Numero 2 del 2021
Titolo: Donne coraggiose
Autore: Redazionale
Articolo:
La mia malattia è crudele ma non intacca i miei sogni
Storia di Rachele
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gavino - Cairo Editore)
Sono le otto e mezzo, dalla finestra della cucina vedo i miei compagni entrare a scuola. Come ogni mattina, raggiungerò la classe dopo le terapie. Va così per tutte le elementari, le medie, il liceo. Va così anche oggi che sono pilota di rally: prima le terapie, poi le gare.
Da quando sono nata, passo le prime due ore della giornata a curarmi con l'immancabile aerosol che ripeterò anche la sera, antibiotici per proteggermi dai batteri, un biberon da 2 mila calorie ricco di sali contro la disidratazione e la difficoltà di assimilazione. Ho fatto i conti: in venticinque anni ho trascorso più di 36.500 ore a seguire terapie per potermi avvicinare alla salute di una persona normale. Ho la fibrosi cistica, la malattia genetica grave più diffusa al mondo. Alla mia nascita era pressoché sconosciuta, ma nemmeno oggi esiste una cura definitiva. Vi basti sapere che quando avevo un mese i medici dissero ai miei genitori che non avrei raggiunto l'età adulta.
Voglio essere come gli altri bambini
A 10 anni, passati tra frequenti day hospital nel terrore di un peggioramento, i medici hanno finalmente identificato la seconda mutazione genetica (che è poi stata classificata di quarta classe) e per alcuni aspetti ciò ha mitigato la mia situazione clinica.
«Siamo fortunati» si sono detti all'epoca mamma e papà, vedendo altri bambini in condizioni più gravi. Gli orari delle terapie sono gli stessi ogni giorno e non si può sgarrare, ma la voglia di saltare, correre e giocare è tanta.
Io mi sono sempre sentita una bambina normale, almeno ho voluto pensarmi così. Certo, i limiti c'erano e ci sono, ma ho imparato che ci si deve adattare e cercare di conviverci al meglio. Merito anche dei miei genitori: quell'angelo custode di mia mamma che da sempre mi sostiene e mi incoraggia perché non mi lasci andare («Rachele, impara a gestirti, basta un attimo per fare peggiorare le tue condizioni»), e poi mio papà Luca, lo stesso argento vivo che ho addosso io. Pilota di rally, è da lui che ho ereditato la passione per le auto da corsa.
Vi spiego la mia malattia
La fibrosi cistica colpisce polmoni, fegato e pancreas, ma gravità e tipo di sintomi possono variare anche molto da persona a persona. La fisioterapia respiratoria, invece, accomuna tutti noi malati e non si può sfuggire, altrimenti i nostri polmoni si riempirebbero di secrezioni disidratate (poiché prive di sali) che ostruiscono le vie respiratorie e intasano altri organi. I batteri sono i nostri nemici, un nuovo microrganismo può indebolire il corpo tanto da fare precipitare la situazione. L'ho sperimentato con un germe molto aggressivo che va continuamente monitorato.
Chiarezza, prima di tutto
«Quanto vivrò, mamma?».
Avevo 6 anni quando le ho fatto per la prima volta questa domanda. L'aspettativa di vita per noi malati ora è intorno ai 40 anni. Sono cresciuta nella verità e questo mi ha reso più forte. Non posso fare errori, ho imparato a essere sempre presente a me stessa e a non avere paura.
Anche se i condizionamenti sono tanti.
Per esempio, quand'ero adolescente non sono mai potuta andare a ballare in discoteca: troppa gente così vicina vuol dire un alto rischio di contrarre batteri. «Se non puoi andare in discoteca, andiamo a sciare» mi dicevano mamma e papà.
Oppure a camminare in montagna. Noi malati di fibrosi cistica non possiamo fare a meno dello sport perché pulisce i nostri polmoni. Chi non fa sport sta peggio, ecco perché dopo la maturità ho frequentato per poco l'università: mi sarebbe restato tempo insufficiente per l'attività fisica, che per me è indispensabile. Per fortuna, da sempre amo il movimento. Viaggiare. E guidare. Quante volte ho ammirato mio papà che sfrecciava in pista. Che sogno potermi mettere al volante anch'io!
Sarà che ho guidato il mio primo quad a 5 anni e che ho ricevuto in dono più macchinine che bambole, ma il rombo dei motori per me è assolutamente familiare. E quando ho confidato il mio desiderio a mio padre, lui mi ha dato fiducia.
Trionfi e traguardi
A 18 anni ho preso la patente in tempi record e poco dopo la licenza sportiva. La mia prima gara nel 2014: è stato bellissimo, dovevo fare coppia con mio papà, poi lui mi ha lasciato il suo posto. Due anni dopo trionfavo in pista, toccando i più importanti circuiti italiani e nel 2017 mi sono laureata Campionessa Italiana Velocità Montagna.
Tra i rally, il più importante è stato quello di Montecarlo.
Oggi viaggio per provare prototipi di automobili, seguo i test di preparazione, scrivo per un giornale specializzato e lavoro come istruttrice di guida sicura. Ma per potere fare tutto questo devo allenarmi in palestra almeno due ore al giorno.
La mia navigatrice e la mia famiglia mi danno la carica e mi seguono sempre anche in gara. Salute e terapia, però, vengono prima di tutto e mi trasmettono forza ed equilibrio interiore per continuare.
Non ho paura della strada, come non ho paura della vita, cerco di essere qui e ora e di trasformare l'ansia in energia.
Il mio impegno per la ricerca
Nel 2016 do vita all'iniziativa #CorrerePerUnRespiro con il desiderio di aiutare me stessa e gli altri. Donna tra tanti uomini (noi pilote siamo solo il 2 per cento!) e malata, sono molto esposta ai media, così metto la mia immagine a disposizione della ricerca: voglio far conoscere la malattia. Nel nostro Paese una persona su venticinque è portatrice sana del gene mutato e spesso non sa di esserlo, perché non ha sintomi, ma una coppia composta da due portatori sani ha una probabilità su quattro di generare un figlio malato. Prevenzione e ricerca sono fondamentali, i test genetici per individuare la patologia dovrebbero essere gratuiti. Con il mio progetto #CorrerePerUnRespiro raccolgo anche fondi per la Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica (Ffc) di cui sono volontaria e testimonial. Nel 2021 è prevista la sperimentazione su un gruppo di malati di un composto promettente (lo ha brevettato la Ffc nell'ambito del progetto Task Force for Cystic Fibrosis): mancano ancora fondi e tempo per arrivare alla cura risolutiva, ma tutti insieme possiamo fare la differenza. Io ci credo e ogni mattina cerco quella luce che vinca l'oscurità del tunnel e m'illumini la strada.
Rachele Somaschini, 26 anni, vive a Cusano Milanino (Mi) con i genitori.