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Kaleîdos

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Numero 12 del 2021

Titolo: Io, non mamma

Autore: Laura Pezzino


Articolo:
(da «F» n. 22 del 2021)
Chi è senza figli spesso si chiede il perché. Ma per l'autrice di questo libro bisogna lasciarsi gli interrogativi alle spalle e vivere il presente. Coltivando un sentimento materno per gli altri
Ho sempre pensato che avrei avuto dei figli, e che sarei stata più giovane di mia mamma, che quando mi ha partorita aveva 30 anni. Tre ne avrei avuti, per la precisione, che poi sono scesi a uno. I nomi sono nascosti ancora lì, nella mia testa. Poi sono arrivati il lavoro, una città diventata casa, gli amici, gli amori difficili, i viaggi, i progetti e una seconda vita da immaginare.
Ma i figli no. Loro non sono arrivati. Per noi non esiste un termine specifico. Siamo non mamme, donne senza figli, e poi l'orrore, nullipare - la prima volta che l'ho sentito ho avvertito il nulla che sei se non hai mai partorito un altro essere umano. Siamo donne definite per sottrazione. Creature incomplete, strane, strette tra un «beata te» e un «povera illusa» perché cerchi di trovare un senso senza una famiglia. In Italia, in riferimento alla generazione del 1978, quella a cui appartengo e avviata a fine storia riproduttiva, siamo quasi una su quattro. Un esercito, in quella delle nostre mamme erano la metà.
Quella di noi, donne che non hanno figli o che non li hanno avuti, è una storia di sfumature. Anche dire «che non hanno figli o che non li hanno avuti» è una sfumatura, la prima, e ha a che fare con il tempo. Nonostante la maternità sia diventata più inclusiva e permetta, spesso, di procreare anche se si è più in là con gli anni, il tempo resta tuttora un fattore decisivo.
Un'altra sfumatura ha a che fare con i «perché», che nessuno chiederebbe a una mamma perché fare figli è naturale, è il motivo per cui la nostra razza non si è ancora estinta. E poi c'è la questione della «volontà»: si presuppone che quella di diventare madri sia sempre una «decisione». A volte è così, altre no. Chi non è madre sa che è tutto molto complicato, e non è un caso se neanche un terzo di chi non ha figli, le cosiddette «childfree», dichiari che la maternità non rientra nei propri progetti di vita. E le altre? Tra le altre, le «childless», ci sono anch'io, e per noi le cose sono confuse. Nonostante io sia una femminista convinta, le «motivazioni» sono svariate (un lavoro amato, studiare tantissimo, avere una vita soddisfacente e distrarsi da una domanda che resta sotto traccia) e tutte compresse sotto una cappa di interrogativi, insicurezze e paure. Di avere perso il momento, di essere egoista, di non sapere dare una certa direzione alla mia vita. Per alcune, ma sospetto siamo in tante, molto ha a che fare con quella delicata relazione che c'è tra la propria storia riproduttiva e la propria storia sentimentale.
Essere una donna senza figli, nel 2021, è procedere senza modelli e mappe. Sono pochi i luoghi in cui ci vediamo raccontate e, nei film, siamo quasi sempre egoiste, carrieriste, fredde: insomma, brutte persone. Da alcune autrici, però, e penso a Guadalupe Nettel e Sheila Heti, incominciano ad arrivare narrazioni alternative e sono convinta che la nuova narrativa sulle donne senza figli dobbiamo iniziare a scriverla, cantarla, dipingerla noi stesse. Sempre che riusciamo a superare quel senso di sbagliato e vergognoso che ci spegne la voce, e intanto il tempo passa, le nostre ovaie si fermano e seppelliamo la faccenda sotto un «non è capitato». Che è vero e non vero allo stesso tempo.
Di questo tema ho chiacchierato con Susanna Tartaro, autrice del romanzo La non mamma. Tartaro è romana, ha superato i 50, ha un compagno e, per lavoro, cura il programma radiofonico Fahrenheit su Radio3. La non mamma non è il libro che vi aspettereste: non vi troverete motivazioni, o giustificazioni, perché «è un libro che guarda solo al presente, e nel presente io sono una non mamma».
D. Per tutto il libro, lei viaggia in motorino per Roma e guarda cose, animali, persone. Perché questo titolo?
R. Perché quella che viaggia e guarda sono io, e io sono una donna che non ha figli. E questo cambia la prospettiva di qualunque cosa io faccia o dica. Ho cercato di rappresentare quelle donne che a un certo punto si trovano da una parte a non avere più le spalle coperte, perché i genitori non ci sono più oppure sono ormai diventati a loro volta figli, e dall'altra a non avere davanti a sé nessun tirante verso il futuro.
D. Pur sapendo che non è giusto, se provo a definirmi «non mamma» sperimento un senso di colpa: forse non l'ho voluto abbastanza? Anche per lei è così?
R. No. Sono argomenti delicati, che fanno parte dei grandi interrogativi esistenziali. Io nel mio piccolo cerco di fotografare un momento della mia vita dove le ragioni volutamente me le lascio alle spalle. Quello della maternità, giustamente, è un argomento inesauribile, ma credo che sia anche ideologizzato, mentre trovo poco rappresentato quello stato d'animo di chi cerca di capire: che equilibrio prende ora la mia vita? Credo che si possa sviluppare e coltivare una specie di maternità diffusa, che coincida con la poca aggressività, con un interesse verso gli altri che ti porti ad ascoltarli davvero.
D. C'è stato un momento in cui si è detta: «Io non avrò figli»?
R. No, ma in compenso ho scritto questo libro e mi sono detta: io «sono» una non mamma. Ha una sfumatura diversa. E nonostante non lo sia in senso classico, non vuol dire che non senta per i bambini o per gli adulti un sentimento di maternità, di vicinanza, di protezione.
D. Come vive la solitudine, da non mamma?
R. Mi fa paura, ovvio. È un manto grigio che uno si porta addosso e che gli altri vedono più di te. Ma sono anche convinta che in nessun caso ci si possa realizzare con un compagno o con un figlio. È l'equilibrio che cerchi che ti fa trovare la persona che sei, e io lo cerco sempre, anche se sono felicemente accompagnata.
D. Ha fatto caso che, se per chi è genitore è lecito lamentarsi (mancanza di sonno, di tempo, energie...), non è altrettanto accettato che a lamentarci siamo noi?
R. Così come le derive ideologiche sulla maternità, mi dà fastidio anche questa specie di gusto per la lamentazione continua perché i figli non ti fanno fare certe cose... Spesso i figli li mettiamo al mondo non per un atto di generosità, ma per realizzare noi stessi. Su questo credo ci sia un grande fraintendimento.
D. Pensa che, da mamma, sarebbe stata così dedita al lavoro?
R. Ho visto uomini e donne mangiati dal lavoro a prescindere. Secondo me, in generale, i figli non influiscono sul nostro modo di essere, siamo noi che li abbiamo messi in una prospettiva esagerata. Li cresciamo pieni di insicurezze perché li soverchiamo di responsabilità creando bambini pieni di angoscia.
D. Anche lei ha delle amiche con le quali, una volta diventate mamme, l'amicizia si è raffreddata?
R. Certo, e questa io la considero una mia grande sconfitta, perché ci vedo anche una mia responsabilità. È un nodo per me, forse quello che più mi fa soffrire.
D. Avrebbe qualche consiglio da darmi?
R. Non c'è bisogno di fare chissà che, viva la vita che ha, cercando di farsi attraversare dagli altri. Perché ogni incontro lascia qualcosa.
Laura Pezzino



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