Numero 22 del 2021
Titolo: Mi piego, ma non mi spezzo!
Autore: Nadia Massimiano
Articolo:
Resilienza... di cosa stiamo parlando?
Negli ultimi anni la parola resilienza è diventata molto popolare, occupa discorsi, citazioni, frasi, dialoghi, articoli, convegni e trattazioni varie. Tutti sembrano ambire a possederla, ritenendola una qualità imprescindibile dei nostri tempi, delle nostre vite, delle nostre realtà. Questo vocabolo ha un'origine latina, deriva dal verbo resilire che significa saltare indietro, tornare a saltare, ritornare in fretta. Ma per poter spiegare questa capacità delle persone che riescono ad affrontare le situazioni in maniera proattiva, siamo andati a pescare anche un concetto della fisica: questo termine indica la proprietà di alcuni materiali di resistere alle pressioni ricevute, anche di notevoli intensità, di mantenere integra la propria struttura e di recuperare la forma originaria, parliamo, quindi, di flessibilità, di resistenza alla rottura.
In psicologia abbiamo recuperato questo termine e lo abbiamo connotato, però, con delle sfumature leggermente diverse, ma sostanziali. La resilienza diventa, dunque, la capacità di fare fronte alle difficoltà, di assorbire gli urti della vita, anche gli eventi traumatici, riuscendo a riorganizzare la propria esistenza, cogliendo gli aspetti positivi e le opportunità che anche una situazione problematica ci pone dinanzi, senza alterare la sostanza di ciò che siamo. È importante, dunque, sottolineare che essere resilienti non significa solo resistere agli eventi avversi, ma riuscire a ricostruire il proprio percorso di vita, vale a dire ristrutturare completamente, in questo senso possiamo dire che, a differenza di quel metallo o di quel materiale, noi non ritorneremo esattamente come prima, manterremo la nostra sostanza, ma la forma sarà necessariamente diversa. Questo perché noi siamo capaci di produrre un cambiamento significativo e, anche se spesso per farlo paghiamo un prezzo molto alto, è il cambiamento che genera qualcosa di nuovo, di diverso, di più adatto a noi che siamo in continua evoluzione e che abbiamo esigenze sempre diverse, contestualmente alle situazioni che si modificano, e necessitiamo di trovare soluzioni alternative a ciò che ci accade.
Come affrontiamo, quindi, le cose negative che ci succedono? Ovviamente la risposta a questa domanda sembra banale: dipende! Dipende dalle persone e dalle situazioni! In effetti noi siamo talmente unici e variegati che il rapporto tra evento e conseguenza non è mai lineare, vale a dire che ad una causa non corrisponde lo stesso effetto. Due persone che subiscono lo stesso evento, anche di notevole entità, molto probabilmente avranno reazioni diverse, così come due persone possono reagire a due eventi completamente diversi in maniera molto simile, ecco perché, tra le altre cose, dire a qualcuno «pensa a chi sta peggio di te!» non lo aiuta mai a stare meglio, anzi! Le possibilità che abbiamo di rimbalzare, di re-agire elasticamente è diversa anche per lo stesso individuo in situazioni differenti ed in momenti diversi della vita.
Non sono, dunque, quelle persone che ingenuamente vengono definite forti a possedere il prezioso scrigno della resilienza, tutti abbiamo le potenzialità per essere resilienti, perché esserlo non significa essere immuni da debolezze, significa, anzi, riuscire ad utilizzare quelle fragilità in una maniera proattiva e riuscire a rimettersi in gioco, nonostante tutto. Proprio per questo la resilienza cresce insieme a noi, alle esperienze che facciamo, perché sono proprio le esperienze ad insegnarci, a proporci la sfida del cambiamento, più cose viviamo, più capiamo come affrontarle in maniera adattiva.
Le persone con disabilità sono costrette, in qualche modo, ad apprendere l'arte della resilienza, poiché la condizione che vivono richiede una necessaria riorganizzazione della propria esistenza, una conoscenza di nuove modalità per fare le cose, per affrontare lo stress e le sfide della quotidianità. Il rischio, altrimenti, diventa quello di scontrarsi con le difficoltà della vita di tutti i giorni come se fossero un disegno del fato contrario, con il risultato di sentirsi impotenti e di apprendere, nel tempo, questa impotenza e di generalizzarla. Essere resilienti non significa non provare dolore, ma non farsi sopraffare da esso, pensare di poter sempre scegliere e di trovare, anche nel dolore, le risorse per poter superare una difficoltà.
È importante, per sviluppare una buona capacità di resilienza, innanzitutto essere consapevoli di se stessi, come dicevamo, prima di ogni altra cosa delle proprie fragilità, dei propri limiti e delle proprie capacità, in modo tale da sapere sempre se le nostre aspettative siano o meno realistiche. Allo stesso modo è fondamentale riuscire a guardare al futuro, e non sempre e solo al passato, alle cose che sono andate male, a ciò che manca, che non possediamo, alle cose che ci hanno procurato una sofferenza, ma poter pensare di desiderare qualcosa di nuovo, di meritare qualcosa di diverso. Bisogna, pertanto, coltivare l'accettazione di ciò che è stato e, allo stesso tempo, dell'incertezza del futuro, avendo fiducia nelle proprie capacità. La resilienza è infatti collegata al concetto di autostima.
Ma cosa succede se non ci sentiamo capaci di produrre un cambiamento significativo? Se ci sembra di affrontare le cose sempre nello stesso modo? Se tutto ci appare farci soffrire? Significa che non siamo resilienti? No, vuol dire che non abbiamo allenato abbastanza la nostra capacità di resilienza, che probabilmente non abbiamo incrementato a sufficienza i nostri livelli di autostima. La resilienza si costruisce nel tempo e, se questo non avviene, può essere per una serie di motivi, di cause diverse che possono essere analizzate e superate, concedendosi un tempo ed uno spazio meritato e chiedendo il supporto adeguato.