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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere Braille

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Numero 15 del 2021

Titolo: La Storia della Federazione - Seconda parte

Autore: Rodolfo Masto


Articolo:
L'atto costitutivo redatto a Firenze il 24 febbraio 1921 evidenzia, senza equivoci, il ruolo avuto dall'Unione Italiana dei Ciechi per sostenere la nascita e l'immediato sviluppo della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi.
Ne dà prova la figura di Aurelio Nicolodi che, divenuto Presidente dell'Unione nell'ottobre del 1920, entrò a far parte del primo consiglio d'Amministrazione del nuovo sodalizio degli Istituti già a partire dal febbraio 1921, assumendo la carica di tesoriere. La responsabilità affidatagli non era casuale poiché, fin da quei tempi, numerose Istituzioni lamentavano dissesti economici tanto gravi da non riuscire a far fronte nemmeno alla quota associativa.
In occasione della prima Assemblea, svoltasi il 2 giugno 1921 solo quattro mesi dopo l'effettiva costituzione della Federazione, alcuni Istituti sospesero l'adesione adducendo, appunto, gravi problemi economici e organizzativi. In quella circostanza fu chiesto ad Aurelio Nicolodi, che già godeva di grande considerazione da parte del Governo, di agire nei confronti dello stesso affinché si facesse carico delle spese di funzionamento del nuovo Ente anche in previsione dei compiti ai quali, secondo le indiscrezioni, sarebbe stato chiamato.
Per un corretto inquadramento storico va evidenziato che buona parte delle Istituzioni ancora operanti nel 1920 erano nate come Opere Pie o soggetti giuridici equivalenti, in un arco di tempo che va dal 1818 al 1915. La lettura dei documenti conservati negli archivi storici dei vari Istituti testimonia una fittissima corrispondenza fra gli stessi; tra gli argomenti, oltre al confronto sulle materie educative, emerge il crescente disagio dovuto all'affievolirsi delle tradizionali fonti di finanziamento proprio quando queste Istituzioni stavano per essere chiamate ad interpretare un ruolo chiave nell'educazione e formazione complessiva dei Ciechi italiani. Fino ad allora la quantità e qualità dei servizi erogati dai vari Istituti era sì determinata, ma anche subordinata alla loro capacità di attrarre risorse per lo più provenienti dalla beneficenza e dalla sensibilità pubblica, a quel tempo espressa soprattutto dai Comuni. Ora il clima stava mutando: sullo sfondo si profilava l'azione dell'Unione che tra i valori fondanti posti a base della sua costituzione aveva messo la scolarizzazione obbligatoria dei giovani Ciechi.
Il Governo, al quale arrivavano le sollecitazioni di studiosi, come Augusto Romagnoli, affinché affrontasse il delicato problema della scolarizzazione dei Ciechi, cominciò a guardare con grande attenzione al possibile coinvolgimento degli Istituti. I verbali delle prime Assemblee della Federazione ben riportano lo stato d'animo d'allora: al di là delle difficoltà economiche niente e nessuno poteva fermare la crescente volontà di riscatto dei Ciechi che, già nelle more dell'adozione di specifici interventi legislativi, chiedevano di essere ospitati presso gli Istituti operanti nel Paese. I genitori dei giovani ciechi, in gran parte persone di umili condizioni sociali, nonostante il dolore per il distacco capirono l'importanza dell'ammissione dei figli presso gli Istituti dove, oltre all'istruzione, avrebbero potuto contare su vitto e alloggio forse migliori di quanto la stessa famiglia sarebbe stata in grado di assicurare loro quotidianamente.
La prima guerra mondiale era finita da circa due anni, ma le conseguenze economiche sulla società in generale erano ancora pesantissime. In questa difficile situazione le varie Istituzioni si presentarono al più importante appuntamento della loro storia con modelli organizzativi disomogenei, influenzate sicuramente anche dal tessuto culturale ed economico locali ma il fattore discriminante fu la capacità di attrarre risorse, fattore che condizionava, di fatto, il grado di autonomia funzionale. Alcuni avevano seguito l'evoluzione europea coniugando lo stato di collegio-convitto con quello di collegio-scuola per la promozione di percorsi formativi e di istruzione. In queste realtà il processo di crescita seguì sostanzialmente lo stesso modello: contemporaneamente ai convitti si aprirono i primi laboratori utili allo sviluppo delle capacità manuali, finalizzati all'apprendimento di lavori manuali possibili per i ciechi. Tra i documenti d'archivio si trovano i giornali di quei tempi che raccontano lo stupore dei visitatori per i manufatti prodotti dalle allieve e degli allievi dei vari Istituti che facevano a gara nel partecipare a prestigiose esposizioni nazionali ed internazionali. Dai laboratori, complice la graduale introduzione del sistema Braille, si arrivò allo studio delle materie umanistiche e della musica che tanta parte avranno nell'affermazione sociale culturale dei ciechi. Infatti non c'era Chiesa o grande Basilica che non avesse un organista non vedente. In altre realtà, in buona parte gestite da ordini religiosi, invece, l'attività principale continuò ad essere circoscritta all'ambito assistenziale perdendo, di conseguenza, quasi ovunque la specificità rivolta ai ciechi. Così, la fine del primo conflitto mondiale trovò circa quaranta istituzioni che a vario modo e titolo si occupavano di ciechi in forma esclusiva, anche se a queste, per amore della verità, bisognerebbe aggiungere il persistere di alcuni reparti dedicati ai ciechi presso ospizi e dormitori pubblici.
Torniamo dunque al 1920, quando l'azione dirompente dell'Unione, che tra le sue fila vantava tanti eroi di guerra, riesce a dar voce a quanti propugnavano una presa di coscienza della situazione, dal punto di vista sociale, nella quale complessivamente vivevano i ciechi. Tra i fiori più belli dell'azione condotta dall'Unione, supportata altresì da uomini di pensiero come Augusto Romagnoli, c'è indubbiamente la costituzione della Federazione: finalmente il coronamento di un sogno che i primi studiosi italiani di educazione dei ciechi agognavano già dal 1910 quando, incontrandosi a Bologna, cercavano di trovare soluzioni pratiche per sostenere il percorso di istruzione dei ciechi con la produzione di sussidi «speciali» volti ad agevolare lo studio. Qui si colloca lo spartiacque temporale tra quelle Istituzioni che vollero restare legate al passato, rimanendo ospizi e le Istituzioni che avrebbero finalizzato la propria azione alla formazione dei Ciechi, (oggi diremmo all'inclusione sociale dei Ciechi) anche se con accenti e tempi diversi. Furono proprio queste ultime a costituire la Federazione. Siamo nel 1921, all'indomani della nascita della Federazione, quando gli Istituti vengono interessati da un grande fermento: l'azione corale dell'Unione, della Federazione e da uomini come Augusto Romagnoli, stava per dare i suoi frutti. Infatti il 30 dicembre 1923 il governo adotta il R.D. n. 2841 che recita: «Possono essere chiamati Istituti scolastici posti alla dipendenza del Ministero dell'Istruzione quegli Istituti a favore dei ciechi, nei quali gli scopi dell'educazione e dell'istruzione, in base alle tavole di fondazione e agli statuti, siano esclusivi o abbiano una prevalenza notevole sui fini dell'assistenza».
Sempre nel 1923 il Ministro Gentile invitò Augusto Romagnoli a suggerire disposizioni legislative per la scolarizzazione dei minori privi della vista e a compiere un'ispezione in tutti gli Istituti al fine di scegliere quelli idonei all'eventuale trasformazione da Istituti di beneficenza a Istituti scolastici idonei per l'assolvimento dell'obbligo scolastico degli alunni ciechi. Nel 1925 Augusto Romagnoli presenta al Ministero la relazione richiesta inserendo il progetto dell'obbligo della scuola elementare per i minori ciechi. Nello stesso anno viene istituita la Regia Scuola di Metodo per gli Educatori dei Ciechi da ospitarsi presso il Casale di San Pio V in Roma, acquistato nel 1875 dalla Regina Margherita e fondato come «Ospizio per i poveri ciechi». In questo luogo Augusto Romagnoli, insegnante non vedente laureato in filosofia e pedagogista, già dal 1912 aveva avviato una positiva sperimentazione con bambine e ragazze non vedenti che vivevano presso l'Ospizio. Nel 1926 il Ministero dell'Istruzione diede seguito alle indicazioni di Augusto Romagnoli trasformando, con appositi decreti, gli Istituti per Ciechi allora operanti in Italia, in Istituti scolastici ponendoli altresì alla propria dipendenza. Per il tramite del Presidente Alessandro Graziani e soprattutto del Segretario Oreste Poggiolini, particolarmente vicino al Governo, l'Esecutivo chiese alla Federazione, pur nel rispetto dell'autonomia delle singole Istituzioni, di avviare un processo di uniformità operativa, anche per porre rimedio alle criticità e alle difformità riscontrate da Augusto Romagnoli nella relazione redatta a seguito della sua ispezione ai singoli Istituti. Le differenze più significative si rivelarono nei differenti metodi di insegnamento e nella realizzazione ed uso degli ausili didattici, tema quest'ultimo fortemente dibattuto dai tiflologi ed educatori fin dal 1888, tanto da diventare il tema pregnante del famoso Convegno tiflologico organizzato, già lo abbiamo accennato, a Bologna nel 1910. A tal proposito, Augusto Romagnoli ottenne un finanziamento dal Ministero e chiese alla Federazione, che nel frattempo aveva allestito dei laboratori, di produrre cartine geografiche in gesso, in rilievo, diventate ormai famose e che molti Istituti conservano ancora. Da allora molte e significative furono le iniziative assunte dalla Federazione ed è proprio Argo, organo ufficiale dell'Unione Italiana Ciechi che, dal 1929, nelle sue cronache, le presenta al mondo dei Ciechi testimoniando la perfetta sintonia tra le due Istituzioni.
Erano trascorsi poco meno di dieci anni dalla costituzione della Federazione quando nel 1930 Re Vittorio Emanuele III eresse la Fondazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi in Ente Morale per riconosciuti meriti nell'ambito dell'Istruzione Pubblica dei Ciechi. A quel tempo la Federazione, che aveva fatti suoi i diversi contatti che le varie Istituzioni avevano costruito con il Governo, vuoi per il prestigio di persone appartenenti alla nobiltà che le sostenevano, vuoi per la considerazione goduta dai vari Rettori e Direttori degli Istituti, si affermò quale interlocutore privilegiato nei confronti del Ministro della Pubblica Istruzione. Questo ruolo lo esercitò in stretta simbiosi con l'Unione italiana dei Ciechi. L'azione comune tra l'Unione e la Federazione portò i vari Istituti ad adottare modelli organizzativi e educativi per quel tempo certamente innovativi con l'intento di garantire il superamento delle criticità che ancora persistevano. L'impegno tuttavia era spesso mortificato dalla situazione economica che continuava a condizionare l'azione degli Istituti i quali, mentre da una parte avevano ammesso più allievi possibili dall'altra non potevano contare su entrate economiche certe.
Finalmente il 3 marzo 1934 il testo denominato «Testo Unico della Legge comunale e provinciale» pone in capo alle Provincie le spese relative all'assistenza dei ciechi e dei sordi sollevando le Istituzioni dalla precarietà economica. Certo la beneficienza continuerà a fare la differenza tra territori ricchi e territori poveri, ma almeno i servizi di base volti all'omogeneità formativa erano garantiti. Senza dimenticare che nel 1924, a Firenze, venne fondata da Nicolodi la prima Stamperia Nazionale Braille e nel 1928, a Genova, lo stesso Nicolodi fondò la Biblioteca Nazionale per i Ciechi Regina Margherita, due importanti Istituzioni che hanno sempre affiancato la Federazione nella sua opera fondata sull'istruzione dei Ciechi.
Gli anni che seguirono videro la Federazione ampliare i propri laboratori per la produzione di materiali tiflodidattici così da poterli fornire a tutti gli Istituti, ausili ormai ritenuti indispensabili per favorire gli apprendimenti degli studenti non vedenti. Possiamo affermare che, con la promulgazione delle leggi a favore dell'assistenza ai ciechi da parte delle province, gli Istituti negli anni Trenta e fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale hanno vissuto un periodo di relativa tranquillità, potendo da un lato contare sulle rette erogate per gli alunni ospitati tra le sue mura e dall'altro consolidare le metodologie per l'insegnamento, aiutati in questo dai supporti materiali e ideali forniti dalla Federazione.
(Nb: La prima parte del presente articolo è stata pubblicata sul Corriere Braille n. 9-2021)



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