Numero 11 del 2021
Titolo: Il Braille nell'era digitale
Autore: Giuseppe Lapietra
Articolo:
Le considerazioni che saranno oggetto del mio intervento, prescindono da specifici ed analitici riferimenti, per così dire, al glorioso Braille tradizionale cartaceo, ancor oggi fondamentale nell'educazione ed istruzione dei ciechi. Una perplessità sempre più pressante ci lascia attoniti allorché, spesso implicitamente, molte volte come scontato sottinteso, si diffondono vere e proprie corbellerie tese a sentenziare il definitivo superamento del nostro sistema di riscatto culturale, in ragione dell'affermarsi dell'informatica applicata alla didattica. Ripetere innumerevoli volte una stupidaggine, con ogni evidenza, non la rende magicamente pregevole, per cui certe sgraziate sirene non ci hanno mai blandito.
Le vivaci, creative e robuste iniziative che anche quest'anno si sono svolte ovunque nel nostro Paese, hanno contribuito a mettere ordine nei pensieri e discernere il vero dal falso. Abbiamo fatto uso intensivo delle piattaforme comunicative digitali e così raggiunto un numero enorme di nostri concittadini con le nostre irrefutabili argomentazioni e convinzioni basate sull'esperienza e la conoscenza. Mi sembra costituire ciò il risultato più significativo dei nostri sforzi. Che si tratti di una vera e propria battaglia culturale non ancora definitivamente vinta l'avvertiamo in tanti e, a maggior ragione, occorrerà contrastare i luoghi comuni con approfonditi studi innovativi e nuove metodologie che diano maggiore solidità agli interventi scolastici specifici rivolti ai non vedenti e agli ipovedenti.
Scrivo questi appunti di riflessione utilizzando il sistema Braille touch screen ormai implementato su smartphone e pur affascinato dagli enormi progressi di cui siamo attivi testimoni, non è mai superfluo ribadire che la tecnica e le tecnologie che pur hanno un valore intrinseco, non possono nulla senza l'educazione; non possono dare alcun contributo all'affermazione, alla crescita e all'istruzione dei non vedenti, se non sorrette da precisi impegni educativi ben concepiti, ben congegnati ed indirizzati.
Sapere che esistono innumerevoli materiali ed ausili didattici specifici, averli visti e considerare bastevole ciò, ma non sapersene servire utilmente nell'attività quotidiana di insegnamento, costituisce un problema di non poco conto che scaturisce dalla formazione approssimativa e generica del personale docente preposto. Al riguardo, quasi irrilevante risulta la distinzione tra insegnanti legalmente in possesso di titolo di specializzazione e insegnanti che ne siano sprovvisti, con riferimento alle competenze per gli alunni con minorazione visiva. Naturalmente, gli sviluppi delle tecnologie informatiche hanno aggiunto ulteriori inadeguatezze alla loro preparazione: non è affatto raro assistere ad un capovolgimento di ruoli tra docente e discente non vedente.
Francamente si resta interdetti nel constatare che, ai nostri giorni, proprio quando si è ormai sbriciolato il muro di incomunicabilità tra sistema Braille di lettoscrittura e modalità visiva, oggi che il Braille informatico, in strutturale continuità con il Braille ottocentesco, è pienamente osmotico e sinergico rispetto ai sistemi informatici, in quanto basato su una logica binaria, proprio oggi la tensione e il dovere di rispettare i piccoli non vedenti nel loro sacrosanto diritto di persone che necessitano di un rigoroso riconoscimento dell'importanza decisiva di far loro acquisire una mentalità Braille, si rischia di smarrire tale via con surrogati vacui e facilistici puramente uditivi. Si ha quasi l'impressione che si voglia una rivincita sul tatto, quasi che troppo disturbante, inadatto, innaturale per l'atavica assimilazione del conoscere con tutto ciò che è visivo.
Eppure, quanto spirito letterario e cultura scientifica hanno posto l'accento supremo sul profondo valore degli occhi della mente, a prescindere dal visivo sensibile. Gli esperimenti mentali di galileiana memoria, per l'appunto fatti con gli occhi interiori, ne sono un'altissima attestazione nel campo della metodologia scientifica. Ma come è spiegabile tanta difficoltà nel far accettare il nostro Braille come conquista storicoculturale? Qui non si tratta del rifiuto delle acquisizioni sancite dal diritto internazionale e recepite nelle norme nazionali; in gioco è il diritto naturale di una minoranza umana priva della vista di leggere e scrivere con i magici puntini tattili, invece che con grafie analogico-visive.
Ma non è il tatto uno dei nostri sensi? Che cosa c'è di innaturale nel nostro modo di leggere? Certo, il Braille parla fortemente al tatto, non alla vista. Proprio in ciò sta la rivoluzione copernicana di Louis Braille: se consideriamo tutti i tentativi settecenteschi e ottocenteschi di dare soluzione al problema di far leggere e scrivere i ciechi, possiamo dire che avevano il loro limite invalicabile nel pensare necessari ai ciechi semplicemente adattamenti più o meno appropriati della scrittura visiva.
Louis Braille indossa una lente innovativa e, per l'appunto, con gli occhi della mente si aggrappa all'ancora solidissima della logica matematica binaria. Che la conoscesse o meno ha poca importanza. Non ci risultano specifici studi delle opere di Nepero, né sembrerebbe aver avuto contatto col filosofo e geniale matematico tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz, che studiò per primo tale sistema di numerazione e ne fu il suo formidabile inventore. Per lungo tempo su questi studi prevalse l'oblio. Si ricordi, però, che da tali acquisizioni si affacceranno all'orizzonte le grandi scuole di logica matematica del novecento, con la nascita del calcolatore elettronico.
Ora, ed è ciò che ci interessa, noi comunque possiamo constatare che Louis Braille nel primo trentennio del XIX secolo se n'è servito magistralmente, aderendo tra l'altro operativamente ad una essenzialità «economica» nell'evitare qualsiasi inutile spreco funzionale di motricità, dato che il tatto è una sorta di vista ridotta a zero. A tal guisa, ci tornano sempre alla mente le parole di Pierre Villey che, nel 1909, a un secolo dalla nascita di Louis Braille, affermò che «il Braille è la rivolta del tatto contro il dominio prepotente dell'occhio».
In realtà, questa dirompente espressione sancisce l'irrinunciabile affermazione di un diritto civile da conquistare, pur nell'alterità del nostro sistema rispetto alla consuetudine. Ma, come si suol dire, il cuore forte si vede alla distanza, dato che la forma delle cose è nella durata, direbbe Bergson!
In effetti, quale è stato il miracolo che Louis Braille ci ha donato a distanza di 150-160 anni? Presto detto: è stato sufficiente aggiungere 2 puntini, per trasformare le 2 colonnine parallele di 3 puntini in colonne di 4 puntini e l'anello conoscitivo si è perfettamente chiuso.
Ecco, Braille e informatica sono sposi felici e anche litigarelli, naturalmente. Però sanno svolazzare stretti stretti nei medesimi byte anche sulle nuvole delle memorie. Poi, con una formidabile cura dimagrante il Braille ha finito per avere lo stesso peso, diciamo così, del simbolo visivo. Ma oggi, siccome i vedenti si sono messi ad imitare i servizi storici dei ciechi e si ingozzano di audiolibri, ci vogliono nuovamente convincere che il nostro leggere, il nostro Braille, anche quello informatico, quello labile, è una inutile fatica da accantonare.
Silenzio, per favore, richiederebbe Marcel Proust ne' «Il Tempo Ritrovato»: «ogni lettore, quando legge, legge se stesso; l'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che senza libro non avrebbe forse visto in se stesso».
E allora: fateci leggere, fate leggere chi desidera raccogliersi e far riposare l'udito per afferrare le idee con il nostro tatto e non farle fuggir via, perché leggere è altro dal sentir leggere.