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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Kaleîdos

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Numero 7 del 2021

Titolo: Essere donne disabili ai tempi della pandemia

Autore: Autrici Varie


Articolo:
Essere donne disabili ai tempi della pandemia (di Cristina Della Bianca)
È marzo, è già trascorso un anno, ma abbiamo da poco ricevuto la notizia che saremo nuovamente rossi, che tutto tornerà come un anno fa. È stato un anno complesso, pieno di incertezze e di incognite, fatto di dubbi, di paure, di ansia per tutti. Chiusi in casa, a causa di un virus di cui non si sapeva nulla, o comunque davvero poco, per combattere il quale ancora non vi erano cure precise, e sicuramente nessun vaccino per prevenire la patologia che causava e causa. Ogni giorno ci si ritrovava tutti ad ascoltare i bollettini della Protezione Civile con il numero dei decessi, davvero impressionante. Si è in smart working, non si esce, neanche per una passeggiata, neanche per andare in ufficio. Tutto chiuso, negozi, mercati, ristoranti, bar e soprattutto i cinema. Per me, che adoro andare al cinema ogni volta che posso e guardare anche più film a settimana, non vi nascondo che è stata davvero una carenza non da poco. Ed eccomi a dovermi riorganizzare la vita, in casa tra quattro mura, anche se fortunatamente terrazza e giardino non mi mancano. E la natura diventa più che mai importante, il canto dei miei canarini, il profumo dei fiori, i miei gelsomini, che rendono il clima meno pesante. Cerco di attutire i colpi con qualche leccornia che in casa facciamo pervenire grazie al delivery. Scrivo poesie e lavoro ad un progetto per me importante. Penso all'amore, alle sue sfaccettature non sempre adamantine. Tutto, però, si dimostra complesso, incluso il fare la spesa, file interminabili ai supermercati e tutto il resto. Mentre sono a casa, il datore di lavoro ne approfitta per farci fare formazione, autoformazione. È inutile dire che a tutto hanno pensato, tranne che a me e all'accessibilità! Mi interrogo per giorni sul da farsi, il tempo passa. Finché penso alla piccola Giulia, la mia nipotina di 11 anni che adoro. Ecco la soluzione, io darò le risposte e Giulia, da casa sua, opererà al pc. È stato un pomeriggio fantastico, abbiamo lavorato sodo, anche grazie al suo entusiasmo a dir poco contagioso, Giulia è stata meravigliosa e di una efficienza incredibile. E così la formazione è stata portata a termine nel migliore dei modi, con grande soddisfazione di entrambe. E con la riapertura, ecco il rientro in ufficio, tra mille preoccupazioni: il distanziamento, i positivi, gli asintomatici e le mascherine. Lavorare con la mascherina più di otto ore al giorno si rivela piuttosto faticoso: parlare e parlare sempre con la mascherina, tolta solo per bere o pranzare, è veramente pesante. Ma non si può fare diversamente, considerato che non sono sola e che, nel luogo in cui opero, transitano numerose persone. Sanificare, disinfettare mani e superfici, cambiare la mascherina, ormai sono azioni quotidiane, entrate a far parte della routine. In estate, però, si torna al cinema, e l'emozione è palpabile: certo, non siamo in molti, ma tutto è ben organizzato, il distanziamento e la sanificazione. E riprendono anche piacevoli serate, cene, piccoli eventi, tutti in sicurezza e all'aperto. E poi... Poi, senza quasi rendersene conto, si torna agli streaming, alle serie e ai film presenti in diverse piattaforme. Si torna all'asporto e-o al delivery, diminuiscono gli incontri e le uscite. Il lavoro è ancora in presenza, con piccole pause, per alcuni, dovute alla cassa integrazione. Il virus si porta via persone care, il dolore è indicibile, ma in qualche modo si deve andare avanti, anche per loro. Penso a quando mi vaccineranno, quanto tempo ancora trascorrerà prima di tornare alla normalità. Mi domando se torneremo alla normalità del 2019, o se invece la vita dovremo riorganizzarla, tenendo conto che ondate di Covid potrebbero tornare, come accade per l'influenza. Ma forse avremo i vaccini, sì, quei vaccini che ora sono così difficili da reperire, da ricevere, perché tutto il mondo ne ha bisogno, quei vaccini che possono salvare tante vite. Oggi guardo avanti e trovo ancora il colore rosso; ma provo a sperare, per me, per i miei cari, per mia nipote Giulia e per tutti noi, in una soluzione positiva e non troppo lontana. Intanto, teniamo duro e andiamo avanti con attenzione, coscienza, tanta pazienza e tanto coraggio.
Cristina Della Bianca

Il mio essere donna ai tempi della pandemia: il coraggio e la paura (di Rossella Lazzari)
Per sintetizzare in un titolo questo mio scritto ho voluto prendere in prestito il titolo di un libro che non ho mai letto, ma che mi incuriosisce e mi attira da anni. Il coraggio e la paura, due sentimenti contrapposti ma, ahinoi, indissolubilmente legati.
Arriva, nella vita di ogni donna, il momento delle consapevolezze: non sono bella, non sono alta, sono pingue, non posso fare questo, non posso vedere quello, all'età di X anni non mi sono realizzata... sono solo alcune fra le mie, ma l'elenco potrebbe proseguire a lungo. E, se si è un minimo combattive, si cerca persino di affrontarle e di ovviare, per quanto possibile, ad alcune di esse. Ma, chissà perché, quelli che pesano di più sono sempre i risultati non raggiunti, i «non posso» o «non sono» cui per qualche ragione non si è riuscite ad ovviare. E così si rischia di lasciarsi andare, facendo naufragare anche quanto di buono si è fatto per se stesse. È quel che stava capitando a me. Per vari motivi e concatenazioni di eventi e situazioni che sarebbe troppo lungo, difficile e personale raccontare qui, non ho passato - e non sto passando - anni semplici. La mancanza di lavoro, in particolare, mi opprime e mi fa male tanto da oscurare tutto il resto, le belle esperienze, le soddisfazioni, i risultati che peraltro, in questo stesso periodo, non sono mai mancati. Non è difficile immaginare come il 2020 abbia influito su questo stato d'animo: sono sempre stata una donna dinamica, una che non sa stare senza impegnarsi, senza qualcosa da fare, così la stasi forzata ha scosso un morale già basso, riacutizzando il bruciore delle ferite ed aprendo la strada ad un nuovo stadio di buio. E tuttavia sentivo che non stavo facendo bene a me stessa, sentivo che non stavo sfruttando bene questo tempo, che non mi stavo dando tutte le possibilità, che la paura di fallire mi stava bloccando, a me che non mi sono mai fatta fermare da niente e da nessuno. Così, mi sono data un termine, una scadenza: dicembre 2020. Da gennaio 2021, anche se fuori la situazione non fosse cambiata, sarei cambiata io. E così ho fatto: non ho dovuto impormelo, non è stata una scelta forzata. Ho semplicemente sentito che era arrivato il momento, quello scatto di orgoglio che, anche se il mondo fuori è ancora fermo, mi ha permesso di cominciare a muovermi. A gennaio mi sono iscritta ad un master che mi permetterà di acquisire altri titoli, inoltre ho cominciato a fare cose che da anni avrei voluto fare: mettere le mani in pasta, cucinare, prendermi cura di me stessa con consapevolezza ed attenzione. In pochi mesi ho sostenuto alcuni esami, imparato a fare dei dolci semplici e mi sono iscritta ad un bellissimo corso di make up per non vedenti che mi sta dando grandi soddisfazioni. La mia vita non è cambiata, non ho ancora un lavoro, non sono una chef provetta e non sono diventata un'icona di stile, ma sento di aver riaffilato un'arma che avevo dentro e che credevo di aver perduto: il coraggio di fare, di provare, di affrontare le mie insicurezze. È un percorso che possiamo fare tutte e tutti, che non va forzato, ma assecondato. Sono cose piccole che possono diventare grandi, così come anche le insicurezze da grandi possono diventare piccole e lasciarci vivere al meglio delle nostre possibilità. Le mie non sono scomparse con un clic, sono ancora qui, ma la mattina mi alzo con un'energia diversa per combatterle. Non ci sono pozioni magiche, non servono ricette miracolose... sta tutto dentro di noi.
Rossella Lazzari

Essere donne con disabilità ai tempi della pandemia (di Lorenza Vettor)
Quanto la mia vita è diversa da un anno a questa parte? Me lo chiedo spesso, dato che le cose, da quell'inizio di marzo 2020, sembrano immutabili: niente sta cambiando davvero. Rammento ancora quei primi momenti: i laboratori all'università terminati a distanza, con tutto da organizzare in un paio di giorni, la formazione ai volontari di servizio civile non più presso il Consiglio Regionale Uici di Padova ma via Skype, i ragazzi del Sc, mio figlio, qualche persona non vedente che doveva recarsi al lavoro... tutti mi domandavano cosa stava succedendo e io che non riuscivo a dare risposte... Ed intanto era arrivata, un sabato sera, una comunicazione tanto improvvisa quanto inattesa: Treviso zona rossa. Cosa voleva dire zona rossa? E Treviso, perché proprio noi? Mi sembrava di vivere in un incubo; speravo solo di svegliarmi.
La mia vita si era improvvisamente fermata: niente più viaggi in treno e pranzi di corsa, niente rientri ad ore impossibili, niente autobus stracolmi o taxi presi all'ultimo minuto... Tutto questo mi sembrava inconcepibile, impossibile, inammissibile. Incredula, ascoltavo i telegiornali e leggevo le notizie in internet senza capire. La Cina: era così lontana e pure anche così vicina... E quel risveglio, piano piano c'è stato, non perché tutto sia finito, magari fosse così! La verità è che mi sto abituando a questa tragica normalità, alle mascherine e al disinfettante sempre nella borsetta quelle poche volte che esco di casa, niente strette di mano per salutare: «Quando qualcuno ti saluta, stringigli la mano forte forte, decisa, risoluta... Brava, proprio così...», mi ripeteva Ferruccio Gumirato quando, piccola piccola lo incontravo alla festa di Natale che la mia Sezione organizzava. E quelle sue parole mi sono rimaste. E poi niente abbracci, niente contatti nemmeno con i tuoi cari, solo tanta lontananza per proteggere coloro che ami di più. «Distanti ma uniti», ci ripetevano fino alla nausea. E il lavoro, in Dad, ovviamente: Zoom, Teams, Go to meet: ormai fanno parte della mia vita come il caffè a colazione.
Cerco di vedere, in tutta questa tragedia che sa di morte e di disperazione anche nel mio nord-est, qualcosa di buono. E lo trovo. La tecnologia che, con le sue molte limitazioni e le sue tante difficoltà, mi permette di lavorare e, nonostante tutto, di stringere relazioni, di dare una mano a chi ha bisogno, di stare in contatto con coloro a cui voglio bene. Non buttiamo via quello che di positivo questa pandemia ci ha dato una volta che tutto sarà finito!
Mi domando, anche ora mentre sto scrivendo, come sarà quel giorno. E immagino le feste nelle piazze, i caroselli delle automobili, i bicchieri alzati al cielo... Mi domando quando quel giorno arriverà... Ma una cosa è certa: non dimenticherò. E forse, quando sarò vecchia e avrò dei nipotini, racconterò ciò che è stato. E loro, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, penseranno di star ascoltando soltanto una storia a lieto fine.
Lorenza Vettor

Essere donne con disabilità ai tempi della pandemia (di Luciana Brida)
La mattina del 10 marzo 2020, come ogni giorno lavorativo, sono uscita in strada per incamminarmi verso l'ufficio, che si trova nel mio quartiere. Il silenzio era irreale: poco traffico e nessuna persona per strada: zona rossa in tutta Italia. Lungo il tragitto ripensavo alle scelte fatte ed alle opportunità sfruttate molti anni prima. Ora le mettevo a frutto: autonomia ed indipendenza mi consentivano di continuare a lavorare in presenza e le evidenti difficoltà tecniche che mi rendevano impossibile farlo da casa non hanno rappresentato motivo di preoccupazione. Svolgere i miei compiti in una stanza da sola, con una postazione non condivisa con altri colleghi ed avere informazioni accessibili mi ha consentito di superare ogni disagio e vivere in quell'ambiente in sicurezza.
La vita domestica, con il supporto di familiari, non è stata particolarmente traumatica ed un ruolo rilevante lo ha avuto la tecnologia, di cui ho perfezionato l'utilizzo anche per la necessità di partecipare a qualche riunione con realtà in cui opero. Ad un anno di distanza dalla prima chiusura totale, mentre non siamo ancora fuori pericolo, mi sento consapevole e preparata ad affrontare le sfide che questa pandemia riserva a tutti e vorrei che anche altre donne disabili potessero pervenire a tale risultato, perché ne riconosco l'irrinunciabile valore.
L'esperienza vissuta mi ha dimostrato che le difficoltà si possono affrontare quando non si è costretti all'isolamento ed altre persone ci infondono fiducia e non ci costringono a parcheggiarci inattivi ed inutili fra quattro mura. Così la mascherina e l'igienizzante mi fanno compagnia tutti i giorni e la riabilitazione del passato mi aiuta nel mantenere il necessario distanziamento: a volte non è difficile, anche grazie all'attenzione di chi ci sta attorno e ci incontra. Ho frequentato negozi ed uffici, sola o accompagnata, senza rilevare disagi o imbarazzo.
Credo che nel limite del possibile l'isolamento sia da evitare, perché la società si ricordi anche delle donne disabili e del loro bisogno di esserci veramente.
Luciana Brida

Essere donne con disabilità ai tempi della pandemia (di Lucia Casaretti)
Sembrava qualcosa di lontano, che non dovesse mai giungere sino a noi. Parlo della pandemia, di quel virus ignoto, che in un baleno ha cambiato la nostra vita, stroncandone davvero troppe. Credevo fosse così lontano e invece, un giorno, all'improvviso mi ritrovo ad ascoltare questa espressione: lockdown. L'ufficio era per me quasi un'ancora di salvezza, recarmi lì ogni giorno significava che ancora tutto andava bene. Non volevo ascoltare chi diceva che era necessario e opportuno rimanere a casa, lavorare da casa... finché più di un anno fa, non ho preso il portatile datomi dal dirigente e, configuratolo parzialmente in ufficio, l'ho portato via con me. Essere donne ai tempi della pandemia è complesso: rimanere più tempo a casa, alle lunghe è soffocante, mancano le belle passeggiate, gli incontri con gli amici e che dire dei primi tempi, in cui la paura del contagio e dell'ignoto attanagliava tutti, anche chi doveva darci aiuto... riorganizzarsi la vita, la giornata non è stato semplice, tra distanziamento, mascherine, con le necessità che la quotidianità reclama, dalle più banali, acquisti non rimandabili, ad una visita medica e non vedere per mesi e mesi i familiari, poterli solo sentire via telefono o mediante skype, una vita semivirtuale. In estate, la morsa si allenta, ma niente ferie, penso sia troppo pericoloso. E infatti con l'autunno ecco tornare un'ondata, fatta di limitazioni, inferiori alle precedenti, ma pur sempre limitazioni. Sembra riapriranno cinema e teatri, prenoto un concerto: niente da fare, la data viene annullata, niente concerto, niente di niente. Ricevo in dono un altoparlante intelligente, che trovo estremamente utile, ma uno degli aspetti più gradevoli per me è sentire, quasi fossero al mio fianco, amici e colleghi. Con qualcuno si parla anche nelle ore di ufficio, mentre si lavora e sembra di essere tornati alla normalità, ci si sente più vicini, quasi gomito a gomito.
Confido nell'anno nuovo, nei vaccini, in una risoluzione, sia pur parziale di questa situazione, che giorno per giorno diventa sempre più difficile da tollerare: mascherine che non mi consentono di respirare bene come vorrei, benché siano di vitale importanza; preoccupazione per la gestione del distanziamento fisico, la continua sanificazione di ambienti e delle mani. Penso al mio compleanno, immagino di trascorrerlo, almeno con i miei familiari, magari andando a pranzo fuori, o di raggiungerli a casa loro. I giorni passano, incontro una collega, beviamo qualcosa insieme e riusciamo a fare due passi. È strano salutarci senza abbracciarci, senza stringerci la mano, ma si sa... il distanziamento... Scherziamo ridiamo e progettiamo un nuovo incontro, magari anche un po' di shopping. Io penso sempre al mio compleanno, lo scorso anno trascorso in lockdown strettissimo e con un po' di paura. Progetto di uscire, di trascorrere una giornata tranquilla, ma sicuramente fuori dalla mia casa, che amo, che mi protegge e dove vivo felice insieme a mio marito, ma ho bisogno di evadere, di riappropriarmi, sia pure in parte di quanto avevo e facevo nel 2019! Invece: i contagi aumentano, le varianti incombono ed è di questi giorni la notizia: dal 15 marzo si torna in lockdown. Passerà mi dico, dovrà passare e torneremo alla nostra vita di sempre, a quella vita fatta di lavoro condiviso, viaggi, piccole grandi cose, che ci sembravano scontate, normali, che non avremmo mai pensato di dover rimpiangere, di cui non avremmo mai creduto di dover avvertire così pungente l'assenza. Ma intanto ecco avvicinarsi il mio compleanno e con esso il lockdown, che tingerà l'Italia e le nostre vite inesorabilmente di rosso. Ma ne usciremo, grazie ai vaccini, grazie alla scienza e spero alla coscienziosità di noi tutti, ne usciremo e, forse questo incubo ci insegnerà anche a rispettare di più la natura e noi stessi. E allora, avanti tutta, lontani, ma sempre vicini ed uniti.
Lucia Casaretti

Essere donne con disabilità ai tempi della pandemia (di Marika Giori)
Sembrano passati secoli, se non addirittura autentiche ere geologiche da quando abbiamo iniziato, nostro malgrado, a familiarizzare con termini e concetti quali «virus», «epidemia», «pandemia» e, soprattutto, «lockdown». È trascorso poco più di un anno da allora. Un lasso di tempo apparentemente infinito, interminabile, in cui codeste parole ed accezioni, precedentemente lontane anni luce dalla nostra quotidianità, ci hanno toccato da vicino. Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle ciò che significa aver a che fare con una patologia come il Covid, vivendo in prima persona tutte le implicazioni, le difficoltà, i problemi che ha provocato nella nostra esistenza, in primis il necessario, inevitabile distanziamento sociale, nonché un senso di isolamento e di solitudine che ne è derivato. In questo frangente, nella lentezza di giornate che parevano scorrere monotone, l'una l'esatta fotocopia dell'altra, alternandosi fra ansie, preoccupazioni, angosce di vario tipo e di varia natura, personalmente mi sono messa in ascolto, anche e soprattutto grazie alla lettura. Con tanto tempo a disposizione da trascorrere fra le pareti domestiche, mi sono immersa nell'altrui operato. Mi sono trovata, non so se del tutto casualmente, a godere della creatività proprio di noi donne. Mi riferisco in particolare a tante autrici che, in quest'anno di pandemia, ho avuto il piacere e l'onore di incontrare sul mio cammino. Mi sono imbattuta in loro dapprima in maniera totalmente fortuita, poi, piano piano, come si suol dire, da una cosa ne è nata un'altra e, mano a mano che procedevo con la lettura, il mio interesse circa la letteratura e la produzione femminile aumentava a dismisura. Non che prima della pandemia mi fosse estraneo. Tutt'altro! Sono da sempre sensibile a determinate tematiche, attratta più che mai da tutto ciò che ha a che fare con l'universo femminile. Ecco, in questo mio modestissimo contributo desidero concentrarmi e soffermarmi proprio sull'imprescindibile, spontanea esigenza e sull'innata capacità di noi esseri umani - in particolare di noi donne - di realizzare, di creare, di dare vita a qualcosa. Quella nostra voglia e insopprimibile necessità di guardarci dentro, da sole o in squadra, di sviscerare il mondo e noi stesse, sia individualmente che collettivamente. Da qui poi parte spesso il bisogno di confrontarci, di condividere le nostre esperienze, i nostri pensieri, le nostre emozioni, tutto ciò che ci si agita dentro, in un processo di crescita che non riguarda solo le dirette interessate, le artefici effettive di determinate realtà, di determinati prodotti e progetti. Si innesca proprio un processo che, mano a mano che si diffonde, tocca e coinvolge tutte coloro e tutti coloro che ne vengono a contatto. È una sorta di catena interminabile, di fiume che cresce e aumenta la sua portata lungo il suo tracciato, in un viaggio di cui, forse, è vietato conoscere la destinazione. Molto probabilmente, anzi, il fascino di questo cammino personale e universale intrapreso dalle donne risiede proprio nel fatto di non avere una meta precisa, ma di regalare un biglietto aperto e di sola andata. Sta a noi decidere quando, a che punto, a quale fermata unirci a questo viaggio, fino a dove e fino a quando proseguire. Le donne che, spesso, ritagliandosi anche una minima fetta di tempo libero e destreggiandosi fra le mille incombenze che, chissà come mai, sembrano ancora competere solo ed esclusivamente a noi, ebbene, tutte queste donne, non importa se più o meno famose, continuano a manifestarsi nell'abilità di dare forma, di parlare e di parlarci, di far ascoltare la loro voce, anche e soprattutto partendo dalle loro e dalle altrui ferite, fragilità, crepe, ammaccature, zone d'ombra, dai propri e dagli altrui segreti, anche quelli inconfessabili, quelli di cui, più o meno consapevolmente, ci vergogniamo. Sono spesso proprio le donne a sdoganare e a rivelare i lati più oscuri e vulnerabili. Ci raccontano con disarmante spontaneità o con fatica e ritrosia delle loro e delle altrui cadute, dei momenti di autodistruzione, del desiderio di mollare la presa e di lasciarsi andare ma, con la stessa forza dirompente, ci narrano della conquista nel risalire la china, nel risollevarsi, nel rialzarsi, imparando nuovamente a rimettersi in piedi, a camminare con le proprie gambe. Il vero traguardo non è la conquista finale, il raggiungimento della meta agognata, bensì tutto il processo, il percorso che ci conduce a destinazione, dove desideriamo arrivare e approdare, poco importa se per rimanervi definitivamente o solo per un periodo limitato, in una fase transitoria. Il messaggio, il monito che credo di aver scorto e di scorgere non solo fra le pagine dei libri, ma nei mille discorsi e racconti ascoltati, oltre che nel mio progredire quotidianamente è proprio quello del viaggio continuo che ci attende, fra ginocchia sbucciate e disinfettate, fra mille lacrime versate e asciugate, nei molteplici, svariati frangenti in cui abbiamo donato e ricevuto sostegno, soccorso ma anche, inutile negarlo, in cui siamo state vittime e carnefici di noi stesse, in cui abbiamo subito e inferto duri colpi e concenti delusioni. Sia nel salire sul podio e sul palcoscenico della vittoria, sia nel precipitare rovinosamente nell'oblio o negli inferi, siamo sempre noi, le uniche, autentiche, indiscusse protagoniste e detentrici della nostra esistenza, dei nostri singoli destini da accostare e intrecciare in un mutuo, reciproco peregrinare.
Marika Giori



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