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Corriere dei Ciechi

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Numero 9 del 2021

Titolo: RUBRICHE- Occhio alla ricerca

Autore: a cura di Andrea Cusumano


Articolo:
Dai batteri una proteina che potrà restituire la visione
Un paziente affetto da retinite pigmentosa avanzata è tornato a vedere luci e immagini grazie all'inserimento di una proteina batterica modificata - ChrimsonR - nella retina. Questo è il risultato dello studio pilota di fase 1/2a pubblicato recentemente sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Nature Medicine da alcuni ricercatori dell'Università di Pittsburgh capitanati dal Prof. José-Alain Sahel e dal Prof. Botond Roska.
La retinite pigmentosa è una malattia eredo-familiare che insorge nell'infanzia o nell'adolescenza e determina la morte progressiva dei fotorecettori e, di conseguenza, cecità. Questa patologia affligge più di 2 milioni di persone nel mondo e ad oggi non esiste una terapia approvata se non per una forma causata da una mutazione recessiva in omozigosi del gene RPE65.
Lo studio pubblicato su Nature Medicine ha utilizzato un approccio terapeutico innovativo basato su una tecnica denominata optogenetica, studiata da anni in molti laboratori di ricerca illustri ma ancora mai sperimentata sull'uomo. Questa tecnica si basa sulla terapia genica, ma non per compensare il difetto genetico che determina la patologia, quindi per evitare il danno alla retina, bensì per inserire nelle cellule della retina ormai danneggiata, che ha perduto i fotorecettori, una proteina in grado di rendere le cellule retiniche sopravvissute sensibili alla luce, in modo da sostituire funzionalmente i fotorecettori.
Nella retina sana i fotorecettori percepiscono la luce e generano uno stimolo nervoso che si propaga alle cellule gangliari, alle cellule bipolari e, tramite il nervo ottico, al cervello, che interpreta e traduce i segnali in immagini. Quando vengono a mancare i fotorecettori la retina non reagisce più alla luce e non si ha più visione. Facendo in modo che le cellule gangliari diventino responsive alla luce in modo simile ai fotorecettori, la retina può ancora generare un segnale visivo e inviarlo al cervello.
Questo è quanto è stato fatto nello studio dei ricercatori dell'Università di Pittsburgh, sfruttando le proprietà di una proteina fotosensibile di origine batterica modificata, ChrimsonR. La proteina esogena è stata trasferita nelle cellule della retina del paziente grazie alla terapia genica, ossia iniettando nell'occhio un vettore virale in grado di entrare nelle cellule gangliari e rilasciare al loro interno il DNA che fornisce a queste cellule le istruzioni per produrre la proteina.
Il paziente che si è sottoposto allo studio pilota ha dovuto attendere quattro mesi affinché la proteina venisse prodotta e integrata nelle membrane delle cellule gangliari. ChrimsonR funziona con l'ausilio di un paio di occhiali con telecamera integrata, capaci di rilevare le immagini di fronte al paziente e di ottimizzarle, inviando sulla retina, in tempo reale, immagini con lunghezze d'onda compatibili con lo spettro d'azione di ChrimsonR (595 nm). Le cellule gangliari che percepiscono la luce proveniente dagli occhiali inviano segnali elettrici alle cellule bipolari e, tramite il nervo ottico, al cervello. Il paziente percepisce dei punti luminosi di color ambra su uno sfondo nero che riflettono l'organizzazione spaziale dell'oggetto osservato.
Le immagini percepite dal paziente non sono simili a quelle "naturali" e il cervello ha bisogno di tempo e di un training mirato per imparare a discernerle. Dopo qualche mese il paziente è stato in grado di distinguere immagini ad elevato contrasto, come oggetti su un tavolo o strisce bianche disegnate sul pavimento, e di percepire il movimento di persone e oggetti. L'attività evidenziata a livello della corteccia visiva del paziente si è rivelata del tutto simile a quella dei pazienti con visione normale.
I risultati di questo studio rappresentano il primo caso di recupero visivo parziale ottenuto grazie all'optogenetica in un paziente che ha perso la visione a causa di una malattia neurodegenerativa. Il significato e le potenzialità dei risultati ottenuti con questo nuovo tipo di terapia sono di enorme portata, in quanto essa è indipendente dal tipo di mutazione che ha causato la patologia (e quindi la cecità) e non richiede un intervento precoce, ai primi stadi della malattia. La durata dell'effetto terapeutico sembra essere lunga (ad oggi due anni) e in ogni caso può essere rinnovata con un'ulteriore iniezione. Sono inoltre in fase di sviluppo altri studi che prevedono l'utilizzo di proteine diverse, alcune delle quali potrebbero funzionare anche senza l'ausilio degli occhiali.
Grazie all'optogenetica si aprono tante nuove strade terapeutiche che, insieme ad altre tecniche, rischiarano il futuro dell'oftalmologia e dei pazienti affetti dalle patologie dell'occhio che causano cecità.



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