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Kaleîdos

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Numero 5 del 2021

Titolo: Perché dove c'è potere non ci sono donne

Autore: Monica Bogliardi e Letizia Magnani


Articolo:
(da «Grazia» n. 11 del 2021)
Uno degli obiettivi del governo è la parità di genere, ma Mario Draghi ha chiamato con sé solo otto ministre. Grazia ha chiesto a politici e ad autorevoli nomi della società come mai in Italia i posti che contano siano in mano a uomini che se li spartiscono tra di loro
Otto ministri donna su 23. Ancora pochi. Ed è vero che il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato: «Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite le parità di condizioni competitive tra generi». Però dal suo «governo del Paese» ci si aspettava di più sulla parità di genere. Le donne sono più della metà del Paese e il loro impegno in prima linea, anche nella pandemia, è determinante: nella sanità, a scuola, nelle professioni. Perché gli uomini non cedono spazi ai vertici della politica, dove su 20 regioni solo l'Umbria è a guida rosa, con Donatella Tesei, o nell'impresa, con appena 14 amministratrici delegate e 49 presidenti, oppure nell'università, con sei rettrici?
Nel Partito democratico, con tre ministri, tutti uomini, la questione è rovente. La presidente Valentina Cuppi ha incontrato Mario Draghi con Nicola Zingaretti. «Il segretario si è speso sul tema, ma hanno prevalso logiche di corrente. Il problema riguarda il partito. Dovrebbe essere il Pd a portare avanti la questione della parità». Invece le correnti interne sono in mani maschili. «Chi ha potere non è disposto a spartirlo senza opporre resistenza. Sono state necessarie lotte lunghe per arrivare all'affermazione di principio della parità tra uomini e donne. Queste dichiarazioni diventino prassi», dice Debora Serracchiani, già presidente del Friuli-Venezia Giulia. Le fa eco Lucia Bongarzone, a capo del dipartimento Pari Opportunità del Pd. «Lasciare spazio vuol dire cedere il passo e gli uomini non sono abituati. La nostra è una società di stereotipi da scardinare».
Il soffitto di cristallo politico è il più duro. «Perché è l'ambiente più vecchio», dice Cristian Romaniello, deputato M5s. «Con poco ricambio, in cui perfino i giovani invecchiano presto. Bisogna aspettare che i tempi maturino». Per lo scrittore Luca Bianchini è importante fare rete: «C'è la fratellanza, allora dico: inventate davvero la sorellanza. Basta lamentare il problema, agite per prendervi il mondo, che è vostro».
Aspettare avendo fiducia nelle donne. «Non credo alle quote rosa ma alla forza e alla determinazione delle donne. La Lega premia il merito, lo ha dimostrato con candidature femminili per Regioni importanti come Emilia-Romagna, Toscana, Umbria», dice il segretario della Lega, Matteo Salvini. «Abbiamo puntato su quelle giuste: si sono rivelate protagoniste nei loro territori e, nel caso dell'ex ministra Giulia Bongiorno, di leggi importanti come il codice rosso contro la violenza sulle donne. Infine: le donne giunte in posizioni di potere sono professioniste instancabili. Facciamo emergere i loro meriti invece che metterle in gabbie come le quote». C'è chi non aspetta, ma propone strategie. «La partecipazione delle donne alla vita politica del Paese è storia. Ora però è tempo di far entrare la parità di genere nel cuore delle istituzioni, a partire dai processi di nomina», dice la ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti. «Quando con Matteo Renzi è nata Italia Viva, abbiamo voluto che per statuto tutte le cariche di responsabilità fossero rette da una donna e un uomo. La scelta paritaria ha cambiato i meccanismi della selezione politica nei territori: ha obbligato ad attivare la ricerca di tante donne pronte ad assumere responsabilità ma per cui la politica aveva pensato a posti da gregarie. Una leadership femminile in politica è possibile quando c'è volontà chiara di dare alla politica una struttura radicalmente paritaria».
Volontà chiara significa criteri chiari. «Dove si emerge per titoli, meriti, concorsi, là si vedono aumentare le donne in posizione di vertice, in magistratura per esempio», dice Maurizia Iachino, presidente di Fuori Quota, associazione che promuove la leadership-femminile, e componente del Comitato Colao per la ripresa del Paese. «Invece in politica si procede a nomine, fatte da uomini che pescano in un bacino di uomini: amici, sodali, gente del proprio network. Bisogna operare sulla costituzione del bacino con criteri oggettivi: vi siano persone, uomini o donne, scelte per solida preparazione e grandissime competenze. Allora perché non creare scuole di politica, apartitiche, per formare politici dalle competenze inoppugnabili: istruzione universitaria, master, specializzazioni, esperienze all'estero, lingue? S'invertirebbe la tendenza: molte più donne concorrerebbero per ruoli apicali e per rappresentarci». Anche Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, parla di scuole. «Il futuro è donna: noi abbiamo puntato sulla scuola di politica al femminile «Prime donne»: servono più empowerment femminile, più donne in politica, più persone di qualità». E sì che a governare le donne sono brave. «Infatti, la rappresentanza rosa in 30 anni è cresciuta: oltre 9,3 milioni di italiani hanno una sindaca», dice Antonio Decaro, sindaco di Bari, presidente dell'Associazione nazionale Comuni italiani. «È una tendenza da rafforzare. La parità non può essere tema da usare a ogni tornata elettorale: va resa una pratica».
L'impresa si dà più da fare della politica, in quanto a pratiche. «Il cambiamento c'è, ma lento. Vanno trovate politiche per accelerarlo», dice Paola Mascaro, che nel 2021 presiederà il G20 Empower, un summit delle Pari opportunità per i Paesi del G20, ed è presidente di Valore D, associazione d'imprese per l'equilibrio di genere. «Molte aziende si stanno muovendo: dalle policy di inclusione, ai meccanismi per l'equilibrio di genere nelle assunzioni e promozioni, fino all'adozione di strumenti di misurazione. In politica? Forse ci vorrebbe una commissione parlamentare che elabori strumenti per agevolare l'accesso femminile nelle posizioni di governo. Lavorare sulle nuove generazioni. E stringere più alleanze con gli uomini che hanno capito che avere più donne al comando serve a tutta la società». E con più capi femmina s'innesca un circolo virtuoso. «Una donna ai vertici aziendali consente ad altre di rompere il «soffitto di cristallo». Da quando guido Invimit, si presentano ai colloqui per ruoli tecnici molte più donne ingegnere, architette, project manager», dice Giovanna Della Posta, ceo di Invimit, grande società pubblica controllata dal ministero dell'Economia: una delle pochissime italiane con quel ruolo. «Gli uomini non cedono spazi perché le donne che possono puntare «altissimo» sono meno di loro, visti i grossi sacrifici richiesti nell'equilibrio familiare, che ne determinano spesso l'uscita dal mercato. E poi le donne ambiscono al potere, ma come strumento per realizzare un futuro migliore per le prossime generazioni. Cedere potere alle donne significa renderlo sempre più un mezzo e non un fine. Il futuro, sempre più in mano ad aziende etiche, avrà sempre più leader donna». Concorda Michaela Biancofiore, deputata di Forza Italia: «Gli uomini sono più «primedonne» delle donne e non mollano perché per molti l'obiettivo è il potere stesso. Le amministratrici di Comuni o società dimostrano invece di essere capaci e di farlo per gli altri. È un cambio di prospettiva».
Bisogna modificare non solo le regole dell'accesso ai vertici ma anche un contesto culturale. «La promessa di Zingaretti di dare alle colleghe escluse dai ministeri posti di sottosegretario è la prova dell'approccio ancora risarcitorio alla questione», dice Ruben Razzante, docente di Diritto dell'Informazione all'università Cattolica di Milano: «Si riparta invece da un approccio culturale: manca la percezione di una parità effettiva». Per Tiziana Lippiello, rettrice dell'Università Ca' Foscari di Venezia: «Il problema è avere la reale opportunità di incidere sulle scelte. Più che di potere, occupiamoci di·governance. Segnalo una novità: le giovani non si pongono più pregiudizi o ruoli imposti dalla società, non si limitano, e infatti scelgono le facoltà scientifiche e si confrontano a viso aperto con i maschi e il mondo. Un bel cambio generazionale». Per Elena Centemero, del Consiglio superiore della Pubblica istruzione: «La questione della discriminazione è culturale e va portata a scuola, come stiamo facendo con reti di istituti che organizzano corsi». Infine, i valori: «L'ambizione maschile è vista come gloriosa, quella femminile pallida o con connotati negativi», dice la senatrice Emma Bonino. «Bisogna costruirle un significato positivo. Di sana determinazione, coraggio e fiducia nel futuro».
Monica Bogliardi e Letizia Magnani



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