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Kaleîdos

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Numero 3 del 2021

Titolo: Donne coraggiose

Autore: Redazionale


Articolo:
Li spingo a scuola uno a uno per salvarli dalla strada
Storia di Eugenia
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
Ogni mattina esco di casa alle sei, guido per circa un'ora e poi inizio a recuperare i ragazzi, a stanarli da ogni angolo e vicolo dove sono infrattati a confabulare o a chattare, e li mando a passi svelti oltre il cancello della scuola che apre alle sette e mezzo e chiude alle otto.
Li conosco tutti per nome. «Ué? Ué? Salvatò, che vogliamo fa?».
«Cettina, ci facciamo chiudere fuori? Forza, dentro!».
I ragazzi lo sanno, mi guardano con affetto, sorridono.
«Preside, tu si' tosta».
Sanno che li vado a cercare dappertutto: al bar, per strada, vado a citofonare a casa perché li voglio vedere in classe, nei laboratori tecnologici, in cucina a cuocere torte e in aula a progettare impianti con pannelli fotovoltaici.
Mi chiamano «la preside di ferro» e mi va bene, perché quello che amo sopra ogni cosa e che insegno è la legalità. La legalità non va d'accordo con l'abbandono e il degrado che ho trovato in questa scuola il 2 settembre 2013, quando ho preso le redini dell'Istituto superiore Francesco Morano.
Siamo a nord di Napoli, a Caivano, il rione che è diventato la nuova Scampia, un centro di spaccio, dove si respira disagio, dove i bambini a 11 anni spesso sono già adulti tristi e protagonisti di azioni inverosimili.
In questo quartiere il tasso di dispersione scolastica è tra i più alti d'Italia: qui nel 2014 è morta la piccola Fortuna Loffredo, buttata dall'ottavo piano di una casa popolare perché si ribellava all'ennesima aggressione.
Qui Rai3 ha girato tra i miei ragazzi una puntata dei «Dieci Comandamenti», che Domenico Iannacone ha intitolato «Come figli miei». A fine ottobre, quando l'hanno vista i miei due figli, oggi trentenni, hanno capito perché, quando erano più piccoli, non pranzavo mai con loro. Adesso hanno di sicuro perdonato le mie assenze e compreso il motivo per cui ogni sera, quando tornavo a casa, mai prima delle otto, ripetevo: «Voi siete fortunati, avete una famiglia, una casa».
Dare una speranza ai ragazzi
Ho iniziato a lavorare nelle scuole di Parco Verde a 46 anni e da allora lotto per dare una speranza a ragazzi che senza istruzione non avrebbero niente.
Prima del Morano, nel 2007, dirigevo, sempre qui a Parco Verde, la scuola elementare e media Papa Giovanni-Raffaele Viviani: ho dedicato un tempo infinito per lottare contro la dispersione scolastica che raggiungeva il 50 per cento. Se i bambini non si presentavano, andavo a cercare le mamme, le ascoltavo, cercavo di capire quali fossero i problemi. Ho ripulito e rimesso in funzione gli edifici che in parte non erano agibili a causa d'incuria, ho avviato la mensa, il teatro, i laboratori. Ho istituito il tempo pieno per la primaria e il tempo prolungato per le medie. Quell'istituto era diventato un centro di eccellenza.
Quando tutto era perfettamente funzionante, quando le mamme e i bambini erano tutti felici, quando stava decollando anche il laboratorio dei mestieri, cordate silenziose hanno soppresso l'autonomia giuridica della Viviani. Ho fatto di tutto per difenderla, ma ho solo potuto assistere al suo smembramento. Ne hanno dato un pezzo a un dirigente, uno all'altro, i bambini dispersi un po' qua e un po' là.
L'hanno chiamato «ridimensionamento» ma si può tradurre con «non dovevi rompere gli equilibri».
Ritrovo i miei ex allievi alle superiori
Alcuni alunni, cresciuti, me li sono ritrovati nel 2013 qui al Morano, istituto tecnico con quattro indirizzi: sono loro ad avermi dato la forza per andare avanti. Al mio arrivo ero stanca, delusa e ferita a morte per la conclusione della vicenda della Viviani, ma sfogliando i registri e leggendo i nomi di tanti ragazzi che conoscevo, ho pensato: posso continuare a crescerli, e forse un giorno li vedrò laureati e potrò affidare la scuola a loro.
Il Morano all'epoca era in condizioni peggiori di come avevo trovato la Viviani. Il primo giorno del mio nuovo incarico mio marito mi ha accompagnato, e quando ha visto la sede mi ha detto: «Ma che cosa hai fatto per meritarti questo?». Il degrado era inverosimile: le radici degli alberi, che non venivano potati da diciassette anni, avevano spaccato muri, tubature e fondazioni.
I laboratori erano fatiscenti, i fascicoli erano ammucchiati in bagno, c'erano due bar abusivi e la famiglia del custode aveva preso possesso di parte dell'edificio, dove aveva anche aperto una tintoria. Infine le gabbie dei cani da combattimento ostruivano il passaggio di una via di evacuazione. C'erano trenta aule vuote: gli iscritti erano 719, e di questi solo 327 venivano a far lezione e nemmeno sempre. Entravano quando pareva a loro, in un clima di totale anarchia che coinvolgeva anche i professori.
L'alberghiero nasce con l'aiuto di tutti
Quando mi sono insediata, non esisteva nemmeno l'istituto alberghiero perché non aveva una sede. O meglio, c'era un complesso inutilizzato che però non doveva essere riabilitato. Piano piano, invece, l'abbiamo rimesso in sesto con l'aiuto dei ragazzi, dei professori e di generosi artigiani. Per i soldi, visto che nessuno rispondeva alle mie richieste, mi sono arrangiata. Grazie alla solidarietà di molte persone, oggi il Morano ha anche un alberghiero a quattro stelle con venti classi, mentre il tecnico ne ha ventisei ed è sempre più bello e più frequentato. In totale l'istituto ha 910 alunni iscritti: il tasso di dispersione scolastica dal 41 per cento è sceso al 23.
Quando ti prendi cura di ragazzi nati e cresciuti dove il malaffare detta la legge, devi seguirli fino a quando sono in grado di fare delle scelte, perché se li lasci a metà la malavita se li divora. Il valore è nell'esserci, pazienza essere impopolare. Non sono Giovanna d'Arco, ma nel mio piccolo mi impegno per cambiare le cose e nessuno mi può venire a dire: «Preside, tu sapevi e non hai fatto niente per me».
Questi ragazzi mi hanno cambiata, io non sono più io, non sono più Eugenia, sono una a cui il tempo non basta più e che ogni tanto si sente scoppiare. Vorrei stare dietro a ogni ragazzo, a ogni mamma, ma come posso farcela? Però lo so: se semino qualcosa e anche solo a un ragazzo resta dentro una cellula positiva, non avrò ripulito il quartiere, ma avrò contribuito a scrivere una storia meno negativa. E magari qualcuno dei ragazzi che oggi spingo in classe domani sarà chef, professore, o preside. Questo è il mio sogno.
Eugenia Carfora, 60 anni; vive a Napoli con il marito. Ha due figli ed è preside dell'Istituto superiore Francesco Morano, a Caivano (Na).



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