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Kaleîdos

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Numero 3 del 2021

Titolo: Quando mi sentivo grassa e inadeguata

Autore: Isabella Fava


Articolo:
(da «Donna Moderna» n. 7 del 2021)
Teresa Ciabatti lo ammette con sincerità disarmante: da adolescente non si considerava mai «all'altezza». Ma proprio quel sentimento di vergogna l'ha portata a scrivere, a crescere, a diventare consapevole di sé. E adesso, a 47 anni, è «serenamente vecchia»
«I fatti e le persone di questa storia sono reali. Fasulla è l'età di mia figlia, il luogo di residenza, altro». I «titoli di testa» di «Sembrava bellezza» (Mondadori), l'ultimo romanzo di Teresa Ciabatti, sono una dichiarazione: benvenuti nel mio mondo, dove realtà e finzione sono tutt'uno. Del resto, ci aveva già abituati al suo modo così intimo di narrare. Con «La più amata», uscito nel 2017 e arrivato secondo al Premio Strega, aveva raccontato del padre primario d'ospedale a Orbetello, la città natale di Teresa, e la protagonista, fin dalle prime righe, era la stessa autrice, con tanto di nome e cognome. In questo nuovo libro la voce narrante è una scrittrice che - siamo alle prime pagine - partecipa a un talk show in una televisione locale. Dicembre 2018. «Dalla tv ho scoperto di essere diventata bella. Non lo sono mai stata, come il romanzo a cui devo la fama racconta indugiando sull'impatto con la realtà di una mente alterata che si sente splendida, amatissima - me stessa adolescente, me stessa bambina» scrive. Ancora una volta i mondi si confondono, confluiscono, si influenzano. In un libro che cambia spesso direzione, torna all'adolescenza e racconta la storia di un'amicizia con Federica, che compare anche nella dedica finale con tanto di date (ma sarà una persona vera?), e la sorella Livia, bellissima, che rimane vittima di un incidente. «Per me è molto importante, soprattutto dopo «La più amata», mischiare realtà e finzione. È un po' quello che fanno tutti gli scrittori. Ma io voglio essere spudorata, dichiarare».
D. L'impressione è che tu abbia deciso di far diventare la tua vita narrazione.
R. Tieni presente che qui la finzione è molto alta: c'è una figlia 20enne, la mia ne ha 11, c'è una coppia separata... La storia di Livia, la sorella, l'amica, è una storia di fantasia. Ma in 2 elementi ci sono tantissimo: la vecchiaia è la mia e il corpo è il mio. Che non sono proprio cose piccole, anzi sono il motore di tutto il libro.
D. Vecchiaia? A 47 anni?
R. Il romanzo parla del trascorrere del tempo. E la vecchiaia non è legata a un'età biologica: a un certo punto ti piomba addosso. A me è successo 4 anni fa, senza un motivo preciso. Sono passata da uno stato adolescenziale, che è quello di «La più amata», alla vecchiaia. Senza una via di mezzo. A 44 anni pensavo: ora dimagrisco, divento bellissima, mi compro una villa con piscina. Mi sembrava che ci fosse il tempo per realizzare tutto.
D. E ora?
R. Il sogno e la progettualità a un certo punto sono spariti. Invece delle case con piscina guardo le case su un piano. Sono più serena. Tutto è diventato meno impellente, senza quell'urgenza della bellezza e della giovinezza. Comunque il mio stile di vita è sempre stato da persona anziana: vado a dormire presto, non esco la sera... La vecchiaia è uno stato d'animo, è come ci sentiamo, come ci vediamo.
D. «Sembrava bellezza», il titolo, cosa significa?
R. Si riferisce a Livia, ideale di bellezza e giovinezza che, a un certo punto, subisce un danno cerebrale. Rimane ferma ai suoi 17 anni, anche se cristallizzata in un corpo da 50enne, e allora continua a muoversi come la più bella della scuola anche se quel mondo lì non c'è più. Livia ha perso la memoria breve, vive con più spensieratezza, senza dolore. Mi piaceva l'idea di trattare la bellezza come se fosse un'anomalia mentale. Un mezzo per mantenerla, meglio della chirurgia plastica.
D. Affronti tanti temi: il corpo, la maturità, l'amicizia, il successo, la maternità...
R. Mi sono fatta molte domande nel momento in cui mi sono resa conto di essere una donna sulla via della menopausa con una figlia che si avvia verso lo sviluppo. È una contrapposizione molto forte. Poi il corpo è una mia ossessione. L'ho sempre sentito come un ingombro. Da adolescente sono stata grassa, mai protagonista di niente, defilata. Arrivavo ai Parioli a Roma dal paese. Mi sono sempre sentita inadeguata e mai all'altezza, dal punto di vista fisico e sociale. Ho lottato contro la vergogna. Però questo mi ha portato a scrivere. E qui vengo a un punto che mi sta molto a cuore...
D. Sarebbe?
R. Questa enfasi sull'amarsi per come si è secondo me è rischiosa. Penso che sia giusto avere un rapporto di amore-odio anche col proprio corpo. Porta a un essere umano migliore, più introspettivo, a farsi delle domande. Anche la vergogna è un sentimento che ti porta a crescere, ragionare. Io mi auguro per mia figlia che possa avere tutto, il positivo e il negativo delle cose, così che possa diventare una persona consapevole.
D. La scrittura cos'è per te?
R. Un'alternativa alle vite che non puoi avere. Se nella vita reale non mi metto in costume da oltre 20 anni, nei romanzi mi tuffo 300 volte in piscina. La mia vita è per 1'80% immaginazione perché io ho una routine molto noiosa. Anche gli amori che ho «vissuto» da adolescente erano così. Nel libro li ho esasperati.
D. Lo stile è comunque particolare.
R. Credo sia lo stile che rappresenta la contemporaneità con i suoi mille stimoli. Una pluralità di voci in un'unica voce, dove non ha più importanza chi è che dice le cose. Ma non pensare che non ci sia un gran lavoro: io scrivo e riscrivo, dalle 7 di mattina fino alle 6 di sera. Butto via tanto, centinaia di pagine. Ogni frase, ogni parola, ogni scelta stilistica è soppesata. Per ogni romanzo ci metto 4 anni.
D. E alla fine sei sicura che è quello che volevi?
R. No. E infatti capita che l'editor me lo strappi dalle mani. Pensa che quando ho consegnato questo romanzo ero alla versione 42.
Isabella Fava



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