Numero 3 del 2021
Titolo: IPOVISIONE- Ipovedenti: la nascita di una categoria
Autore: Angelo Mombelli
Articolo:
In questo secolo di attività, l'Unione ha intrapreso e vinto innumerevoli battaglie a tutela delle persone con minorazione visiva. Una di queste riguarda indubbiamente il riconoscimento di una categoria dimenticata: gli ipovedenti.
È tipico dell'essere umano prestare attenzione agli estremi, al nero e al bianco, e di prestare poca attenzione a ciò che sta nel mezzo; il mondo è però colmo di grigio, di tante sfumature che nel nostro caso sono rappresentate da quelle persone che, pur non essendo cieche, non sono annoverabili tra i normovedenti: gli ipovedenti.
La storia abbonda di ciechi illustri: le notizie inerenti i privi di vista si possono rintracciare in ogni tempo. Scarsissime sono invece le testimonianze inerenti gli ipovedenti. Certo non perché questi non siano esistiti in passato: si racconta che l'imperatore Nerone, assistendo ai giochi dei gladiatori, utilizzasse un rubino davanti all'occhio per meglio vedere. Che fosse ipovedente? Non lo sapremo mai, perché all'epoca sebbene sicuramente esistessero le persone con bassa visione, nessuno li identificava con un nome.
È soltanto all'inizio dell'era industriale che nelle testimonianze storiche compaiono tracce dell'esistenza delle persone con bassa acuità visiva, purtroppo coinvolti in episodi poco allegri: con la rivoluzione industriale e l'esplosione demografica del XVIII secolo, nonché con il conseguente incremento della povertà nelle aree urbane, le istituzioni Francesi presero provvedimenti contro la diffusa mendicità; se ai ciechi assoluti era comunque tollerata la questua, agli ipovedenti era decisamente proibita; è allora che, nei verbali d'arresto, compaiono per la prima volta in un documento ufficiale, i cosiddetti "semiciechi".
Il filosofo Voltaire (1694 - 1778), di fronte ad una grave perdita visiva in tarda età, non trovò credito presso la cieca assoluta Madame Du Deffand, che lo accusò garbatamente di simulazione. Ciò dimostra di quanta poca considerazione godessero le persone con una bassa visione, non solo nella società dei normodotati, ma anche nella comunità dei ciechi.
L'attenzione della società nei confronti dei soggetti con bassa acuità visiva si diffuse, per necessità, laddove si generalizzò l'istruzione di base e nelle realtà ove la rivoluzione industriale creò esigenze di precisione e standardizzazione delle attività produttive. Alla fine del '700 e per tutto il secolo successivo sorsero numerosi istituti per ciechi che, grazie anche al sistema di scrittura e lettura inventato da Louis Braille intorno al 1830, permisero ai ciechi assoluti di intraprendere un percorso di istruzione fino a prima impensabile. Gli ipovedenti però vennero trascurati per tutto l'800; c'è una specie di destino che fa degli ipovedenti "persone dimenticate". Soltanto nel 1908 fu fondata a Londra la prima scuola per miopi gravi; questo tipo di scuole speciali trovò diffusione nei decenni successivi in altre città del mondo. Fu allora che ci si pose una domanda: chi sono i soggetti che hanno il diritto di accedere a queste scuole? Si manifestò l'esigenza di studiare e codificare le metodologie didattiche specifiche per i soggetti interessati.
Una risposta ancorché parziale alle problematiche circa la definizione di persona ipovedente venne dal Convegno di Tiflologia che si tenne nell'agosto del 1927 a Konigsberg che fece il punto della situazione ed emise una direttiva generale sull'educazione: "Devono essere considerati ampliopici ed educati in classi speciali i fanciulli la cui acutezza visiva è compresa tra 1/25 e 1/4, a condizione che il loro potere visivo permetta di insegnare loro a leggere e a scrivere grazie a metodi medico pedagogici speciali e, più tardi di ricevere un preparazione come vedenti; si deve inoltre tener conto del campo visivo, della percezione dei colori e soprattutto della percezione visiva a breve distanza". Questa definizione ha influenzato in modo determinante le strategie educative dei minorati visivi per oltre trent'anni.
Furono però le tendenze scientifiche allora dominanti, e che purtroppo ancora oggi nel pensiero comune sopravvivono, a peggiorare molte situazioni visive deficitarie: infatti, gli specialisti del tempo erano soliti consigliare, in presenza di problemi oftalmologici, di utilizzare con parsimonia la vista. Un esempio significativo: negli Istituti per Ciechi, coloro che avevano un residuo visivo, venivano bendati per apprendere il metodo di lettura Braille; tale metodica è continuata fino alla chiusura degli Istituti alla fine degli anni '70 dello scorso secolo. Questi fatti rimarcano in quanta poca considerazione fossero tenuti coloro che, minorati della vista, avessero comunque la possibilità di apprendere attraverso il residuo visivo. In questo senso molti ipovedenti divennero tali a causa di uno sciagurato approccio alle problematiche legate alle patologie causa di ambliopia, soprattutto quando l'occhio residuo era affetto da altre patologie. Gli occhi, come tutti gli organi del corpo, necessitano di essere attivi, altrimenti perdono la loro piena e corretta funzionalità. Chi ha subito un qualsiasi incidente, sa che l'immobilità di un arto comporta la perdita del tono muscolare, la cui piena ripresa è ottenibile solo dopo un processo di riabilitazione che ne stimoli la funzionalità, pena l'atrofizzazione del medesimo. Solo grazie alla rivoluzione scientifica operata dall'oftalmologia moderna, oggi si interviene, in presenza del cosiddetto "occhio pigro", con l'occlusione temporanea dell'occhio sano, con l'utilizzo di lenti correttive e con varie forme di stimolazione che favoriscano il recupero visivo dell'occhio ambliope.
Ancorché non si sia rivelata scientificamente valida, l'opera del medico statunitense William Horatio Bates (1860 - 1931) ha contribuito, negli anni '20 del ventesimo secolo, a porre l'attenzione su un nuovo approccio alla correzione della miopia, basato sulla stimolazione delle funzionalità oculari. Negli anni '40 fu lo scrittore premio Nobel Aldous Huxley, egli stesso ipovedente, a divulgare le teorie di William Bates attraverso numerosi scritti tra cui il volume "L'arte del vedere" (1942), attirando l'attenzione della comunità scientifica sull'argomento.
Accanto ai problemi clinici oftalmologici, permaneva però la necessità di pervenire ad una meglio definita classificazione delle minorazioni visive, che approfondisse quanto indicato al congresso di Konigsberg, anche in virtù delle nuove conoscenze nel settore. Nel corso del dopoguerra, sono stati numerosissimi i tentativi di formulare classificazioni medico-legali delle minorazioni visive. Tra questi, possiamo ricordare quello di Genesky che nel 1970 avanzò un sistema di classificazione funzionale per gli ipovedenti che distingueva tra persona funzionalmente cieca e persona funzionalmente vedente in base alla capacità di leggere e scrivere, identificare oggetti familiari e di muoversi senza pericolo in ambiente non familiare. Nel 1975, Meber e Freid definirono "vista parziale" o "vista bassa" una riduzione dell'acutezza centrale o una perdita di campo visivo che, anche con la migliore correzione ottica, desse una minorazione visiva che ostacolasse la vita pratica dell'individuo.
Finalmente nel 1977, l'Organizzazione Mondiale della Sanità nella "Classification of Visual Performances" contenuta nella "Classification of Disease", universalmente riconosciuta, definì con chiarezza cinque categorie di minorazione visiva, e precisamente:
Cat I - Ipovisione modesta: prevede un visus inferiore a 0,3 ma superiore o uguale a o,1 o un campo visivo inferiore a 60° centrali, ma superiore ai 20°.
Cat II - Ipovisione marcata: prevede un visus inferiore a o,1 ma superiore o uguale a 0,05 o un campo visivo inferiore a 20° centrali, ma superiore ai 10°.
Cat III - Ipovisione grave: prevede un visus inferiore a 0,05 ma superiore o uguale a 0,02 0 un campo visivo inferiore a 10° centrali, ma superiore ai 5°.
Cat IV- Ipovisione gravissima o cecità quasi totale: prevede un visus inferiore a o,02 o un campo visivo inferiore ai 5° centrali.
Cat V - Cecità assoluta: prevede l'impossibilità di percepire la luce.
Da sottolineare che la definizione di minorazione visiva dell'O.M.S. non contemplava altri parametri di valutazione della funzione visiva, quali la sensibilità al contrasto, il senso luminoso, il senso cromatico e la presenza di nistagmo, che talvolta hanno un ruolo essenziale nel determinare il grado di invalidità. La definizione dell'O.M.S. ha avuto comunque il merito di sostituire la divisione binaria tra persone legalmente vedenti e persone legalmente cieche, inserendo finalmente una terza categoria, quella degli ipovedenti. Si può quindi affermare, con cognizione di causa, che, nel 1977, nacque ufficialmente la categoria degli ipovedenti.
La direttiva O.M.S. non ebbe però applicazioni immediate ed esaustive nelle normative di legge italiane; infatti molteplici leggi nazionali, tutt'ora vigenti, considerano cieco colui che ha un residuo visivo di 1/10 in entrambi gli occhi, anche con eventuale correzione, senza fornire ulteriori indicazioni sulle basse visioni. Da sottolineare che allora sorse un dibattito sulla definizione stessa della categoria: qualcuno suggerì di definire i soggetti con bassa visione "malvedenti" oppure "subvedenti", ma prevalse infine il termine "ipovedenti".
Continua...