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Corriere Braille

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Numero 19 del 2021

Titolo: Lavoro (e disuguaglianze)

Autore: Giuseppe Manzo


Articolo:
Un milione di posti persi da marzo 2020 a febbraio 2021. Questa è la conseguenza dell'emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19, nonostante il blocco dei licenziamenti. E la fine di questa misura rappresenta un vero e proprio fantasma sul Paese con il rischio dell'esplosione di una bomba sociale. Proprio sul lavoro, sulla crescita e sullo sviluppo sostenibile ci sono gli occhi puntati del Recovery Fund con il Piano nazionale di rinascita e resilienza inviato a Bruxelles, l'occasione storica non solo di ricostruzione ma di un vero e proprio cambio strutturale del Paese. Da dove ripartire? Il tasso di disoccupazione generale è ormai al 10% circa. I giovani e le donne hanno pagato il prezzo più alto. Un under 35 su 3 è senza lavoro a dicembre 2020, peggio di noi solo Spagna e Grecia. Altra nota dolente è rappresentata dall'occupazione femminile. Dei 444 mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70% è costituito da donne.
La conseguenza del non lavoro e anche del lavoro per nuclei familiari a forte fragilità è l'aumento della povertà. Secondo i dati del report di Emergency nelle 5 città dove si è svolta l'iniziativa «Nessuno escluso»: Milano, Roma, Napoli, Piacenza e Catanzaro. Oltre la metà delle famiglie beneficiarie è composta da più di 4 persone, di cui almeno un figlio è minorenne (74%), mentre 1 famiglia su 10 è mono genitoriale. Quasi il 30% delle famiglie che riceve il pacco non riesce più a pagare l'affitto, mentre più del 60% teme di non riuscire a pagarlo nei prossimi mesi. L'80%, inoltre, si rivolge al centralino perché non riceve aiuti economici istituzionali (reddito di cittadinanza, bonus, sussidi). Nella sola Milano dove è partita l'iniziativa di 1.600 nuclei famigliari finora presi in carico quasi la metà (45%) ha visto il proprio reddito completamente azzerato nell'ultimo anno o ridotto a più della metà (32%) a causa della pandemia.
Disoccupazione e aumento delle povertà, però, non sono omogenee in tutto il Paese. A soffrire maggiormente è l'area della Penisola fanalino di coda in Europa: il Mezzogiorno. In questi mesi è stata molto forte la polemica per la percentuale dei fondi europei destinata al Sud. In questo scontro sindaci e governatori hanno manifestato anche in piazza per chiedere un numero di risorse più alto per le regioni meridionali. È solo un problema di risorse? No, bisogna capire anche dove intervenire e con quali progetti. Uno dei settori più fragili, ad esempio, che rappresenta una fotografia di questo divario è la povertà educativa, strettamente legata alla mancanza di lavoro e alle condizioni di emergenza sociale delle famiglie: i servizi per l'infanzia. Vi sono profonde distanze tra i territori nella diffusione di asili nido e servizi prima infanzia. Bastano pochi, macroscopici dati per inquadrare il fenomeno. A fronte di un centro-nord che ha quasi raggiunto l'obiettivo europeo (32%) e dove in media 2-3 dei comuni offrono il servizio, nel Mezzogiorno i posti ogni 100 bambini sono solo 13,5, e il servizio è garantito in meno della metà dei comuni (47,6%). La differenza è di 18,5 punti. A Bolzano quasi 7 posti ogni 10 bambini. A Catania e Crotone quasi 5 su 100 bambini Ai primi posti si collocano Valle d'Aosta (45,7%, cioè quasi 1 posto nei servizi socio-educativi per la prima infanzia ogni 2 bimbi residenti), Umbria (42,7%), Emilia Romagna (39,2%) e Toscana (36,2%). Al Sud, ad eccezione della Sardegna che supera la media nazionale (29,3%), vanno oltre la soglia del 20% (ovvero più di un posto ogni 5 bambini) Abruzzo e Molise, mentre Puglia e Basilicata si attestano poco sotto il 17% e con maggiore distanza si collocano Campania (11%), Sicilia (10%) e Calabria (9,4%).
Lavoro, istruzione, inclusione, sviluppo sostenibile. Il Paese futuro può superare le disuguaglianze sociali e territoriale solo se mette in campo le interconnessioni necessarie. E, soprattutto, se sa scegliere gli attori del cambiamento: l'economia non profit può e deve essere interprete, a partire dalle imprese sociali e dal volontariato per costruire nuove comunità dei diritti.



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