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Kaleîdos

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Numero 23 del 2020

Titolo: Se vuoi che cresca bene lascialo sbagliare

Autore: Benedetta Sangirardi


Articolo:
(da «F» n. 48 del 2020)
Li inondiamo di aspettative fin da piccolissimi, li trattiamo da eterni neonati e trasmettiamo loro un'ansia incredibile: hanno sempre paura di deluderci. «Che facciano i loro errori, senza tragedie», invita la psicoterapeuta Stefania Andreoli. «Solo così i nostri figli costruiranno la fiducia in se stessi»
«Genitore è colui che ti permette di diventare». La definizione è di Stefania Andreoli e merita più di una riflessione. Nella sua nuova collana di libri per ragazzi uscita per Fabbri Editori la psicoterapeuta ci porta a scoprire il più profittevole e fondamentale dei talenti dei nostri figli: imparare a sbagliare. Non glielo permettiamo, ansiosi di star loro dietro come fossero eterni neonati. E così, quando crescono, diventano «la generazione più ansiosa di sempre».
D. Ma davvero sono così ansiosi? In che senso?
R. Prendi un qualsiasi preadolescente, fattelo amico e chiedigli che cosa teme: ti dirà che non sa confrontarsi, quale argomento tirare fuori con un'amica, che cosa gli altri si aspettano da lui o da lei. In pratica hanno tutti paura del confronto e di deluderci. Pur di accontentarci e tentare di essere quelli che noi vorremmo che fossero, soffrono da matti. Ci danno quello che noi chiediamo, la performance, ma la verità è che non stanno affatto bene.
D. Una panoramica dei genitori di oggi?
R. Hanno tantissime qualità: sono attenti, si informano, consultano l'esperto. Cercano di fare del loro meglio, ma proprio non accettano di fallire. Uno scivolone li mette in crisi. E pur senza volerlo lo trasmettono ai figli.
D. Ci faccia qualche esempio.
R. Il bambino corre al parco e cade, come normale che sia, alza lo sguardo per cercare gli occhi della mamma o del papà. Se intercetta l'apprensione, la preoccupazione, quell'incertezza diventa del piccolo. Si convince che non sarebbe dovuto cadere, che la prossima volta non deve succedere.
D. La conseguenza?
R. Bambini e ragazzi vogliono essere a tutti i costi efficaci, efficienti, far contenti i genitori. Gli stiamo togliendo il gusto tutto bambinesco di farsi beccare con le mani nella marmellata, di versarsi un bicchiere d'acqua combinando un disastro, di andare a scuola disordinati e con le scarpe sporche di fango.
D. E con queste nostre paturnie dove li portiamo?
R. Al pensiero di non essere meritevoli dell'amore dei genitori se non fanno tutto perbenino. Vedo tutti i giorni ragazzi che non accettano l'imperfezione, il fallimento. Insicuri, ansiosi, con un senso di sé che manca di autostima, con la paura di non essere accettati, perché per prima cosa non si sentono bene nel loro universo, che è la famiglia.
D. L'errore che compiamo più spesso?
R. Il «però». Ti voglio bene, sei bravo a scuola, sei mio figlio e ti amo, però, se ti comportassi meglio, dessi la risposta giusta, non disturbassi in classe, ecco andresti meglio. Al posto di fare e strafare, state lì alla finestra a guardare cosa succede.
D. La sua collana si basa su un principio «sacro»: imparare a sbagliare è il più profittevole dei talenti, in realtà sottovalutato. Perché?
R. Chi riempie il cassetto di errori è parecchio fortunato. Capisce prima degli altri che dopo il brutto voto in matematica, la partita di basket in cui non ha fatto il canestro decisivo, la vita continua e ha la possibilità di fare meglio. Sono anticorpi per il sollievo, che permettono di trovare soluzioni. E da adulti ci proteggeranno sapendo che le possibilità sono infinite. Ai primi fallimenti i piccoli, come i ragazzi, non sanno reagire, cadono senza capire come ci si rialza. Per la crescita la gestione dell'incertezza è fondamentale.
D. Che cosa in particolare non abbiamo capito?
R. Credo serva tararsi su che cosa è davvero sbagliato e preoccupante e cosa no. Un figlio che fa sempre tutto bene, non è normale.
D. Anche sull'autonomia siamo terribilmente apprensivi.
R. I ragazzi hanno il diritto alla fiducia. Dunque, dopo aver fatto un buon lavoro da genitore, a 10-11 anni dobbiamo permettergli di spiccare il volo, di imparare a sbagliare con stile, a non inciampare due volte sullo stesso sassolino, di conoscersi attraverso gli errori esplorando senza il nostro continuo intervento e le nostre proibizioni. Educare, alla fine, vuol dire rendere i figli capaci di venire fuori, in piedi, da tutte le situazioni che la vita presenta. E fargli sapere che se tendono la mano, perché un problema non sono capaci di risolverlo, noi ci siamo.
D. Come rimediare alla nostra ansia?
R. Serve cambiare marcia. Genitore è colui che ti permette di diventare. Di vivere. Plachiamo i nostri immotivati turbamenti e necessità di perfezione, impariamo che banalmente mamma e papà stanno lì per sostenere le spinte evolutive, senza scegliere per i figli. Prima dell'estate una ragazza mi ha detto che sua mamma ha deciso che non può fare il liceo classico, non la ritiene all'altezza. Ecco, questo equivale a non permettere a quella giovane di diventare. «Se poi viene bocciata?» avrà pensato quella mamma. E allora? Torniamo al discorso dell'indispensabilità dell'errore.
D. Come trovano la fiducia in sé?
R. Se li lasciamo fare, se la costruiscono con il tempo e sin da piccolissimi. Un percorso lungo e tortuoso, ma l'assunto al quale devono arrivare è: se perdo il quaderno di italiano, un altro ce l'ho. Se non so farmi i lacci alle scarpe, metto quelle con lo strappo. «Me la cavo» è il punto più alto a cui devono aspirare i nostri figli per un pieno di fiducia in se stessi.
D. Un suo libro è contro il pregiudizio. Ci racconta di cosa si tratta?
R. Racconto la storia di Bianca, che ha dovuto cambiare scuola perché vittima di bullismo e accusata di rubare oggetti in classe. Ha dettagli fisici inusuali: capelli color rame, lentiggini. Presto diventa vittima di pregiudizi e dicerie. Tanto che due ragazzine in classe prendono le forbici e da dietro le tagliano i capelli. In questo racconto ho voluto inviare un messaggio a tutti i compagni: mai voltarsi dall'altra parte quando qualcuno è in difficoltà, mai tacere se vediamo un bambino solo, isolato, in pericolo. Ciò che sconfigge il pregiudizio è l'accoglienza.
Benedetta Sangirardi



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