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Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

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Numero 1 del 2021

Titolo: STORIE DI VITA- Risalire dalla depressione

Autore: a cura di Daniela Bucci e Stefano Borgato


Articolo:
Una giovane donna con disabilità visiva e la sua storia fatta di solitudine, disagio e violenze psicologiche, fino all'orlo del baratro, per poi risalire e ricominciare a vivere pienamente
Mi chiamo Vanna, ho solo vent'anni, ma ho già una lunga storia dietro le spalle, fatta di solitudine, disagio e violenze psicologiche in famiglia. Solo staccandomi dai miei genitori ho potuto iniziare una nuova vita, arrivando addirittura io, persona con disabilità, ad aiutare altre persone con disabilità.
Soffro di una rara malattia oculare che per il momento mi ha reso ipovedente, ma che purtroppo è destinata a peggiorare progressivamente. È un problema che mi accompagna da sempre, tanto che oggi non lo vivo neanche più come un problema. Per quanto possibile, infatti, ho imparato a gestirlo, pur sapendo che di giorno in giorno la mia vista sta perdendo colpi e che tra un po' sarò costretta ancora una volta a cambiare percorso.
Padre, madre e un fratello molto più piccolo: questa è stata la mia famiglia, però io sono cresciuta praticamente da sola, mio padre non c'è mai stato, ha sempre avuto altre cose per la testa e posso dire di non avere, in tutta la mia vita, un solo ricordo positivo di lui.
Tossicodipendente, spacciatore, alcolista, violento verso mia madre, che per troppi anni è stata incapace di ribellarsi alla situazione.
Ero una bimba di appena 6 anni, quando ho iniziato a dirle che dovevamo andarcene di casa. E per tanto tempo ho continuato a farle pressione, ma è riuscita a compiere questo grande passo in avanti solo quest'anno, quando sono arrivata al punto di minacciarla: "Io non voglio far crescere mio fratello come sono cresciuta io - le ho detto - quindi o chiamo gli assistenti sociali e tu non lo vedi più, oppure fai qualcosa e ti tieni tuo figlio!". Così, dopo altri lunghi mesi di riflessioni, si è rivolta ad un'associazione contro la violenza di genere che ci ha supportate. Lei adesso è in una struttura protetta del territorio insieme a mio fratello, mentre io sono stata trasferita, su mia richiesta, in una struttura di un'altra città. Frequento mia madre solo per il piccolo, ma non più per avere un rapporto con lei, avrebbe dovuto dedicarmi più attenzione quando era il momento.
Per tanto tempo, da bambina, ho cercato di intervenire nel rapporto tra i miei genitori, fino a quando ho capito che non ero io la persona adulta che doveva gestire i litigi continui e le scenate violente: in fondo ero solo una ragazzina. E, nonostante vivessimo in quella situazione insostenibile, mia madre è rimasta incinta di mio fratello, non sapendo neanche come fare a mantenerlo. A quel punto non ho avuto più niente da dirle. Mi sono sempre più isolata, anche fisicamente, cercando di stare per conto mio in una parte della casa dove non facevo entrare nessuno, tranne mio fratello, per proteggerlo dai nostri genitori.
Non ho certo preso da loro questo carattere forte, a volte pessimo, che mi ritrovo. Probabilmente l'ho preso da mio nonno, il mio unico punto di riferimento fin quando è stato in vita. Lui sapeva gestire i comportamenti di mio padre, e la situazione per me diventava più sopportabile, ma purtroppo è mancato quando avevo dodici anni, e lì è iniziato il periodo peggiore della mia vita.
La mia storia è condizionata dalla famiglia che mi è capitata, e che purtroppo non si sceglie. Ho vissuto tre anni di depressione profonda, una depressione clinica diagnosticata da uno specialista, e per tutto quel periodo mi sono rinchiusa in camera mia. Non volevo fare nulla, non volevo andare a scuola, il solo motivo che mi spingeva ad uscire di casa era per andare a cavallo due volte alla settimana. Ho anche tentato il suicidio due volte, senza riuscirci, fortunatamente.
So che non si può aiutare una persona che non vuole essere aiutata, ma in quei momenti i miei genitori non ci hanno nemmeno mai provato seriamente e, se l'hanno fatto, hanno scelto ogni volta il modo più sbagliato.
Si lamentavano, anche urlandomi addosso, che dovevo uscire di casa, che non potevo rinchiudermi sempre di più, ma io rifiutavo ogni contatto con loro, non volevo vivere, volevo solo che la vita mi scorresse davanti. E forse una madre e un padre che si sentono dire una cosa del genere da una ragazzina dovrebbero rivalutare il loro operato, ma non è stato così. Al contrario, anziché spronarmi, quelle rare volte in cui provavo a riprendermi, mi ributtavano a terra ancora di più.
Mia madre magari lo faceva involontariamente, a mio padre invece riusciva con tranquillità. Se pensavo ad esempio di intraprendere qualche nuova iniziativa, di introdurre una mezza novità nella mia vita, mi diceva: "Tanto non ci riuscirai, perché non ci vedi". E invece io alla fine ce l'ho fatta, nonostante tutto e tutti, e oggi sono fiera di me stessa.
A 16 anni, dopo tanti anni di pratica alle spalle, sono riuscita a riprendermi la mia vita. Oggi esco tutti i giorni, faccio tremila attività diverse, sono piena di amici, ho un fidanzato. Certo, sono sempre piena di problemi, però per fortuna la depressione non fa più parte di questi. Ammetto che c'è il giorno di sconforto in cui ancora sto male, ma sto male come chiunque altro, né più né meno, ho un momento no e poi mi riprendo.
Ho anche un lavoro: sono educatrice cinofila. Ho iniziato il corso di formazione a 16 anni, ed è stato molto complicato perché ho dovuto conciliare questo impegno con la scuola. Ho superato tutto con successo, ma anche lì ho dovuto combattere con i miei genitori. Ogni volta che dovevano accompagnarmi nella cittadina dove si teneva il corso scoppiavano urla, strilli, litigi. Poi non volevano pagarmelo, ma io ero piccola e non ero autonoma economicamente. E non mancavano neanche le pressioni psicologiche di mio padre che sottolineava: "Che lo fai a fare? È solo una perdita di tempo". E invece ce l'ho fatta e ora ho un'occupazione.
Questo è il lavoro che ho sempre voluto fare nella vita: consiste nel creare una specie di ponte di comunicazione tra il proprietario e il cane, senza mai usare alcun metodo coercitivo. Io sono molto legata ai cani con cui lavoro, li tratto come figli, sono la mia vita.
So bene, però, che un giorno non potrò più fare l'educatrice cinofila, quando la vista mi abbandonerà completamente. Mi dà forza avere conosciuto tante persone cieche che hanno una vita fantastica, che fanno cose inimmaginabili. Quindi sto già iniziando a prepararmi mentalmente a quando non ci vedrò più e in futuro vorrei laurearmi per garantirmi un'altra strada possibile. Nel frattempo continuo a dare il meglio di me stessa con i miei cani, vivendo anche esperienze intense con persone straordinarie, come i percorsi riabilitativi pensati per bambini e ragazzi con sindrome di Asperger.
Insomma, fin qui per me è stata tosta e per tanti motivi, ma adesso sono molto fiera di quello che faccio nella vita.



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