Numero 17 del 2021
Titolo: Attualità- La Cina vuole limitare l'uso dei videogiochi online ai minorenni a tre ore alla settimana
Autore: Michela Rovelli
Articolo:
(da «Corriere.it» del 30 agosto 2021)
L'ulteriore stretta per combattere la dipendenza da videogiochi che, però, potrebbe essere anche una nuova mossa per limitare la libertà delle aziende tecnologiche locali
Non solo le ore da poter dedicare ai videogiochi saranno severamente limitate. Ma, per chi ha meno di 18 anni in Cina, ci saranno delle finestre ben precise in cui sarà possibile portare avanti partite online. Nello specifico, bambini e ragazzi cinesi d'ora in poi potranno giocare soltanto tre ore a settimana: dalle 20 alle 21 il venerdì, il sabato e la domenica. Piccolo strappo alla regola: i 60 minuti di «svago» si applicano anche ai giorni festivi. Così hanno deciso le autorità del Paese: le nuove disposizioni sono state pubblicate dalla National Press and Publication Administration.
Ma se torniamo indietro di un paio d'anni troviamo già il primo grande attacco alla sempre più diffusa dipendenza da videogiochi dei giovani. Dal 2019 i minori non possono giocare online dopo le 22 di sera. E non più di 90 minuti al giorno. Ora, l'ulteriore stretta. Per frenare l'uso (o abuso) che solo qualche settimana fa un giornale di stato ha definito una droga elettronica, o meglio «oppio spirituale» che sta «distruggendo una generazione». Non solo i ragazzini cinesi avranno a disposizione solo tre ore davanti al computer. La National press and Publication Administration li ha anche sollecitati a registrarsi con il proprio nome reale. E allo stesso tempo, ha chiesto a chi i videogiochi li fornisce di non accettare gli account che non abbiano dati reali. Gli sviluppatori (o i distributori) dovrebbero dotarsi anche di un sistema di riconoscimento facciale - come ha già fatto il gigante cinese del gaming Tencent - per monitorare il tempo di gioco dei minorenni. Misure, queste, che hanno l'obiettivo di «guidare attivamente le famiglie, le scuole e gli altri settori sociali per co-amministrare a governare e adempiere alla responsabilità della tutela minorile in conformità con la legge e creare per loro un buon ambiente di crescita sana».
Che la dipendenza da videogiochi, in Cina, sia un problema grosso e come tale va risolto con regole stringenti è una convinzione del governo. A marzo lo stesso presidente Xi Jinping ha sollevato la questione davanti all'Assemblea Nazionale del Popolo. Certo, i videogiochi hanno una diffusione enorme nel Paese. Circa metà della popolazione li usa (un esercito di più di 665 milioni di persone, con una crescita del 3,7 per cento rispetto all'anno precedente, dovuta anche ai lockdown per contrastare la pandemia), creando il più grande mercato al mondo. Da considerare dunque, l'altro lato della medaglia. Ovvero il giro d'affari che questo mercato produce. I ricavi quest'anno potrebbero superare i 45 miliardi di dollari, secondo Newzoo.
Un mercato fiorente, energico, dinamico, ma che sfugge al controllo del governo cinese. Così come tutta l'industria tecnologica. E gli attacchi - o meglio, i tentativi di controllo e regolamentazione - non sono mancati. Anzi, negli ultimi mesi ci sono sempre di più. L'ultimo arriva proprio insieme alle limitazioni sui videogiochi. La Cina ha dichiarato di voler rafforzare la «supervisione» sull'economia digitale e sulla protezione dei dati, intensificando le misure anti-monopolio. La discussione è stata portata avanti dalla Commissione sull'Approfondimento delle Riforme, presieduta proprio dal presidente Jinping. Un ulteriore passo avanti rispetto alla recente decisione di mettere fine agli sgravi fiscali straordinari, che di fatto alza le tasse che devono pagare i giganti tecnologici dal 10 al 20 per cento. E alla legge sulla privacy sul web di fine agosto, che ha fatto crollare i titoli tecnologici in Borsa. Un attacco all'economia più «libera» della Cina, che vede tra i suoi protagonisti anche il colosso Tencent (non solo il più grande distributore di videogiochi, ma anche creatore di Wechat, del social Tencent Qq e del servizio di musica in streaming Tencent Music) le cui azioni hanno subito diversi colpi negli ultimi mesi. E chi osa ribellarsi, paga. Come è successo a Jack Ma, il volto per eccellenza del capitalismo alla cinese. Dopo aver duramente criticato il sistema bancario cinese - con una «mentalità da banco dei pegni» che penalizza la «buona innovazione» - il fondatore di Alibaba (già aveva dovuto lasciare la poltrona di Ceo) è sparito improvvisamente dalle scene. Non poteva fare altro per salvare la sua creatura, già accusata di pratiche monopoliste, e che nel mentre ha perso circa 260 milioni di dollari nonché lo sbarco in borsa del suo braccio fintech, Ant, bloccato dallo stesso Partito mentre era sul punto di raccogliere 37 miliardi di dollari.