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Kaleîdos

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Numero 10 del 2021

Titolo: Vitiligine. Quelle macchie che tolgono la libertà

Autore: Marta Bonini


Articolo:
(da «Donna moderna» n. 19 del 2021)
La vitiligine è una malattia che ti stravolge la vita e da cui non si guarisce. Lo raccontano qui le donne che hanno imparato con fatica ad accettarsi. E i ricercatori che ora lavorano a una vera cura
«Ma si figuri se ho la vitiligine! Sarà solo dermatite». È stata questa la risposta che Luisella, avvocato 51enne di Como, ha dato al dermatologo che l'ha visitata per primo, oramai 10 anni fa. Ed è stata questa la risposta che per mesi si è ripetuta nella testa come un mantra, dopo che le era comparsa la prima macchia, sul pollice della mano sinistra. Ha mantenuto ostinatamente dentro di lei la convinzione che quella piccola chiazza bianca fosse uno sfogo, nonostante questa malattia la conoscesse molto bene: «Ho sempre visto la mia mamma a macchie bianche e nere» ci racconta, con una voce pacata e una serenità nel mostrare la sua «nuova» pelle che mette a proprio agio fin da subito. «Quando ho visto quella macchia, sulla mano, sono andata da decine di dermatologi. Non volevo accettare la diagnosi che tutti mi davano. Ero alla ricerca di una sentenza diversa, di qualcuno che mi dicesse che la mia pelle era sana, di una bacchetta magica che facesse scomparire quel segno bianco che, giorno dopo giorno, si allargava». E che adesso si è esteso non solo alle mani, ma anche alle braccia, al viso, soprattutto intorno agli occhi e alla bocca, al collo, ai piedi. Fino a ricoprire circa il 60-70% del corpo. «All'inizio non riuscivo neanche più a guardarmi allo specchio. Uscivo dalla doccia e tenevo la testa bassa, quando mi pettinavo chiudevo gli occhi. Mi vedevo un mostro. Andavo in giro coperta perché nessuno notasse le mie macchie e perché non sentissi su di me il peso di quegli sguardi, di quei sorrisi, di quelle risatine».
«Per troppi anni si è pensato che la vitiligine fosse «solo» una patologia estetica, legata alla bellezza. Ma non è così. È una vera e propria malattia che colpisce tra lo 0,5% e il 2% della popolazione. Tradotto significa che in Italia ci sono circa 600-900.000 pazienti. Le cellule del loro organismo muoiono, esattamente come succede nell'infarto» spiega il dottor Mauro Picardo, direttore di Fisiopatologia cutanea del Centro di Metabolomica dell'Istituto Dermatologico San Gallicano Irccs di Roma e coordinatore della European Vitiligo task force. «È una patologia che colpisce le cellule che producono il pigmento della pelle, i melanociti, e porta alla comparsa di macchie bianco latte dai bordi irregolari. Oggi sappiamo che rientra nel quadro delle patologie autoimmuni e che ha anche un substrato genetico: almeno il 40% delle persone che ne soffrono hanno un familiare con la stessa malattia».
Ma la vitiligine non colpisce solo la pelle. «Per me è una malattia dell'anima, che crea sofferenza perché, oltre a stravolgere la bellezza, stravolge la vita, nelle abitudini quotidiane, nelle piccole cose che danno piacere» dice Luisella. «Io ero una lucertola, appena potevo prendevo il sole. Andavo in barca, adoravo il mare e la montagna, mi piaceva indossare abiti carini, gonne corte». Tutte cose che adesso non può più fare. Non tanto per la vergogna di mettersi in costume («Ho smesso di vedere le macchie. So che ci sono, ma non ci faccio tanto caso: fanno parte di me»), ma perché se si espone al sole, si ustiona. «Nella bella stagione, anche quando esco in giardino o guido, devo mettermi lo schermo totale: mi protegge, certo, ma mi fa sudare e colare tutto il trucco. E d'inverno non posso uscire senza un fondotinta con protezione 30» racconta. E i suoi adorati vestiti? Chiusi nell'armadio. Per molto tempo Luisella ha indossato solo pantaloni e camicioni lunghi. «Ma da qualche anno ho iniziato a tirarne fuori alcuni. Il primo è stato uno blu, corto. Ho deciso di metterlo per un'occasione speciale, per sentirmi bella, e per essere a mio agio ho usato gli autoabbronzanti. È stato come sentirsi di nuovo liberal», Quella libertà che, dopo anni di rinunce, ha provato anche quando è tornata sulle «sue» Dolomiti. «Mi devo mettere lo schermo totale ogni 10 minuti, ma non importa. Quello che conta per me è non essere più schiava della malattia».
Una schiavitù che spinge spesso le persone con la vitiligine a provare di tutto per guarire. «All'inizio, oltre a prendere il cortisone, mi sono rivolta a una clinica che spacciava trattamenti costosissimi e assurdi come miracolosi». Ma Luisella non è l'unica a cadere in queste trappole. È successo anche a un'attrice come Kasia Smutniak che, come ha raccontato in un'intervista, per cancellare le macchie ha provato di tutto: «Prima sono andata dai medici e poi sono finita dai santoni. Santoni di ogni genere. Da quello che aveva più vitiligine di me, a quello che, invece di chiedermi come stavo, mi ha messo in mano il dvd di Perfetti sconosciuti da autografare. Quando mi hanno bruciato delle conchiglie in faccia mi sono detta: adesso basta». Per fortuna oggi la ricerca sta facendo passi avanti e le cure si stanno aggiornando. «Al momento non c'è ancora nessun farmaco registrato con l'indicazione «vitiligine» ma si utilizzano cure combinate già utilizzate per la psoriasi e la dermatite atopica. Da un lato, la fototerapia, un trattamento che stimola la pigmentazione basato sull'impiego di raggi Uvb a banda stretta. Dall'altro, cortisoni topici, immunomodulatori e antiossidanti per bocca. Tutti trattamenti che aiutano i melanociti a sopravvivere» spiega il dottor Picardo.
I risultati di queste terapie oggi sono discreti e una paziente su due vede un miglioramento della situazione. «Con queste cure possiamo fermare la battaglia, fare la pace. Stoppare cioè il peggioramento. Ma non è detto che la città distrutta dalle bombe, ovvero la pelle malata, venga ricostruita, torni nuova» continua il dottore. La malattia può essere fermata insomma, però le macchie non spariscono. Proprio quello che, invece, sognano Luisella e chi, come lei, soffre di vitiligine. Per loro lavora la ricerca. «Si stanno mettendo a punto farmaci jak-inibitori che controllano il processo infiammatorio alla base della morte dei melanociti, ripigmentando la pelle, e che, dopo aver valutato su quali e quanti pazienti funzionano, saranno disponibili tra un paio di anni. Il primo ad arrivare sarà una crema e a seguire delle pastiglie». Un traguardo enorme per i medici. Ma soprattutto per i pazienti che finalmente vedono la speranza di guarire. E di non subire più situazioni come quella che ha vissuto anni fa Luisella: «Ero in montagna a camminare e mi sono unita a un gruppo di persone che facevano la mia stessa gita. Al momento di salutarci, ho porto la mano. Che però nessuno ha voluto stringere». Quella mano «maculata» come un dalmata, scherza lei, che porge timidamente anche a me, quando ci salutiamo. E che io, ovviamente, stringo, a lungo.
Marta Bonini



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