Numero 7 del 2021
Titolo: Medicina- Denti ipersensibili al freddo? Colpa (forse) della proteina «termometro»
Autore: Ruggiero Corcella
Articolo:
(da «Corriere Salute» del 31 marzo 2021)
Uno studio pubblicato su Science Advances ipotizza che il meccanismo di trasmissione del segnale doloroso sia attivato da Trpc5, sostanza presente negli odontoblasti
Alzi la mano chi non ha mai provato, almeno una volta nella vita, il dolore (atroce in caso di ipersensibilità) provocato da un gelato o dall'acqua ghiacciata sui denti. È un disturbo molto diffuso, tra il 25 ed il 30% in una popolazione, che può fortunatamente venir trattato con relativa facilità ed alto grado di successo. Ebbene finora non è stato possibile capire con esattezza il meccanismo di trasmissione di questo segnale doloroso. Secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science Advances dai ricercatori del Massachusetts General Hospital (Mgh), l'indiziato potrebbe essere una proteina «termometro» che si chiama Trpc5. La proteina si trova negli odontoblasti all'interno dei denti, cellule che formano il guscio della dentina appena sotto lo smalto. «Uno studio interessante. Ad oggi però la teoria più accreditata per spiegare l'ipersensibilità dentinale è quella proposta da Martin Brannstrom, che prevede che siano i movimenti del liquido peritubulare che circonda i processi odontoblastici a evocare dolore con il freddo, le sostanze acide e quelle iperosmolari», commenta il professor Antonio Carrassi, direttore dell'Unità Operativa Complessa di Odontostomatologia II-Medicina e Patologia Orale ed Odontoiatria geriatrica, Asst Santi Paolo e Carlo di Milano.
Il canale ionico
Gli odontoblasti sostengono la forma del dente e, come i ricercatori hanno ora scoperto, queste cellule agirebbero anche come sensori del freddo. Questi sensori particolarmente abbondanti in caso di carie, si attivano col freddo e inducono le fibre nervose a lanciare impulsi dolorosi al cervello. Possono farlo perché Trpc5 è un canale ionico - un gateway che consente la segnalazione di sostanze chimiche, come il calcio, attraverso le membrane cellulari in determinate condizioni; in questo caso rispondono al freddo. Sulla base di questi risultati, ipotizzano gli autori, potrebbero essere sviluppati nuovi trattamenti per alleviare il dolore o l'ipersensibilità dei denti, magari somministrati tramite gomma da masticare o strisce applicate direttamente sulla dentina.
Un tema molto studiato negli ultimi due decenni
In realtà, spiega il professor Carrassi «nella dentina non ci sono fibre nervose, o meglio non sono presenti lungo tutto lo spessore di questo tessuto dall'anatomia molto particolare, ma decorrono a fianco dei processi citoplasmatici degli odontoblasti (le cellule che formano la dentina e che stanno all'interno della camera pulpare), per un piccolo tratto. Lo studio statunitense propone che i processi odontoblastici, contenuti nella dentina siano la sede iniziale della trasmissione della sensazione «freddo» attraverso dei particolari microtermometri molecolari (Tpr). Quello della trasmissione delle sensazioni caldo-freddo è stato un tema particolarmente studiato durante gli ultimi 20 anni anche per gli stretti collegamenti con il tema trasmissione del dolore».
Segnale di avvertimento
I denti possono diventare sensibili al freddo a causa di una carie, a causa dell'erosione gengivale dovuta all'invecchiamento e per molti altri motivi: è uno degli effetti collaterali di un certo tipo di trattamento chemioterapico, che può persino allontanare i pazienti dall'assunzione dei farmaci. I ricercatori suggeriscono che la sensibilità al freddo potrebbe essere un segnale di avvertimento per il corpo che aiuta a prevenire ulteriori danni al dente: le cellule odontoblastiche diventano più attive al freddo, un calo di temperatura che di solito significa che il dente è più esposto. «Questo studio attribuisce una nuova funzione a queste cellule, cosa molto interessante dal punto di vista della ricerca di base, ma non solo: ora sappiamo pure come interferire con questa funzione per inibire il dolore dentale», spiega il patologo Jochen Lennerz dell'Mgh.
La sperimentazione in vivo: il modello va studiato nell'uomo
Avendo precedentemente identificato Trpc5 come un potenziale sensore di temperatura, negli esperimenti con topi di laboratorio il team ha scoperto che quelli privi del gene che codifica per Trpc5 non reagivano all'esposizione dei denti al freddo nel modo usuale. L'uso di sostanze chimiche per bloccare i canali ionici delle proteine ha avuto lo stesso effetto. «Ora abbiamo la prova definitiva che il sensore di temperatura Trcp5 trasmette il freddo attraverso gli odontoblasti e induce le fibre nervose a sparare, generando dolore e ipersensibilità al freddo», aggiunge Lennerz. Proprio la tipologia dell'esperimento in vitro, comunque, merita una riflessione: «Va detto che il modello sperimentale utilizzato dagli autori non è perfettamente compatibile con le condizioni dell'uomo» sottolinea il professor Carrassi, «stante che i roditori, come i topi impiegati nella sperimentazione, non hanno una struttura odontoiatrica identica a quella dei non roditori, come ad esempio l'uomo. Si tratta comunque di un significativo passo avanti che chiarisce nel topo la patogenesi del dolore dentinale e del dolore nel tessuto pulpare infiammato. Ovviamente il modello dovrebbe poi essere studiato nell'uomo ed i relativi risultati confermati».
Spiegato anche l'uso dell'olio di chiodi di garofano come rimedio
Col freddo, la proteina Trcp5 apre i canali posti sulla membrana degli odontoblasti aumentando l'ingresso degli ioni calcio. Se la polpa dentale è infiammata, ad esempio per una carie, Trcp5 è molto abbondante e induce un aumento dell'attività elettrica dei nervi che vanno dalle radici del dente al cervello. Fastidi possono insorgere anche quando le gengive si ritirano esponendo una nuova zona del dente. Oltre a tutto ciò, questo nuovo studio aiuta anche a spiegare perché l'olio di chiodi di garofano è stato usato per secoli come trattamento del dolore ai denti: il suo principio attivo è l'eugenolo, che blocca Trpc5. Non c'è da stupirsi che le persone abbiano tradizionalmente utilizzato l'olio per ridurre la sensibilità.