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Kaleîdos

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Numero 5 del 2021

Titolo: Donne coraggiose

Autore: Redazionale


Articolo:
«Mamma, se mi levi il pc mi uccido»
Storia di Bruna
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
«Maaaaaaa'. Ti prego aiutami», «Mammmaaa, ci sei?». Francesca urla dalla sua camera.
Corro da lei, è una fredda mattina di febbraio 2013.
La trovo per terra, è caduta appena scesa dal letto. «Mamma, non riesco più a camminare, le mie gambe non si muovono!».
La prendo in braccio come riesco, la aiuto a vestirsi e corriamo al pronto soccorso dove l'attende un check-up completo: elettroencefalogramma, prove cardiologiche e neurologiche.
Aspettiamo la diagnosi con ansia, non ho davvero idea di cosa possa esserle successo e nascondo a fatica i miei timori.
Ma il medico ci rassicura.
«Niente, signora, sua figlia non ha proprio niente» dice, dopo avermi letto i referti di ogni singolo esame. Evidentemente nemmeno la scienza ha tutte le risposte che ci aspettiamo. Un paio di giorni e Franci torna a camminare. È l'inizio di un tormento che durerà cinque anni. Oggi so di cosa si tratta: mia figlia è una ragazza «hikikomori».
Studiosa, ligia alle regole, semplicemente timida
Ho sempre fatto invidia alle altre mamme, la mia piccola non mi ha mai fatto saltare una notte, le coliche dei neonati le ho conosciute solo sui libri dell'infanzia. Bambina timida, introversa già all'asilo, osservatrice che non si espone, nella mischia non si è mai buttata.
«Bisogna trascinarla per farle fare un gioco» mi diceva la maestra. In effetti, non ho mai dovuto soccorrerla con un cerotto per un ginocchio sbucciato. Non ha mai portato a casa nemmeno una nota sul diario, un richiamo o un rimprovero dalle insegnanti delle elementari. Voti ottimi, la figlia modello che tutti i genitori sognano. Mi ripeteva, questo lo ricordo bene: «Mamma, i compagni in classe disturbano, fanno casino, non rispettano le regole, mi distraggono». Cose normali in ogni classe, ma che le davano tremendamente fastidio.
Di amiche ne aveva eccome: pomeriggi in compagnia a casa, feste di compleanno piene di colori e gioia. I segnali che qualcosa non andava, col senno di poi che serve a ben poco, c'erano stati e forse li abbiamo trascurati.
«Pretende troppo da se stessa. Ha uno smisurato senso del dovere e non ammette errori» mi dice a più riprese la prof d'italiano appena iniziata la prima media. Andare a scuola senza fare i compiti? Un disonore. I ragazzini che prendono il cellulare dallo zaino in classe? Inaudito. Franci non ha mai imparato la leggerezza.
«Non voglio più andare a scuola»
L'ansia cresce dentro di lei e si manifesta evidente in terza media, pochi giorni dopo la corsa al pronto soccorso per la paralisi alle gambe.
«Non riesco a respirare, ho il petto schiacciato» mi dice. Una mattina di marzo si butta per terra: sembra una crisi epilettica, mani e gambe vanno per i fatti loro, urla, si dimena. Quegli attimi di terrore non li dimenticherò mai, il mio cuore ancora si ferma. Nuova corsa in ospedale, nuovi esami neurologici, nuove visite, che ancora una volta non orientano verso una diagnosi.
«Signora, Francesca non è epilettica, non ha alcun problema fisico, è molto più probabile che sia una questione psicologica» mi spiega il medico.
Passa ancora qualche giorno. Sviene prima di andare a scuola.
«Mamma, non voglio più tornare in classe, la scuola mi mette ansia» ammette mia figlia. La assecondo, devo capire che cosa ha.
Inizia il calvario
Cinque anni d'isolamento, uno psicoterapeuta e due psichiatri in affiancamento, Francesca è sola nel suo mondo. Nessuno riesce a dirmi esattamente qual è il problema, cerco una definizione, un nome. Prende psicofarmaci per calmare le crisi di ogni genere. Non esce più da casa, è chiusa per intere giornate nella sua stanza. Studia, non mi accompagna a fare la spesa, non le interessano le interazioni reali, si autoconfina e preferisce le attività solitarie. Chatta, conosce online altri adolescenti, gioca con i videogame.
Il nostro rapporto rimane ottimo, trova conforto in ogni abbraccio, è dolce. Cerca il mio aiuto e quello del papà, sempre presente.
Sceglie di sostenere gli esami di terza media e li supera. Al primo anno del liceo, però, un nuovo tracollo. Ogni mattina, al momento di prepararsi per andare a scuola, scoppiano le crisi di panico, continue, interminabili.
Urla, piange, va fuori controllo, è disperata.
Uno spettacolo terribile, che nessuna mamma dovrebbe vedere, ti lascia inerme, ti riempie di domande su cosa hai sbagliato e perché.
Si ritira di nuovo da scuola, l'ansia da prestazione è troppo forte. Ma la situazione non migliora neppure stando a casa: sviene di continuo, ha episodi di cecità isterica.
Le ore al computer aumentano
«È tutto psicologico, si tratta di fobia scolastica e fobia sociale» mi spiegano gli esperti. Fa una breve esperienza al liceo linguistico e poi allo scientifico, va male e si isola ancora di più. L'unico riparo al malessere è la sua zona comfort, la sua camera. Ama l'inglese e lo studia, disegna, coltiva le sue passioni. E poi c'è il pc, i suoi amici virtuali con un nickname, passano insieme ore e ore, interi pomeriggi e nottate. Lì c'è uno schermo davanti, e l'ansia da competizione cala. So che chat utilizza, controllo sempre il pc, sono un'esperta di social media e conosco i pericoli della Rete. La sento ridere e scherzare, quando origlio alla sua porta. E nell'abisso questo mi dà un pizzico di consolazione. «Mamma, papà, se mi togliete il computer mi ammazzo, appena siete fuori, io mi uccido. È l'unica finestra che ho sul mondo» ci urla buttandosi per terra quando uno degli psichiatri che consultiamo ci consiglia la linea dura. Ogni giorno è più terribile del precedente: uno sviene, l'altro pensa di essere cieca, mi tratta male e mi riempie di parolacce, l'altro ancora non riesce a camminare. Non posso lasciarla sola un attimo.
L'associazione, la mia salvezza
Un giorno di quattro anni fa, nella disperazione più nera, navigo in Rete alla ricerca di un aiuto, un conforto, qualcosa che mi permetta di riavere Francesca.
Trovo l'Associazione Hikikomori Italia Onlus. Sul sito, leggo le storie di altri genitori, guardo i video di ragazzi che ci sono passati e, finalmente, ricostruisco il puzzle. Mia figlia appartiene alla stessa categoria di adolescenti profondi, introspettivi, dotati di una grande sensibilità e non certo malati; dipendenti da internet. Hanno uno sviluppo cognitivo normale, se non sopra la media, ma soffrono terribilmente.
Di fronte alle aspettative, per sfuggire alle problematiche scolastiche, o a volte per colpa dell'esclusione o derisione da parte dei coetanei, sviluppano reazioni ingovernabili di ansia e panico. Fanno una fatica enorme a instaurare relazioni sociali.
Hikikomori, che in giapponese significa «stare in disparte»: ecco la «diagnosi» di mia figlia, una ragazza che trasforma in sintomi fisici tutte le sue fragilità psicologiche.
Franci inizia a vedere la luce in fondo al tunnel nel novembre 2016, grazie all'associazione e all'aiuto di un nuovo psichiatra. Non torna a scuola, ma inizia un percorso di studi in inglese in un istituto internazionale: sogna di diventare indipendente. Esce, finalmente, con amici e amiche reali, chiacchiera con chi non conosce. Il percorso è lungo, ma la strada è in discesa. È arrivato persino l'amore, ma è andato via e non importa. È allegra, sa di aver perso l'adolescenza, ma è pronta a recuperare.
«Franci, oggi non ti trucchi?».
«No mamma, esco così. Valgo per come sono» è la risposta del sorriso alla vita.
Bruna Biagioni, 57 anni, vive con la figlia Francesca, 18 anni, a San Donato Milanese (Mz). Si occupa di pubbliche relazioni e ufficio stampa. È separata.



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