Numero 2 del 2021
Titolo: Se torna il delirio di gelosia
Autore: Monica Bogliardi
Articolo:
(da «Grazia» gennaio 2021)
I giudici di Brescia hanno assolto un uomo che ha ucciso la moglie ritenendolo affetto da disturbo delirante. Ma essere in preda a una tempesta emotiva, spieghiamo qui, non può essere una giustificazione per chi commette un femminicidio
L'ha colpita nel sonno con otto coltellate. Poi l'ha vegliata per ore. Infine ha avvertito una vicina di casa di aver ucciso la moglie. Era il 4 ottobre 2019. Antonio Gozzini, 80 anni, carnefice di Cristina Maioli, docente 62enne, non andrà in carcere. Al processo per omicidio è stato «assolto per vizio totale di mente» dalla Corte d'Assise di Brescia. «L'indagato Antonio Gozzini era all'epoca dei fatti, ed è attualmente, affetto da disturbo delirante di gelosia tale da escludere totalmente la capacità di intendere e volere», dice la perizia psichiatrica del professor Sergio Monchieri, nominato dall'accusa.
La sentenza ha creato sconcerto. Centinaia di donne hanno manifestato davanti al Palazzo di Giustizia di Brescia. Il ministero della Giustizia acquisirà gli atti che hanno portato all'assoluzione. E il tribunale bresciano ha dovuto diramare una nota chiarificatrice. «In attesa delle motivazioni della sentenza», si legge, «serve tenere distinti i profili del movente di gelosia dal delirio di gelosia, quale situazione patologica da cui consegue una radicale disconnessione dalla realtà, tale da comportare uno stato di infermità che esclude, in ragione di un elementare principio di civiltà giuridica, l'imputabilità».
Per i giudici non è stato femminicidio, ma l'atto di una persona delirante. Torna in mente la motivazione con cui la Corte d'appello di Bologna aveva dimezzato nel 2019 la condanna di un uomo che aveva ucciso la moglie: aveva agito in preda a una «tempesta emotiva». Un pronunciamento poi annullato dalla Cassazione. Ma l'avvocato di Gozzini, Jacopo Barzellotti, conferma. «Sia le perizie dell'accusa sia quelle della difesa», dice, «hanno rilevato un disturbo psichiatrico maggiore, già segnalato nelle indagini preliminari. Dopo le quali la famiglia Maioli ha deciso di non costituirsi parte civile al processo e di fare una transazione con la famiglia Gozzini». Quando, però, nelle aule di giustizia si usa la gelosia per spiegare un delitto, spesso si confonde la salute mentale con l'idea radicata che la donna sia un oggetto di proprietà dell'uomo. E questa sentenza il rischio lo corre.
«I fratelli della signora Maioli si aspettavano il giudizio di colpevolezza verso un reo confesso», ci dice l'avvocato Luca Pansini, legale dei Maioli. «Le sentenze vanno rispettate, ma questa crea precedenti delicati». Tutto il processo è anomalo: il pubblico ministero, Claudia Passalacqua, che chiede l'ergastolo per l'imputato anche se le perizie della stessa procura lo giudicano non imputabile; la famiglia della vittima che non è parte civile. E poi la diagnosi. Se davvero Gozzini era totalmente insano di mente, come poteva fare una vita normale? Considerato per anni dai medici depresso, com'è potuto diventare in pochi mesi un malato affetto da tutt'altro disturbo? Infatti la psichiatra Mara Berlini, consulente della famiglia Maioli, prende le distanze da come si è arrivati a sancire il vizio di mente: «Ritengo le conclusioni della consulenza tecnica non condivisibili in quanto non sufficientemente validate dagli elementi clinici e diagnostici complessivamente emersi nel corso delle operazioni per fare le perizie, nell'ambito di un caso molto complesso», dice. «In merito alla nota chiarificatrice del tribunale non posso che dichiararmi d'accordo: prima si perviene a un inquadramento clinico rigoroso, poi si discute se quanto è emerso si inserisca o meno nella nozione giuridica di infermità mentale». Senza contare che chiudere in un ospedale psichiatrico l'autore di un femminicidio non risolve il problema della violenza. Serve una giustizia che non lasci dubbi.
Monica Bogliardi