Numero 1 del 2021
Titolo: Ci chiamano Mamme Matte
Autore: Giorgia Nardelli
Articolo:
(da «Donna moderna» n. 2 del 2021)
Sono una rete di donne e uomini che adottano i bambini che nessuno vuole. E lottano tutti insieme affinché ogni minore, anche quello con la storia più difficile o la malattia più crudele, trovi un adulto disposto a crescerlo
Quando Francesca e Sergio l'hanno vista per la prima volta, Marta era in un lettino di ospedale. E negli ospedali aveva passato tutta la sua vita. «A 8 mesi conosceva solo la luce a neon dei reparti. Dormiva tutta rannicchiata, con le manine sulla faccia, lo fa anche ora. Appena si è svegliata l'ho sollevata in posizione verticale, ma per guardarmi ha reclinato la testa all'indietro. Era abituata a vedere il mondo solo da distesa, nessuno l'aveva mai tenuta in braccio». Francesca racconta che ora Marta di abbracci non si sazia mai, e Sergio dice ridendo che convincerla a dormire nel suo letto «è ogni notte una battaglia».
I nomi sono di fantasia, ma ogni dettaglio di questa storia è reale. Tre anni e mezzo fa questa coppia ha adottato la bimba dopo un breve periodo di affido. Prima di lei in famiglia c'era già Marco, il loro figlio biologico di 12 anni, oggi fratello della piccola «in tutto e per tutto». Marta ha una sospetta sindrome genetica a cui la medicina non sa dare un nome. È nata quasi completamente sorda, non si sapeva se e quanto sarebbe vissuta, se avrebbe mai mangiato da sola, parlato o camminato. Sono cose che mettono terrore: i suoi genitori biologici hanno fatto un passo indietro, ed è stato subito chiaro che trovarle una famiglia sarebbe stato difficile. Marta è quella che si dice una minore con bisogni speciali, un'etichetta usata per i bambini con handicap o disabilità spesso irreversibili, ma anche bimbi che hanno passato anni in istituto, hanno più di 7 anni o sono stati vittime di traumi o abusi. «Sono chiamati così perché necessitano di cure, attenzioni e percorsi riabilitativi molto impegnativi e rischiano di restare in istituto fino alla maggiore età o per tutta la vita» spiega Karin Falconi. Karin è una counselor specializzata in sostegno alla genitorialità affidataria e adottiva e con altre colleghe, professioniste del sociale come lei, 3 anni fa ha fondato l'associazione M'aMa - Dalla parte dei bambini, conosciuta come la «Rete delle MammeMatte», un nome che celebra la magnifica follia di questi genitori capaci di mettere la voglia di donare amore davanti a ogni difficoltà. «Sì, matte perché convinte che per ogni bambino, anche con bisogni speciali, ci sia una famiglia disposta a crescerlo» continua Karin Falconi, che dell'associazione oggi è vice presidente. È grazie a loro se Sergio e Francesca hanno incontrato Marta. «Siamo avvocatesse, consulenti familiari, pedagogiste e viviamo in regioni diverse. Ci siamo conosciute perché tutte ci occupiamo di adozioni, più che un lavoro è una passione che travolge letteralmente anche le nostre vite private e infatti molte di noi hanno oggi bimbi con bisogni speciali. Abbiamo costituito un'associazione perché spesso ci trovavamo a farci l'un l'altra un passaparola per trovare una famiglia con i requisiti giusti. Ci sono piccoli che sembrano non avere la possibilità di un futuro, che hanno basse aspettative di vita. Mi è rimasta dentro la storia di Mario, non è il suo vero nome ma pubblicamente lo abbiamo chiamato così: è nato con una grave disabilità e ci abbiamo messo 2 anni per trovare una famiglia disponibile. Due anni è un pezzo di vita lunghissimo per chi aspetta in un istituto, ma alla fine qualcuno ha avuto il coraggio di guardare oltre la sua diagnosi».
Oggi la Rete delle MammeMatte collabora con i tribunali di mezza Italia ed è riuscita a trovare una famiglia a più di 100 bambini e ragazzi. «Le nostre famiglie ci dicono: «Ho avuto tanto dalla vita, è il momento di restituire». Ma la voglia di donare non basta: burocrazia, limiti territoriali e mille storture del sistema spesso complicano le procedure. Conosciamo persone in attesa da anni, e nonostante ciò tanti bambini finiscono in istituto. Per questo i Tribunali per i minorenni si rivolgono alle associazioni» spiega Falconi. La Rete delle MammeMatte è costituita da famiglie di ogni tipo, anche quelle che non possono adottare ma sono pronte a prendere un minore in affido. «Tra i nostri genitori ci sono coppie non sposate, etero e omosessuali, single e divorziati. L'unica condizione necessaria è la consapevolezza del passo che si sta per fare, oltre che l'essere stati formati e inseriti nel database delle famiglie affidatarie».
Così è andata per Sergio e Francesca: «Seguendo la Rete abbiamo risposto a un appello e siamo stati chiamati per il colloquio in tribunale. La gravità della situazione non ci è stata nascosta e io ricordo che continuavo a chiedermi quanto doveva sentirsi sola questa piccola. Ho avuto problemi di salute e so quanto è importante avere qualcuno accanto quando si sta male» racconta Francesca. «Ricordo che la sera ho parlato con Sergio. Vicino a casa nostra abitano un padre e una figlia disabile, ormai adulta: ogni giorno lui la accompagna a fare una passeggiata spingendo il suo risciò. Sergio mi ha chiesto se ce la sentivamo di spingere per tutta la vita quel risciò. Alla fine la nostra risposta è stata sì».
Certo, il cammino, dopo la scelta, è quasi sempre in salita.
«Servono energia, tempo e determinazione per stare accanto a chi ha bisogno di cure continue, ha subito abusi, ha sofferto, o mai e poi mai ti chiamerebbe mamma, perché la sua l'ha conosciuta e gli manca. E noi «mamme matte» lo sappiamo bene. L'associazione segue le famiglie anche nel dopo, con consulenze e affiancamenti, incontri e gruppi di auto aiuto» spiega Falconi. «Non essere soli è fondamentale per il buon esito dell'affido: tutti hanno bisogno di essere accompagnati e di un confronto. È successo anche a una di noi, durante l'inserimento in casa di un'adolescente: davanti alle sue risposte provocatorie, le ostinazioni e le difficoltà, la professionista non c'era più, era rimasta solo una mamma sconfortata. Anche lei ha chiesto aiuto alla Rete».
Neanche Sergio e Francesca si nascondono dietro a un dito. «Nostra figlia ha un grosso ritardo nello sviluppo, questa cosa non la puoi cambiare. All'inizio c'erano i sondini, valori da controllare, questa bambina che dovevamo imparare a conoscere, e ancora oggi ci sono da fare i salti mortali per il fisioterapista, il logopedista, la scuola, le sue ostinazioni e un carattere non sempre facile da gestire» dice Francesca. «Ma i nostri sacrifici non sono stati inutili. Marta adesso è serena, mangia, parlotta, canta, corre, litiga e gioca con suo fratello, che la adora e la protegge. Ogni progresso è stato un regalo. E grazie a lei abbiamo imparato ad amare i figli come si dovrebbe fare sempre: accettandoli per quello che sono».
Così ci si prepara all'affido
Per prendere in affido un bambino con bisogni speciali si segue un iter, che non è diverso da quello dell'affido «classico». Il primo passo è rivolgersi ai servizi sociali del proprio Comune e partecipare agli incontri di gruppo e individuali con assistenti sociali e psicologi. In questa fase bisogna specificare che si è aperti all'accoglienza di bimbi con bisogni speciali. Gli esperti effettuano un'indagine psicosociale sui richiedenti e alla fine la famiglia affidataria viene inserita in una banca dati territoriale.
Quasi 400 bimbi e ragazzi aspettano una famiglia
Gli ultimi dati disponibili risalgono al 2017 e parlano di 385 minori dichiarati adottabili e senza una famiglia in Italia: quasi tutti bambini già preadolescenti o con gravi disabilità. «Ogni volta che si presenta il caso di un minore con bisogni speciali, il tribunale effettua una selezione tra le coppie che si sono dichiarate disponibili e sono negli elenchi delle famiglie in attesa per l'adozione o tra quelle affidatarie» spiega Marzia Colace, giudice onorario al Tribunale dei minori di Catanzaro. «Può accadere però che quando presentiamo la situazione, i genitori non se la sentano». Se diversi tentativi vanno a vuoto, vengono contattate associazioni come M'aMa, la Rete delle MammeMatte, che lavorano su mandato gratuito dei servizi sociali e dei tribunali. «Noi» spiega la vicepresidente Karin Falconi «inviamo l'appello alle famiglie della nostra Rete: lo facciamo nel rispetto della privacy, senza indicare i dati anagrafici o l'eventuale patologia del minore. E, se serve, pubblichiamo anche un Sos sui giornali con cui collaboriamo e sui nostri social».
Giorgia Nardelli