevo prevedere mentre scrivevo, e che non era nelle mie intenzioni: cioè che questa storia e questi personaggi affondino nelle nostre fragilità. Tutti in qualche modo ci sentiamo abbandonati, come la protagonista. C'è qualche parte segreta, sacra, dolorante che evidentemente appartiene a ognuno di noi. E il pubblico vi si riconosce pur avendo vissuti completamente diversi: non è necessario essere ripetutamente abbandonati per sentire quella ferita». Vedendo il film ritroviamo le stesse emozioni, tratteniamo il fiato durante le lunghe sequenze silenziose, affondiamo negli occhi dei personaggi. Patiamo il freddo che sprigionano le mura dell'appartamento spoglio di Adriana e sentiamo il caldo sulla pelle dell'altra casa, quella dei genitori ricchi.
A un certo punto l'Arminuta dice: «Non sono un pacco che potete mandare di qua e di là». «Il film esprime molto bene questo suo essere spostata da una parte e dall'altra, l'essere alla mercé delle decisioni degli adulti» spiega Donatella Di Pietrantonio. Bravissime, per lei, le giovani interpreti: «Le ho incontrate, ma solo un giorno, perché eravamo in piena pandemia e il set era blindato. Carlotta de Leonardis è esattamente come avevo immaginato Adriana: secca secca e vivace, con una padronanza del dialetto difficile da trovare, perché oggi le bambine abruzzesi di quell'età non lo parlano. Invece Sofia Fiore è completamente diversa dalla mia Arminuta: avevo pensato questi figli un po' tutti uguali tra di loro, se non altro nei colori, mentre Sofia ha la carnagione chiara e i capelli rossi. Poi ho capito quanto il suo aspetto fosse funzionale a rendere anche visivamente il suo stato di spaesamento ed estraneità a questa famiglia a cui viene restituita forzatamente. È un'aliena. A un certo punto la vedrete scrivere un racconto su un'extraterrestre, ma in fondo sta scrivendo di se stessa».
Isabella Fava



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