Numero 16 del 2021
Titolo: Spazio- Perché sulla Stazione spaziale internazionale si stanno coltivando peperoncini
Autore: Chiara Di Lucente
Articolo:
(da «Wired.it» del 21 luglio 2021)
Mangiare a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss) può diventare noioso, a causa del sapore standard dei cibi confezionati. Adesso le cose si potrebbero fare più gustose, anzi, piccanti. La scorsa settimana la Nasa ha annunciato che gli astronauti a bordo della Stazione spaziale internazionale stanno coltivando, per la prima volta, peperoncini rossi e verdi da sementi provenienti dal New Mexico. L'esperimento avverrà in una delle camere di crescita di piante della stazione spaziale e testerà sia le condizioni di coltivazione nello spazio, sia gli effetti dei vegetali freschi sul benessere degli astronauti.
Le verdure fanno bene: ai bambini, come agli astronauti. Infatti, proprio come succedeva ai marinai secoli fa, la carenza di vitamine presenti nella frutta e verdura fresca causerebbe diversi problemi di salute agli equipaggi di ambienti chiusi e difficili da raggiungere, come la Stazione spaziale internazionale. Gli alimenti confezionati conservati per lunghi periodi, di cui normalmente si alimenta l'equipaggio, forniscono pochi micro-nutrienti importanti per il benessere, come la vitamina C e la vitamina K. Inoltre, nello spazio, gli astronauti possono perdere parte del loro senso del gusto e dell'olfatto come effetto collaterale temporaneo della microgravità, e potrebbero perciò preferire cibi saporiti, conditi o piccanti. I peperoncini non solo sono in grado di dare molto sapore alle pietanze, ma sono ricchissimi di vitamina C (anche di più rispetto ad alcuni agrumi): queste caratteristiche li hanno resi i candidati perfetti per essere coltivati in orbita.
L'esperimento
L'esperimento si chiama Plant Habitat-04 (PH-04), ed è stato avviato dall'astronauta Shane Kimbrough. Non è la prima volta che Kimbrough conduce un esperimento simile. Ha già coltivato piante in orbita e nel 2016 ha assaggiato una lattuga romana piantata, cresciuta e raccolta interamente sulla stazione spaziale. È dal 2015, infatti, che gli scienziati cercano modi per integrare la loro dieta con cibi freschi. Ad oggi si contano una decina di raccolti «spaziali» diversi. Sulla stazione spaziale sono presenti ben tre camere di crescita per le piante: quella utilizzata per la coltivazione dei peperoncini è l'Advanced plant habitat (Aph). Questa camera di crescita utilizza luci a led e un fondo di argilla porosa con fertilizzante a rilascio controllato per fornire acqua, sostanze nutritive e ossigeno alle radici delle piante. La particolarità è che si tratta di un sistema automatizzato, con telecamere e oltre 180 sensori che possono essere controllati da remoto anche dagli scienziati che si trovano sulla Terra.
Il raccolto
I ricercatori hanno trascorso due anni a valutare più di due dozzine di varietà di peperoni da tutto il mondo, per scegliere la cultivar più adatta: alla fine sono state selezionate le sementi di un peperone ibrido della varietà Hatch, provenienti dal New Mexico. Una volta coltivati, i peperoncini cresceranno per quattro mesi, e poi saranno raccolti dagli astronauti, che ne mangeranno una parte (sempre che le caratteristiche organolettiche e chimiche siano quelle attese) e manderanno il resto sulla Terra, per essere analizzato. I risultati di questo esperimento porteranno nuove conoscenze sugli effetti della microgravità sulle coltivazioni di piante, ma anche sui benefici fisici e psicologici di curare le piante in ambienti chiusi.
«Coltivare verdure colorate nello spazio può avere benefici a lungo termine per la salute fisica e psicologica», ha detto Matt Romeyn, principal investigator dell'esperimento: «Stiamo scoprendo che coltivare piante e ortaggi con colori e odori aiuta a migliorare il benessere degli astronauti». Plant Habitat-04 guarda al futuro, ovvero missioni spaziali oltre l'orbita terrestre bassa in cui sarà difficile, a causa della lontananza, rifornire gli equipaggi di cibi freschi. «La sfida principale è quella di sostenere gli astronauti durante le future missioni verso destinazioni come la Luna, o infine Marte», conclude Romeyn.