Logo dell'UIC Logo TUV

Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

torna alla visualizzazione del numero 12 del Kaleîdos

Numero 12 del 2021

Titolo: Donne coraggiose

Autore: Redazionale


Articolo:
La 'ndrangheta ha ucciso papà
Storia di Ivana
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
«Forza bambini, è l'ora di alzarsi».
È il gennaio 1994, ho 8 anni, mio fratello Valerio ne ha 3.
Stanotte sono stata svegliata da uno squillo del citofono e ora sono sorpresa che a chiamarci sia la zia invece della mamma come gli altri giorni. E poi perché casa nostra è piena di persone? C'è un gran viavai di vicini e parenti. Ma ci sono anche dei colleghi di papà in divisa. Come mai loro sono qui e lui no? Lo penso, ma non ho il coraggio di chiederlo a nessuno, temo una brutta risposta.
Dopo due giorni non ce la faccio più: «Mamma, dov'è papà?».
Vestita di nero e soffocando le lacrime, mia madre, donna di grandissima fede, abbozza una risposta: «Ivana, siccome papà è il più buono e il più bravo dei carabinieri, Gesù lo ha scelto come soldato del suo regno».
«Quindi papà è morto?» le chiedo senza giri di parole. Non risponde. Un silenzio doloroso squarcia la stanza. All'improvviso, mi sento piccola piccola, ma quel dramma mi costringe a diventare adulta di colpo.
Mio padre, Antonino detto Nino, faceva il carabiniere, aveva solo 36 anni e gli hanno sparato mentre era in servizio con il suo collega Vincenzo Garofalo.
Era il 18 gennaio 1994, stavano facendo una ricognizione in auto sulla Salerno-Reggio Calabria quando dei trafficanti d'armi hanno iniziato a scaricargli addosso i loro mitra.
Papà ha risposto con l'arma di servizio: c'è stato un conflitto a fuoco. L'auto ha sbandato, si è fermata contro il guardrail. Un killer, freddo e spietato, è sceso giù dalla sua macchina e ha tirato colpi a distanza ravvicinata: è stata una vera e propria esecuzione.
Pochi giorni dopo ci sono stati i funerali in forma solenne nel duomo di Reggio, con le bare avvolte nel tricolore e portate a spalla dai compagni d'armi. I killer, di cui uno minorenne, sono stati arrestati un paio di mesi dopo, quando papà e Garofalo sono stati premiati con le medaglie d'oro al valor militare. Restava da far luce sui mandanti. Intanto sono stati commessi altri attentati contro i carabinieri.
L'ultimo ricordo
È viva più che mai nella mia mente l'ultima volta in cui papà mi mette a letto, mi rimbocca le coperte e mi dà un bacio sulla fronte: «Ci vediamo domani» dice prima di andare a lavorare. Dalla mattina dopo, la sua assenza diventa un vuoto incolmabile. Tutto pesa su di me come un macigno. Inizio a sentirmi diversa dai miei coetanei.
A scuola gli altri bambini mi emarginano. Molti sono figli di delinquenti. Come quello con cui litigo perché mi ha inciso sul banco «sei una sbirra».
«Almeno avevo un padre, invece il tuo non lo vedi perché è in carcere» gli dico.
E senza pensarci due volte, gli tiro uno schiaffo. Per fortuna veniamo separati dalla maestra.
La comunione senza di lui
Lo sognavo quel giorno, io con un abito da damina e lui orgoglioso. Ma non va così. Mi manca papà quando imparo ad andare in bici senza rotelle, quando inizio ad attraversare la strada da sola o il primo giorno delle medie, quando i professori ci chiedono che lavoro facciano i nostri genitori. Io un padre non l'ho più e quella domanda innocua mi ferisce.
Con gli anni, tiro fuori una forza che devo avere ereditato da lui, ma anche da mia madre, che cresce me e Valerio con grande coraggio e dignità, senza mai versare una lacrima.
Con la morte di papà, il rispetto per l'Arma continua a essere un caposaldo nella nostra famiglia. Lo stesso che aveva lui. Mi pare di vederlo: la sera torna a casa, ci bacia, si toglie la giacca, le scarpe, e inizia a lucidarle con cura. Io lo guardo ammirata. È alto, possente e ama scherzare come un bambino. Non ho ancora chiaro che tipo di lavoro faccia.
«Papà, cosa fa di preciso il carabiniere?» gli domando una sera.
«Difende le persone più deboli dai prepotenti» risponde. «Anch'io voglio farlo da grande!» gli dico di getto. In quegli anni, però, le donne non possono arruolarsi, così lui cerca di farmi capire con garbo che non potrò mai realizzare il mio sogno. Però quel desiderio s'insinua dentro di me e si fa più pressante dopo la sua morte.
Nel 2000, quando le donne sono ammesse nell'Arma, mi sembra di essere vicina a concretizzare la mia aspirazione. Peccato, però, che io sia piccolina di statura e non raggiunga il minimo richiesto all'epoca per accedere al concorso.
Non è il mio destino, penso, e abbandono l'idea.
Coltivo il mio desiderio di giustizia studiando: inizio a leggere carte e faldoni del processo sulla morte di mio padre e mi rendo conto che la 'ndrangheta avrebbe pianificato una serie di attentati ai danni dell'Arma per colpire lo Stato. Qualche anno dopo, il procuratore Giuseppe Lombardo che condurrà l'inchiesta mi darà alcune risposte che cerco e inquadrerà bene il contesto storico in cui sono nati gli attentati.
Realizzo il mio sogno
Intanto la mia vita segue il suo corso. Mi laureo in Scienze politiche, m'innamoro di un uomo che mi supporta nelle mie battaglie più difficili.
Ci sposiamo e divento mamma, un'altra gioia immensa. Poi la sorpresa. Finalmente viene eliminato il limite minimo d'altezza per entrare nelle forze militari. Così sono ammessa alla riserva selezionata dell'Arma dei Carabinieri. Portare le stellette era destino; è questa la mia strada. Voglio anch'io scalzare il potere devastante della criminalità organizzata. In nome dell'amore che provo per il nostro Paese. Per mio padre.
Dopo anni d'indagini nell'ottobre 2017 inizia il processo «'Ndrangheta stragista» che coinvolge un boss palermitano e uno calabrese.
Seguo diverse udienze. È molto doloroso essere a pochi metri dagli uomini ritenuti responsabili della morte di mio padre e ascoltare le loro parole. Come si fa a toccare con mano l'esistenza di chi si erge a divinità con tanta prepotenza brutale?
Molti giornalisti chiedono a me e a mia madre se li abbiamo perdonati. Ma non è compito nostro, se mai sarà Dio a farlo.
Intanto cerco di tenere vivo il ricordo di mio padre, soprattutto con mia figlia, che chiede spesso di lui.
La prima volta aveva due anni.
«Perché la nonna è sempre sola e io non ho il nonno?».
«Quando hai bisogno di lui, guarda le stelle, il nonno è una di quelle».
Ivana Fava, 35 anni, tenente dei carabinieri: vive a Reggio Calabria con il marito e la figlia.



Torna alla pagina iniziale della consultazione delle riviste

Oppure effettua una ricerca per:


Scelta Rapida