Numero 04 del 2021
Titolo: Scienza- Ecolocalizzazione: come funziona il sonar della natura?
Autore: Liz Langley
Articolo:
(da «Nationalgeographic.it» del 16 febbraio 2021)
Dai beluga ai pipistrelli, molti animali emettono suoni che rimbalzano dagli oggetti che incontrano e li aiutano nell'orientamento e nella caccia
Il sonar di cui è dotata la natura, l'ecolocalizzazione, si verifica quando un animale emette un'onda sonora che, rimbalzando su un oggetto, provoca un'eco di ritorno che fornisce informazioni sulla distanza e le dimensioni di quell'oggetto. Più di un migliaio di specie utilizzano questo sistema percettivo, tra cui la maggior parte dei pipistrelli, tutti gli odontoceti e alcuni piccoli mammiferi. Molti di questi sono animali notturni, scavatori e abitanti degli oceani, e si affidano all'ecolocalizzazione per la ricerca del cibo in ambienti con luce molto scarsa o addirittura assente. Diversi sono i sistemi di cui si avvalgono gli animali per l'ecolocalizzazione: dalla vibrazione delle membrane della gola allo sbattimento delle ali.
I pipistrelli non sono spaventosi come si crede
I notturni guaciari e alcuni rondoni del gruppo dei collocalia, alcuni dei quali cacciano in ambienti cavernicoli bui, «emettono brevi suoni con la siringe, l'organo vocale proprio degli uccelli», spiega via e-mail Kate Allen, borsista post dottorato presso il Dipartimento di studi psicologici e del cervello dell'Università John Hopkins. Anche alcune persone possono ecolocalizzare schioccando la lingua, metodo utilizzato solo da pochi altri animali, tra cui i tenrecidi, animali del Madagascar simili al toporagno, e il ghiro nano della Cina, roditore endemico del Vietnam che di fatto è cieco.
Ecolocalizzazione nei pipistrelli
I pipistrelli sono i rappresentanti animali per eccellenza dell'ecolocalizzazione con il loro sonar «integrato» che gli consente di inseguire veloci prede durante la notte. La maggior parte dei pipistrelli, come il piccolo vespertilio di Daubenton, emette suoni a una frequenza più alta dello spettro percettivo dell'orecchio umano mediante la contrazione dei muscoli della laringe, l'equivalente insolito di un urlo, afferma Allen. I suoni emessi dai pipistrelli variano notevolmente tra le diverse specie, il che consente loro di distinguere i propri segnali tra quelli degli altri pipistrelli vicini. Emettono anche suoni specifici per un particolare ambiente o tipo di preda: il pipistrello europeo ad esempio «sussurra» in presenza di falene per non farsi scoprire. Alcune falene, tuttavia, hanno sviluppato una tecnica di difesa contro i pipistrelli e la loro ecolocalizzazione: la falena tigre flette un organo chiamato timpano presente su entrambi i lati del suo torace per emettere dei «clic», che mandano in tilt il sonar del pipistrello, salvandola dai predatori. Esperti ecolocalizzatori, alcuni pipistrelli possono individuare con precisione oggetti piccoli fino a 0,17 millimetri, circa lo spessore di un capello umano. E poiché gli insetti sono sempre in movimento, l'emissione di clic deve essere continua, fino ad arrivare anche a 190 richiami sonori al secondo. Nonostante le difficoltà, i pipistrelli riescono comunque a mangiare la metà del loro peso in insetti, ogni notte. I pipistrelli dal naso a foglia modulano le emissioni sonore per l'ecolocalizzazione attraverso la loro grande e sviluppata foglia nasale, che decodifica con precisione gli echi di ritorno. Alcune specie possono anche cambiare rapidamente la forma delle orecchie per captare meglio i segnali in arrivo. Una recente scoperta mostra che alcuni pipistrelli della frutta, come il pipistrello mattutino dell'Asia meridionale, emettono «clic» sonori perfino con il battito delle ali.
Onde sonore marine
L'ecolocalizzazione è un meccanismo percettivo adatto all'oceano, dove la velocità di propagazione del suono è cinque volte più veloce rispetto all'aria. I delfini e altri odontoceti, come il beluga, ecolocalizzano attraverso un organo specifico composto da un denso osso concavo e da una sacca aerea (dorsal bursae), situato nella parte superiore della testa, vicino allo sfiatatoio. In questa parte della testa è presente un deposito adiposo chiamato melone che riduce l'impedenza acustica, o resistenza alle onde sonore, tra il corpo del delfino e l'acqua, rendendo il suono più chiaro, afferma Wu-Jung Lee, oceanografo senior presso l'Applied Physics Laboratory (Laboratorio di fisica applicata, Ndt) dell'Università di Washington. Un ulteriore deposito adiposo, che si estende dalla mandibola inferiore fino all'orecchio del cetaceo, decodifica l'eco di ritorno dalla preda, identificandola ad esempio come un pesce o un calamaro. La focena, preda preferita delle orche, emette dei segnali di ecolocalizzazione ad alta frequenza estremamente veloci che i suoi predatori non riescono a udire e che le permettono di rimanere in incognito. Le emissioni sonore di ecolocalizzazione della maggior parte dei mammiferi marini hanno una frequenza troppo alta per essere udite dall'uomo, ad eccezione di capodogli, orche e alcune specie di delfini, aggiunge Lee.
Orientarsi con il suono
Oltre alla caccia e alla difesa personale, alcuni animali ricorrono all'ecolocalizzazione per orientarsi nel proprio habitat. Ad esempio, il serotino bruno, diffuso nel continente americano, utilizza il proprio sonar per farsi strada in ambienti rumorosi come le foreste in cui sono presenti molti altri suoni animali. Il delfino delle Amazzoni probabilmente usa l'ecolocalizzazione per muoversi tra i rami di alberi e altri ostacoli portati dalle piene stagionali, afferma Lee. La maggior parte degli esseri umani che ricorrono all'ecolocalizzazione sono ciechi o ipovedenti e usano questa capacità per riuscire a svolgere le proprie attività quotidiane. Emettono clic, con la lingua o con un oggetto, per esempio un bastone, e si orientano grazie agli echi di ritorno. Le scansioni del cervello di esseri umani che utilizzano questo sistema percettivo mostrano che la parte del cervello impiegata in questo processo è quella che generalmente elabora le informazioni visive. «Al cervello non piacciono gli spazi non sviluppati», afferma Allen, quindi «è troppo dispendioso in termini metabolici mantenere» l'ecolocalizzazione in persone che non ne hanno bisogno. Nonostante questo, l'essere umano è straordinariamente adattivo, e la ricerca mostra che, con pazienza, possiamo imparare a usare l'ecolocalizzazione.