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Kaleîdos

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Numero 6 del 2021

Titolo: Ciccilla, la brigantessa che ispirò Robin Hood

Autore: Isabella Fava


Articolo:
(da «Donna moderna» n. 11 del 2021)
A 17 anni sposò un ex soldato dell'esercito borbonico. A 21 combatteva sui monti della Sila contro quell'Unità d'Italia da cui si sentiva tradita. A 22 fu arrestata e condannata a morte. Una donna leggendaria che lottò per la sua libertà, affascinando perfino lo scrittore Alexandre Dumas. E che oggi riscopriamo protagonista di un romanzo potente
Si chiamava Maria Oliverio, ma per tutti era Ciccilla. Fu arrestata a 22 anni il 16 febbraio 1864, nascosta in una grotta nel bosco di Caccuri, nella Sila, «coi capelli corti da uomo, la faccia lorda e segnata da due anni sulle montagne, le unghie spezzate» scrive Giuseppe Catozzella nel suo nuovo romanzo «Italiana» (Mondadori). Ciccilla è la prima brigantessa della storia italiana, la prima e unica a guidare una banda in Calabria. E «Italiana» è la sua storia, raccontata in prima persona. C'è lei: bambina, poi ragazza, poi donna. Ci sono la sua famiglia, suo marito, il legame con la sua terra, i sogni e le sconfitte. Fino alla condanna a morte, poi commutata in ergastolo.
«La storia di Ciccilla è una storia di liberazione progressiva» racconta Catozzella. «All'inizio da un rapporto di amore e odio ferocissimo con la sorella Teresa. Poi da un legame molto passionale col marito Pietro Monaco, uomo idealista ma anche violento». Maria cresce in povertà. Con 6 fratelli, anche se l'unica traccia della sorella Teresa è una T tracciata col lapis sul muro del camino. Teresa era stata data in adozione a una famiglia ricca, però torna dalla sua, dopo che i suoi nuovi genitori vengono uccisi dai rivoltosi. Si accanisce su Maria e la caccia di casa. «Così Maria va a vivere con la zia sul bordo della montagna. E lì, in quei boschi, a contatto con la natura e gli animali, sente il richiamo di una parte più originaria, autentica. Quello sarà il momento in cui ritroverà se stessa». A 16 anni si innamora di Pietro, un ex soldato dell'esercito borbonico diventato prima un cospiratore poi un disertore. Si sposano l'anno successivo. E nell'estate del 1860, dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, «il mondo ha cominciato a cambiare»: Maria viene tradita dalla sorella, è arrestata, si vendica, e inizia una nuova trasformazione. Nel bosco. In quel momento decide di prendere le armi e combattere contro le ingiustizie. «È una donna che ha il coraggio di inseguire il sogno della sua libertà, che ha il coraggio di cercare se stessa e capire chi è destinata a essere. La sua è la storia di liberazione di una donna e contemporaneamente la storia di un Paese, il nostro, che cerca una strada per la sua liberazione» spiega Catozzella. «Raccontando di Ciccilla si raccontano i caratteri costitutivi di noi italiani: il fatto che il nostro Paese ne contenga al suo interno due - il Nord industrializzato su cui si è puntato fin dall'Unità di Italia, 160 anni fa, e il Sud che invece è ancora fondamentalmente agricolo - e poi il populismo, lo scollamento tra cittadini ed élite, e anche la scarsa identificazione con lo Stato, lo scarso senso civico e di comunità».
Ma come è venuta alla luce la storia di Ciccilla? Cosa ha spinto l'autore a trasformarla in un romanzo? «Cercavo delle risposte alle mie domande, alle contraddizioni che mi porto dentro, convinto, come Benedetto Croce, che «il carattere di un popolo derivi dalla sua storia». E mentre facevo ricerche mi sono imbattuto nella storia di Maria, come un archeologo che durante uno scavo trova una chiave per una porta che non è mai aperta, e dietro alla quale c'è un segreto. Così attraverso di lei ho scoperto come i contadini e·i braccianti del Sud hanno vissuto il tradimento. Quella mancata libertà dalla schiavitù che Garibaldi aveva annunciato mentre avanzava coi Mille per fare l'Italia unita. Quella promessa che risultò per quei volontari - uomini, ragazzi, mariti e figli - che lo avevano seguito fiduciosi e che, una volta tornati casa, si erano invece resi conto che niente era mutato: né erano state abolite le tasse né erano state divise le terre».
Ciccilla era una brigantessa, aveva rubato, ucciso, era finita più volte sotto processo. «Ma qui non ci sono buoni o cattivi. Anzi, c'è una domanda: fino a che punto sono disposto a spingermi per cercare la mia libertà? Noi pensiamo ai briganti come criminali, barbari, relitti. Non era così. Molti erano quadri dell'esercito borbonico. Sono diventati fuorilegge perché hanno perso. Ma era gente che cercava di fondare il nostro Paese su basi più giuste. Io mi sono innamorato di queste figure, un po' come era successo a quei tempi ad Alexandre Dumas padre: sul giornale «L'indipendente» aveva scritto più volte di Maria e aveva in mente di dedicarle un romanzo». Quando nel 1864 lei fu arrestata, lui scrisse Robin Hood, che fu pubblicato postumo nel 1872, «e che praticamente è la storia di Ciccilla e di suo marito, soltanto con i nomi e i luoghi cambiati» dice Catozzella.
In questo libro c'è tanta storia, un lungo lavoro di archivio: documenti, sentenze, lettere. «Addirittura alcuni dialoghi sono reali» dice Catozzella. Ma c'è anche tanto lavoro sulla scrittura, sulla narrazione dei personaggi, a volte con espressioni dialettali. «È un romanzo sulla guerra che abbiamo combattuto tra di noi per far diventare la nascente Italia un Paese più giusto. E che abbiamo rimosso. Io ho cercato di tornare a questo rimosso e di raccontarlo. Perché solo così possiamo capire chi siamo oggi. Solo così possiamo andare avanti».
Isabella Fava



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