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Corriere dei Ciechi

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Numero 3 del 2021

Titolo: ATTUALITÀ- Donne, schermi e comunicazione

Autore: Luisa Bartolucci


Articolo:
Quando l'amico Vincenzo Massa mi ha chiesto di scrivere un articolo per "Il Corriere dei Ciechi" di marzo, per affrontare un tema legato alle Pari Opportunità di genere, in vista della Giornata Internazionale della Donna, ho subito pensato alla interessante intervista che su Slash Radio Web ho realizzato con Lorella Zanardo, per illustrare il suo ultimo lavoro "Schermi, se li conosci non li eviti", scritto in collaborazione con Cesare Cantù. Forse qualcuno di voi si domanderà: ma chi è costei? Lorella Zanardo, attivista, documentarista, scrittrice, è coautrice, insieme a Cesare Cantù, del documentario Il Corpo delle Donne e dell'omonimo libro (Feltrinelli, 2010). È anche autrice di Senza chiedere il permesso. Come cambiamo la tv e l'Italia (Feltrinelli, 2012) e ha supervisionato Educare alle immagini e ai media. Manuale per un uso consapevole da 0 a 11 anni (Junior, 2018). Con il documentario Volto Manifesto, che tratta della scomparsa del volto nell'epoca digitale, ha avviato una riflessione globale sul volto come Patrimonio dell'Umanità. Fa parte del Comitato Direttivo di Winconference, organizzazione internazionale per la promozione delle donne nella società e nel mondo del lavoro. Il suo blog e i suoi profili social sono un punto di riferimento per migliaia di donne in Italia e all'estero.
Dopo aver trascorso parecchio tempo in diversi Paesi stranieri, rientrando in Italia, questa donna incredibile si rese immediatamente conto che i media e la pubblicità utilizzavano in modo preponderante e quasi ossessivo il corpo delle donne come oggetto per veicolare molti tipi di messaggi, spesso in contrasto con il canale o il contesto all'interno del quale apparivano. Fu proprio dall'osservazione di quella anomalia che prese vita il documentario Il Corpo delle Donne e l'omonimo libro che lo seguì, che ebbero il grande merito di svelare ed evidenziare ciò che era, in realtà, sotto gli occhi di tutti, ma che non tutti, purtroppo, potevano o erano in grado, in condizione, di vedere.
Iniziò così il percorso di disvelamento che contraddistingue ormai da più di dieci anni la importantissima attività sul territorio svolta dalla Zanardo. Nuovi Occhi per i Media si chiama l'associazione che è stata creata da questa eccellente documentarista con Cesare Cantù, coautore del documentario e formatore da molti anni. "Nuovi Occhi" perché è solo indossando degli occhi nuovi che è possibile svelare ciò che nelle immagini viene abitualmente nascosto.
Ma l'idea di dedicarsi all'educazione ai media, materia ancora poco diffusa nel nostro Paese, non è stata tanto, o soltanto la loro: quando il documentario comparve e si diffuse velocemente fino a raggiungere diversi milioni di persone, cominciarono a pervenire agli indirizzi e-mail sia di Lorella Zanardo che di Cesare Cantù, centinaia di richieste da parte di professoresse e professori di scuole di ogni ordine e grado, che individuavano negli autori di questo prodotto editoriale i possibili fornitori di quella formazione che ritenevano indispensabile e della quale erano sprovvisti.
"Forniteci degli strumenti per aiutare i nostri studenti e studentesse a guardare le immagini in modo più consapevole", chiedevano. Iniziavano a comprendere perfettamente che dalla corretta analisi e successiva interpretazione delle immagini dei mass media sarebbe dipesa la modalità attraverso la quale i loro alunni si sarebbero trasformati in adulti e adulte: in gioco c'era infatti la cittadinanza attiva, il divenire donne e uomini consapevoli, capaci di resistere all'omologazione stereotipata e non solo.
"Grazie" - esordisce Lorella Zanardo dopo la mia presentazione - "Per aver ricordato Cesare Cantù, coautore sia de "Il corpo delle donne", che di "Schermi se li conosci non li eviti". Lo dico perché è bene che si comprenda e si sappia che, occuparsi di stereotipi di genere, non è un argomento da donne, ma che coinvolge uomini e donne. Infatti, sia nella produzione del documentario, che nei corsi che teniamo di educazione ai media, è presente Cesare Cantù, insieme ad altri uomini, poiché occuparsi di discriminazione, o di ciò che non va nella società, è un tema che interessa entrambi i sessi. Sarebbe ideale che un manuale come quello che abbiamo scritto e pubblicato lo leggessero tutti, vista l'epoca che stiamo vivendo, dominata dagli schermi. Quando io ero piccola, nella mia vita vi era un solo schermo, la televisione, per qualche ora al giorno... Adesso abbiamo: lo schermo della televisione, quello del tablet, lo schermo del computer e l'onnipresente smartphone. Lo dico anche citando i dati del CENSIS che ogni anno, in questo periodo, pubblica il nuovo rapporto sulla comunicazione, che ci dice che il numero di ore che noi trascorriamo davanti agli schermi, aumenta di anno in anno. In particolare, chi avesse una fascia d'età sino ai 25 anni, o chi avesse figli o figlie di quella età, consideri che il numero di ore diventa davvero elevato, quasi la vita intera trascorsa davanti agli schermi. Ecco perché noi riteniamo che non sia corretto dire ai ragazzi o alle ragazze che non debbono avere o utilizzare internet, poiché la rete, se sfruttata a dovere, può essere un favoloso strumento di educazione. È indispensabile, però, formare ad un corretto uso dei media. Non bisogna condannare, ma innalzare il grado di consapevolezza, mettersi davanti allo schermo e dire, come mai queste immagini sono montate così, oppure... stiamo raccontando un femminicidio, è proprio necessario mostrare un'immagine che non di rado finisce per contribuire a rendere ancora più oggetto il corpo delle donne reificandolo? Non diamo soluzioni, ma riflettiamo: pensate alla telecamera anche quando vi sono quiz, o programmi di intrattenimento, se i concorrenti sono uomini, riprende la figura intera, il mezzo busto, o un primo piano quando il partecipante inizia a parlare. Corretto, come nella vita: mi avvicino ad una persona, da figura intera, man mano che la distanza diminuisce vedo il volto. Quando si tratta di una giovane concorrente donna, invece, la telecamera parte inquadrando i piedi, sale, sale, sale... cosce, stacco... telecamera dall'alto, seni e, per ultimo, si inquadra il viso. Non è per demonizzare il corpo delle donne, ci mancherebbe, però noi consigliamo sempre, quando si riprende il corpo di una donna, di non dimenticare il volto, perché è proprio da questo non trascurabile dettaglio che emerge il nostro essere persone. Se continuamente, riprendendo figure femminili, si propongono pezzi di corpo, senza soffermarsi sul viso, nella TV o nella pubblicità, contribuiamo ad un processo di oggettivazione, di reificazione, che in ultima analisi conduce alla deumanizzazione. Imparando a guardare con occhi consapevoli, ci accorgiamo di ciò che sta accadendo e possiamo anche dire cosa non va e che, o se, qualcosa non va.
D. - Dottoressa Zanardo, come è documentato ottimamente nel manuale, ciò avviene proprio per ogni tipologia di prodotto studiato per la televisione. È di estremo interesse l'esempio che riportate, relativo ad una nota marca di yogurt, pubblicizzata in Italia con una determinata modalità, mentre nel mondo anglosassone secondo parametri del tutto differenti...
R. Sempre rimanendo in un'ottica che mira a non demonizzare, ma ad essere assolutamente consapevoli. Internet ci offre una grande opportunità, quella di vedere che cosa avviene in altri Paesi. Facendo questi confronti, talvolta accade che mi accorga, come nel caso di questo prodotto, che si insista, da noi in Italia, nel utilizzare il corpo della donna per pubblicizzare qualsiasi cosa. La buona pubblicità insegna che è giusto mostrare il corpo, qualora io debba vendere un prodotto legato ad esso: mi trovo a dover pubblicizzare un costume da bagno, mostrerò una persona in costume da bagno. Ma quando ci allontaniamo dal prodotto che debbo vendere, mostrare un corpo, così, gratuitamente, altro non è che una reificazione, quindi se debbo lavorare su uno yogurt, una sedia, se devo vendere una borsetta... perché mostrare un corpo? Ci siamo accorti che molto spesso nella pubblicità vi è una sessualizzazione inutile; diciamo questo non per demonizzare la sessualità, proprio il contrario, per darle invece il ruolo più corretto e la giusta importanza. A volte nei corsi che teniamo nelle scuole, chiediamo: Ma lo yogurt che destinazione d'uso ha? Le risposte non hanno mai attinenza con questa estrema sessualizzazione, però questa finisce indubbiamente per catturare l'attenzione, che è ciò che chi studia certi spot desidera avvenga. Noi spieghiamo che è bene agire captando sì l'attenzione del pubblico, dei consumatori, ma senza oggettivare, senza reificare.
D. - Cosa non va nel nostro Paese, perché si fatica ad emanciparsi sotto questo profilo, perché è così arduo eliminare, liberarsi da simili stereotipi?
R. - In effetti ci confermano i dati che non stiamo parlando di impressioni personali, che su alcuni temi noi italiani siamo ancora arretrati; alcune cifre sono oltretutto preoccupanti, non parliamo di sciocchezze: il tasso di disoccupazione femminile, ad esempio, da Roma in giù è uno dei più elevati d'Europa; molte donne che incontriamo nel territorio ci dicono: sì, bella l'indipendenza, interessanti ed importanti i vostri discorsi, ma se io non ho uno stipendio, non posso avere una vita autonoma, non posso essere libera, non posso affermarmi, non posso fare nulla. Non è una novità che molte donne finiscano per subire per anni forme di violenza, poiché non sono economicamente autonome. Con il COVID il genere maggiormente penalizzato è stato, neanche a dirlo, proprio quello femminile. Noi abbiamo individuato che uno dei problemi risiede nei media (almeno da una quarantina d'anni le donne vengono proposte e rappresentate molto spesso, troppo spesso, dai e nei media, prima solo dalla televisione, ora dai diversi new media, in questo modo così intrattenitivo, oggettivante. I modelli escono dagli schermi ed entrano nelle case e diventano reali. È per questo che noi insistiamo nel dire che è così importante non far vedere in televisione, sugli schermi in generale, sui social questa tipologia di immagini, ma adoperarsi, piuttosto, per far conoscere la nostra realtà, come noi donne siamo effettivamente, evidenziare che lavoriamo, ci diamo un sacco da fare, siamo multitasking, poiché riusciamo a fare cento cose simultaneamente. Mostrare, far vedere, comprendere è importante perché chi è a casa, ma soprattutto chi sta crescendo, trae ispirazione da questi messaggi, dalle immagini e trova modelli positivi. In Italia, ci dicono sempre i dati, estrapolati da una interessante ricerca del CENSIS risalente a qualche anno fa, "Donne e media in Europa", sembra che noi si sia resistenti al cambiamento, anche se io sono ottimista, perché se ci pensate, veniamo da un recente passato fatto di sottomissione, (Mia nonna ha votato che aveva 37 anni). Da allora conquiste ne abbiamo fatte, dunque, sotto certi aspetti, dobbiamo anche un po' rinfrancarci, però è verissimo che su altri temi siamo in estremo ritardo.
D. - Come si spiega tutto ciò?
R. - È una commistione, da una parte vi sono media che non ci aiutano, dall'altra vi è una resistenza a far diventare e considerare le donne davvero come pari.
D. - Perché?
R. - È un cambiamento scomodo. Osservava il premier canadese Justin Trudeau tempo fa: "Ma perché le donne non capiscono che la parità prevede per loro anche un po' di lotta scomoda? Quei posti che loro reclamano, - diceva - sono posti che toglierete agli uomini. Volete posti nei consigli di amministrazione? Ciò comporterà che vi sarà all'interno di tali consigli, un minor numero di uomini". Che ci sia un po' di lotta ci sta. Ciò che io ho riscontrato è che, noi donne italiane dobbiamo imparare a non temere la disapprovazione. Quando si lotta per i propri diritti, difficilmente si piace; questa è la storia, non solo delle donne, ma anche degli uomini. Nelle scuole io sono solita citare il caso di Nelson Mandela, che si batté per i diritti dei neri in Sudafrica, per un lunghissimo periodo e rimase in carcere per trent'anni, prima di divenire Presidente di quello Stato. È stato una vita in carcere per difendere le sue idee, i diritti di un popolo. Noi donne dobbiamo imparare, lo dico anche a me stessa, che in questa lotta non piaceremo e va bene così, perché l'obiettivo è importante!
D. - L'immagine che i media propongono e offrono del femminile al pubblico ogni giorno, a causa della televisione commerciale, ha fatto compiere alle donne un passo indietro, rispetto alle conquiste fatte grazie al femminismo, che aveva sdoganato alcune tematiche e condotto le donne ad una certa consapevolezza di sé...
R. - Da un certo punto di vista indubbiamente. È pur vero che per taluni spettacoli, un certo modo di intrattenere diviene, se così si può dire, pericoloso, quando non vi è molta alternativa, o non ve ne è affatto. Negli altri paesi, si pensi alla Gran Bretagna, come da noi esistono molti programmi di livello sicuramente non eccelso, però la BBC, che è il corrispettivo del nostro servizio pubblico, della RAI, ha una proposta di qualità. Quando si parla di televisione di qualità, spesso si pensa a qualcosa di noioso. Non è assolutamente così: può esservi l'intrattenimento godibile, anche facile, non sempre abbiamo voglia di seguire documentari... la grande differenza, negli altri Paesi del Mondo, penso alla Germania, alle nazioni del Nord Europa, è che il servizio pubblico fa una proposta completamente diversa, in particolare, citiamo un caso di cui si è molto parlato: tempo fa è andato in onda sulla RAI, un video in cui una ragazza mostrava come si fa la spesa al supermercato essendo sexy. Non so se dire che ciò era grave perché al di là di ogni immaginazione, o cosa... Un video simile cancella completamente tutti i diritti di essere come siamo, non solo, qualsiasi donna, ne abbiamo parlato a lungo sul blog del corpo delle donne ed abbiamo ricevuto centinaia di e-mail e messaggi di protesta, qualunque donna lavori, abbia dei figli e si rechi a fare la spesa, sa perfettamente che al supermercato non ci si va sicuramente con un tacco 12. Simili cadute di stile, non dovrebbero più esserci nel 2021. Quindi occorre lavorare per educare e per andare verso immagini che realmente rappresentino ciò che siamo.
D. - Nel manuale è presente anche un'analisi dettagliata della trasmissione amore Criminale...
R. - Noi non intendiamo affatto criticare le buone intenzioni di chi ha pensato e realizzato il programma, sicuramente queste erano le migliori. La trasmissione Amore Criminale, per chi non l'avesse mai vista, racconta dei casi realmente avvenuti, di violenza contro le donne, o addirittura di femminicidi. L'intenzione, quindi, è assolutamente positiva, raccontiamo un fenomeno che purtroppo è una realtà, sono già diverse le donne uccise in questi primi mesi del 2021, femminicidi, uccisioni di donne in quanto donne, il tema è importantissimo. Ciò su cui noi esortiamo a porre l'attenzione ed invitiamo a riflettere, nei processi di educazione e formazione, è che la modalità con la quale viene costruito il programma fa sì che si punti alla spettacolarizzazione, la musica di suspense ci avvicina molto ai film gialli, che vediamo di solito; le scene riprodotte, che chiaramente non possono essere la realtà, ci portano a ricordare quelle di telefilm dove è presente una storia di passione tra due che finisce male per lei. Noi da casa non facciamo tutta questa analisi, ci sediamo davanti allo schermo e man mano che le immagini vanno avanti, si susseguono, entriamo quasi nell'idea che quella non sia la realtà, non mi viene proposta come fosse un documentario. Diventa una sorta di narrazione, simile ad una fiction. Questo fa sì che alla fine della serie Amore Criminale, chi ha guardato il programma non è indotto a volersi occupare di questo tema, non ha sviluppato una reale coscienza critica, ma si è posto davanti a questa trasmissione nella medesima modalità con la quale fruirebbe di un telefilm, nel corso del quale si racconta un omicidio. A nostro avviso l'intenzione di chi ha realizzato il programma è lodevole, tuttavia non si riesce a sufficienza, utilizzando quelle tecniche, a mettere in crisi le nostre coscienze, e neanche si sensibilizza rispetto ad una tematica così importante e così attuale.
D. - Anche il titolo è piuttosto discutibile...
R. - Sì, il titolo è abbastanza discutibile ed è una delle cose su cui noi ci battiamo tanto: organizziamo numerosi incontri con l'Ordine dei giornalisti e ci rendiamo conto che c'è poca consapevolezza. C'è spazio per costruire... Perché lei giustamente cita il titolo? Perché non è amore! Se qualcuno ci uccide, ci usa violenza, in quanto donne, non è amore, è proprio un'altra cosa. E questo ci dà lo spunto per ricordare le centinaia di titoli che leggiamo quotidianamente sui giornali, anche i più seri. C'è proprio inconsapevolezza. Ne raccogliamo veramente tanti, i titoli sono: "l'ha uccisa perché l'amava troppo", "era geloso"... questo accade giornalmente, mi creda. Io ritengo che ci sia ancora qualcosa da sviscerare, è bene che se ne parli. Noi usciamo da un lungo patriarcato, ma senza neanche volerlo demonizzare. Il cambiamento non avverrà in un attimo... La sensazione che si riceve è che vi sia da parte di chi mette insieme le immagini e le parole, un inconscio, sì, una quasi forma di giustificazione, perché quando si dice o si scrive: l'amava troppo, era geloso... Rammento uno di questi titoli: "lei chattava troppo sui social", messo così sembra quasi che vi fosse un motivo, induce chi legge ad immaginare, o pensare: "ah, forse aveva l'amante". Sono tutte insinuazioni, supposizioni che portano il lettore a pensare "poverino l'amava troppo". Ricordo il caso di quell'uomo che uccisa la moglie gettò la figlioletta dal viadotto e poi si lanciò lui, suicidandosi. Si lesse su un quotidiano cattolico e fu davvero doloroso leggerlo: "Forse la moglie era troppo seria e dura e non poteva capire i guizzi dell'animo di questo uomo sensibile". Vi è un aspetto positivo che vorrei sottolineare, che citiamo nel libro e che raccontiamo ovunque, quando ci dicono "Caspita, ma non cambia mai nulla?" No, non è proprio così; vi è un dato molto interessante e che fa ben sperare, quando uscì "Il corpo delle donne", ormai diversi anni fa, presentandolo in giro per l'Italia, le persone ci dicevano: "Accidenti, io sto molte ore al giorno davanti alla TV e non mi ero mai accorta...", adesso le cose sono un po' mutate. Quando vi è stato questo titolo su un quotidiano, il giornale ha ricevuto centinaia e centinaia di e-mail di riprovazione; vi è stato il video della ragazza sexy che va a fare la spesa, sono giunte numerosissime proteste; quando il giornalista americano tempo fa ha definito escort la moglie dell'ex Presidente Trump, sono fioccate proteste. Fortunatamente sembra che le persone inizino a rendersi conto e a reagire. Io trovo che questo sia un bellissimo segno.
D. - Nel manuale ci si sofferma sulla rete. Noi abbiamo molto a cuore le tematiche legate al bullismo agito anche nei confronti di persone con disabilità. Cosa è possibile fare per difendersi e come comportarsi quando compaiono video pubblicati senza il consenso di chi è ripreso?
R. - Eh, anche quello del cyberbullismo, del linguaggio d'odio, delle notizie false, come del revenge porn sono grossi problemi; tra l'altro non sempre si tratta realmente di revenge porn, poiché, non sempre, quanto viene pubblicato lo si diffonde per vendetta, sarebbe il caso di trovare un neologismo. Vendetta è un termine che fa supporre che io abbia fatto qualcosa per cui essere punita. Se una ragazza, una donna ha girato un filmino contenente immagini dei suoi rapporti intimi con il partner, una volta terminata la relazione, l'ex, magari perché viene lasciato, le pubblica. C'è da dire che in molti casi non è revenge. Il partner pubblica, diffonde queste immagini senza che neanche lei lo abbia lasciato. Citiamo il caso recente dell'insegnante, una giovane di ventitré anni, in Piemonte, che si è trovata un filmino intimo, che il suo compagno aveva messo online, senza che lei avesse fatto alcunché. Il partner ha inoltrato queste immagini nella chat dei compagni di calcetto, giustificando così il suo gesto: "se l'amassi non lo pubblicherei, ma dato che non la amo diffondo e pubblico queste immagini". Ci sarebbe molto da riflettere anche su questo. Nelle scuole sono estremamente interessati a simili tematiche. Non esiste una ricetta: la prima cosa è essere consapevoli che una volta che si posta una propria fotografia online, non se ne è più padroni. Spesso le persone, soprattutto i ragazzi e le ragazze, non ne sono coscienti. La prima cosa è educare a questo. Io pubblico una foto su un social e nel momento in cui ho accettato le condizioni, contenute in quella sorta di contratto che si firma quando ci si iscrive, il materiale fotografico finisce per appartenere anche al social, che potrà farne ciò che vuole. Egualmente se invio in chat una mia foto che non vorrei uscisse all'esterno, debbo pensare che invece facilmente ciò potrebbe verificarsi. Non bisogna, però, spaventarsi troppo, occorre sì essere consapevoli, ragionare e riflettere sempre. Così come prima di diffondere una notizia, perché soffermandosi un attimo a pensare, ci si rende conto che potrebbe anche trattarsi di una notizia falsa, a volte si condividono informazioni inconsistenti senza neanche averle esaminate con attenzione. Se poi per caso, hai inserito una tua foto e poi ti penti, non bisogna farsi prendere dallo sconforto totale. Questo è un punto fondamentale. Vi sono stati casi di ragazze giovanissime che si sono tolte la vita per fotografie pubblicate, in cui c'era veramente poco, ma quando si è così piccole, così giovani, ci si spaventa delle immagini che girano ed ancor più delle cattiverie che vengono scritte online. Carolina, una di queste ragazze, che si è tolta la vita, ha lasciato scritto sul suo diario, prima di togliersi la vita: "Le parole fanno più male delle botte", la uccidevano in qualche modo. Stessa cosa è accaduta a Tiziana Cantone, un caso che ha strappato il cuore a noi tutte. Il fidanzato di questa ragazza aveva messo online un loro filmino intimo, che divenne un tormentone persino tra i calciatori. Tiziana chiese, tramite un avvocato, a Google, di accedere al diritto all'oblìo, un diritto acquisito di recente attraverso la Corte europea di Strasburgo, alla quale noi cittadini e cittadine, a fronte di motivazioni serie, possiamo chiedere la rimozione di notizie che ci riguardano; non è un procedimento semplice. Però, mentre si avviava questa lunga pratica, intanto le immagini giravano. Rimuovere immagini completamente dalla rete non è così facile. È preferibile agire a monte. Meglio riflettere prima di postare materiale in rete. Dobbiamo ricordarci, anche da ragazzini, che abbiamo una coscienza, che le parole sono massi, feriscono come e più delle pietre. La mia è una generazione che non ha vissuto il cyberbullismo, ma il bullismo. Io sono stata una ragazzina un po' in sovrappeso e mi ricordo che gli scherzi che mi facevano, finivano per farmi piangere. Vi era una differenza però, quella era una classe, non il mondo. Dobbiamo capire che adesso i ragazzini e le ragazzine che sono in rete si collegano e hanno chat enormi, di centinaia e centinaia di persone, che non conoscono l'oggetto dei loro insulti, ma la fanno o lo fanno egualmente a pezzi, perché il cyberbullismo colpisce maggiormente persone di sesso femminile, ma anche gli uomini. Meglio non esporre la propria intimità, ma qualora dovesse accadere non fatevi prendere troppo dalla paura, a questi errori si può rimediare.
D. - Come si combattono le forme di cyberbullismo agite nei confronti di persone con disabilità, che magari vengono riprese da altri e non sono loro a postare filmini o immagini?
R. - Ecco, ci troviamo ad affrontare anche questo tema terribile e non si può negare che, a volte, ragazzini e ragazzine ma anche giovani ed adulti si macchino di questa discriminazione raccapricciante. Quando nelle scuole vediamo che ci sono ragazzi che hanno il desiderio ed il bisogno di confidarsi, durante dei dibattiti e che si rendono conto che in passato hanno partecipato ad operazioni del genere e poi si sono pentiti, osserviamo molto di frequente che la cosa sconvolgente è che spesso costoro non sanno neanche perché l'abbiano fatto. Se gli si chiede: "scusa ma perché hai commesso azioni così terribili?", non di rado lo ignorano e dicono, talvolta, per noia e come spiegano poi gli psicologi, è il gruppo che ti porta a compiere delle nefandezze, per fare qualcosa, perché il diverso, che si tratti di un ragazzo o una ragazza gay, che si tratti di una persona che è su una carrozzina, o con altre disabilità, il diverso attira il gruppo e la cattiveria del gruppo. Io trovo che parlarne sia importante, nelle scuole, ovunque sia possibile farlo. Anche qui occorre ricordarsi di avere una coscienza, pensiamo al male che si sta facendo, spesso, soprattutto in rete, è come se mancasse il collegamento al fatto che le nostre parole fanno del male. Quando si agisce il linguaggio d'odio sulla rete sembra quasi che molti credano che scrivere quella data cosa sia una azione fine a sé, della quale poi non ci si occupa più, senza pensare, invece, che quelle parole, quegli insulti, o quei video, quelle fotografie feriranno molto. Occorre pensarci prima, lavorarci, non dimenticare di avere una coscienza. Questo processo che sembrerebbe chiaro a tutti in realtà non lo è.
D. - Nella parte finale dello scritto si fa cenno alla cosiddetta ecologia dei media...
R. - Mi auguro che diventi più pop questo tema. Ci siamo accorti insieme a Cesare Cantù che tutti prestiamo attenzione, diamo attenzione maggiormente all'ecologia negli ultimi tempi. Io abito in una grande città e mi preoccupo di ciò che respiro. Si diffonde sempre di più la cultura di un cibo sano, così ci rechiamo nei negozi biologici, scegliamo prodotti a chilometro zero, benissimo. Si pone attenzione anche ai rumori. Ho conosciuto una giovane coppia che mi ha detto: "non comperiamo il divano, ma abbiamo fatto installare dei pannelli insonorizzanti, poiché non vogliamo udire rumori", ottimo; però non vi è alcuna attenzione a quanto introitiamo a livello di immagini, queste immagini bruttissime, trash, offensive, che entrano nella nostra mente: quali conseguenze possono avere poi sulla nostra creatività, sulla nostra vita; è importante avvicinarsi ad una sorta di ecologia dei media, pensare che anche le immagini inquinano, come l'aria è inquinata da sostanze nocive, le immagini negative inquinano la nostra mente oltre ai nostri cuori. Se riusciamo a far passare questo concetto c'è da augurarsi che l'ecologia dei media si diffonda.
D. - Talvolta può essere anche buona cosa dar vita ad un regime dietetico anche per ciò che concerne i media?
R. - È giusto, si chiama dieta mediatica. Si chiama proprio così. Non vuol dire soltanto guardarne meno, che però è una raccomandazione da fare, ma scegliere con cura ciò che si vuole seguire, come un cibo di qualità. La dieta mediatica deve essere anche variata. Guardo Il grande Fratello vip, perché lo vedono tutti i miei amici, poi però mi dedico alla visione di un bel film, sfoglio un libro. Come dicevo, ciò ha un nome, dieta mediatica, così come prestiamo attenzione all'alimentazione, non mangiamo tutti i giorni la pasta, a pranzo e a cena, ma variamo con frutta, formaggi, un po' di verdura. Anche per i media possiamo seguire una dieta mediatica varia, è ciò che non ci stanchiamo di raccomandare.
D. - È possibile sconfiggere i modelli unici del femminile proposti-imposti dai media e come?
R. - Partiamo dal presupposto che quanto per le nostre generazioni è scontato, non lo è per chi è giovanissimo. Introdurre modelli alternativi a scuola, avvicinarli agli studenti e raccontarli è fondamentale. C'è un interesse enorme. Molto spesso, però, questi modelli alternativi i più giovani non li conoscono, proprio perché i media propongono sempre questo terrificante, unificante e omologante modello unico. Ben vengano delle nuove proposte, grazie alle quali si potrà far strada una bella e significativa alternativa, il fascino, parola quasi desueta. Il fascino non è la bellezza uniforme, ma è tutt'altro. Sappiamo di donne che hanno fatto strage di cuori tra gli uomini più ambiti, pur non essendo belle nell'accezione più tradizionale, ma costoro erano invece estremamente affascinanti.
Quindi, per il futuro, iniziamo a parlare più spesso di fascino, chiaramente sia per le donne che per gli uomini.



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