Numero 2 del 2021
Titolo: Donne tra le righe
Autore: a cura di Rossella Lazzari
Articolo:
Mia inquieta Vanessa di Kate Elizabeth Russell. Di abusi, vittime e facili giudizi
Ci sono storie difficili da raccontare, sia per il portato emozionale intrinseco, difficilissimo da ignorare e per chi racconta e per chi recepisce, sia perché nella narrazione non si può mai essere realmente obiettivi e - volente o nolente - poco o molto del nostro modo di pensare filtra e traspare nel racconto. Possono, in quest'impresa quanto mai ardua, aiutarci i libri.
Ci sono libri che se ne stanno lì, mimetizzati buoni buoni fra i troppi titoli in attesa, fanno gli indifferenti però li senti che ti chiamano, ti occhieggiano quando scorri la lista, fino al giorno che, ignara e inconsapevole, ci clicchi sopra, cominci a leggere... e intanto che arrivi alla fine scopri che ti hanno stesa, fregata, sconquassata, rivoltata, bruciata, marchiata, capita. Sono i pochi, pochissimi libri che parlano di te, della tua vita, della tua storia, di quelle parti intime della tua mente che non riveli a nessuno, delle tue domande segrete e dei dubbi amletici con cui ti addormenti la notte, di quella parte di te che ritieni più vera e autentica e che celi per paura che occhi troppo giudicanti e superficiali la insozzino, la danneggino finendo per spezzare irreparabilmente anche te. Mia inquieta Vanessa, romanzo d'esordio dell'americana Kate Elizabeth Russell uscito per Mondadori lo scorso agosto, parla proprio di quella parte di vita di una ragazza, Vanessa appunto, che a trentadue anni si ritrova sull'orlo di un precipizio che potrebbe sconvolgerle la vita. È il 2017 e l'America è scossa dal movimento #MeToo e dall'ondata di accuse a uomini potenti per violenze su donne risalenti anche a molti anni prima. Una ex studentessa del suo liceo, la Browich, ha denunciato i presunti abusi ad opera del suo professore di letteratura, Strane e contatta Vanessa perché si unisca anche lei al coro, porti anche lei la sua testimonianza decisiva. Ma Vanessa non vuole saperne: lei non ha subito abusi, lei non si sente una vittima di Strane quindi non lo è, la sua relazione con Strane era amore, forse ossessivo, malato, travagliato, ma pur sempre amore... gliel'ha detto lui che l'amava. Vanessa e Strane, ventisette anni di differenza di età, sono ancora in contatto, nonostante siano passati diciassette anni dall'inizio della loro relazione. Sì, avete fatto bene i conti: quando tutto cominciò Vanessa di anni ne aveva 15, era una ragazza carina, intelligente, amante della poesia, ma era anche una ragazza problematica, senza amici, disordinata, inesperta e quindi fragile. Quando Strane posa gli occhi su di lei, comincia a farle complimenti sempre meno innocenti, dentro la mente e soprattutto nel corpo di Vanessa si innesca una bomba, la bomba della scoperta della sensualità, del potere, della capacità di suscitare desiderio, persino amore in un'altra persona, in un uomo, un uomo adulto, non un ragazzetto, non un insulso coetaneo. I rischi ci sono, ma Vanessa si convince che per Strane siano più gravi, perciò quando la storia viene a galla fa di tutto per proteggerlo e il conto lo paga tutto lei. E sarà sempre così, in un'ossessione dalla quale non si può uscire: sarà sempre lei a giustificarlo, ad adattare la realtà al suo modo di vederla, a vivere nel bisogno di lui. E forse a qualcuno a prima vista sembrerà inaccettabile o aberrante, ma anche Strane, dal canto suo, è vittima delle sue pulsioni, della debolezza, dell'incapacità di controllarsi...
E allora dove sta il limite della colpa? Quanto realistici possono mai essere, in una situazione come questa, concetti astratti come consenso, consapevolezza, circonvenzione, aggressione, abuso, violenza, vittima?
Che cos'è l'abuso se non ciò che - grave o non grave, casto o immorale che sia - noi percepiamo come tale?
Per quanto sia oggettivamente immorale e deviata una certa condotta, si può definire «vittima» una persona che non sente di esserlo? E i colpevoli vanno sempre, moralmente, condannati senza attenuanti?
Verrebbe quasi naturale dare risposte a queste domande, ma se si va appena un po' oltre il moralismo e il giudizio superficiale, si scoprirà che rispondere non è poi così facile.
E come si fa, di fronte a tanta soggettività, a punire, sanzionare, etichettare, giudicare? Quanto vuote e labili si rivelano le definizioni giuridiche di fronte alla potenza di un sentimento, alla soggettività del dolore e dell'amore? Questo libro, che io ho trovato meraviglioso per la sua forza e il suo realismo, ci pone tutte queste domande e molte altre. Interrogativi che non possono trovare risposta, o quantomeno non ne troveranno una univoca. Questo romanzo ci esorta a non giudicare, ma a cercare di capire. È facile condannare una condotta considerata moralmente sbagliata, possiamo farlo tutti quasi con leggerezza, ma prima di farlo dovremmo cercare di fermarci ed ascoltare entrambe le parti, cercare di guardare il tutto con gli occhi di chi quell'esperienza l'ha vissuta e solo dopo, magari, provare ad aiutare. Un romanzo scritto con un tale realismo che sembra quasi che l'autrice abbia vissuto ciò che racconta. Tuttavia nella prefazione la Russell chiarisce che questa storia non ha nulla di autobiografico... e perché non dovremmo crederle?
D'altronde questa storia va oltre il #Metoo e le strumentalizzazioni del momento, dato che l'autrice ci ha lavorato per ben diciassette anni. Nota a margine ma non meno interessante, un altro pregio del libro sono le tante citazioni letterarie di cui è infarcito, tutte contestualizzate e chiarite, che servono a chiarire ed impreziosire il racconto. Insomma, un libro consigliato solo a chi pensa di poterlo reggere... però un libro stupendo.
a cura di Rossella Lazzari