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Kaleîdos

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Numero 22 del 2020

Titolo: Noi che siamo tornate libere

Autore: Cristina Giudici


Articolo:
(da «Grazia» n. 26 del 2020)
Sara è stata picchiata dal compagno. Simona è stata violentata da un cugino e ripudiata dalla famiglia. Milena è stata minacciata da un ex. Tutte hanno trovato il coraggio di chiedere aiuto e cambiare vita. «Grazia» le ha incontrate per raccogliere il loro appello a tutte le donne che ancora soffrono in silenzio: «Ribellarsi è possibile, non siete sole»
È difficile trovarsi davanti a vittime di violenza che ti guardano negli occhi, disposte a raccontarti il loro inferno terreno. Che ti confidano i pugni ricevuti, i messaggi di minaccia ripetuti ogni sessanta secondi, gli agguati al lavoro, gli stupri; lo stalking. E non cambia nulla se in mezzo c'è uno schermo del computer. Quando Bo Guerreschi, presidentessa dell'associazione Bon't Worry, nata per aiutare le vittime delle violenze, chiede alle sue «protette» chi ha voglia di raccontare a Grazia la propria storia di rinascita, aderiscono in tantissime. Abbiamo deciso di incontrarne quattro via Zoom, perché anche se la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne si celebra il 25 novembre, questa è un'emergenza di cui bisognerebbe parlare ogni giorno.
«L'ho conosciuto sul web, due anni fa. Sembrava un uomo interessante, colto. Aveva una piccola casa editrice e organizzava eventi culturali. Io ero single, lanciata nella carriera ma con il desiderio di formare una famiglia», racconta Sara, 38 anni, ingegnera informatica. «I problemi sono iniziati quando sono rimasta incinta e ho scoperto che lui aveva altre relazioni, che frequentava prostitute, che aveva messo incinta un'altra ragazza. Un giorno ho deciso di contattare una delle sue amanti e ho capito l'errore madornale che avevo fatto. La sera in cui l'ho affrontato per metterlo di fronte alle sue bugie, la sua maschera è caduta e si è rivelato per quello che era: un uomo instabile, erotomane e con perversioni che si spingevano fino ai confini della pedofilia», spiega durante il nostro incontro virtuale. «All'inizio mi vergognavo, subivo e facevo finta di nulla. Sono riuscita a denunciarlo solo dopo la nascita della bimba. È stata lei a darmi la forza di ribellarmi».
Oggi Sara ha cambiato indirizzo, città, identità. «L'ultima volta che mi ha picchiato, ripetevo a me stessa che dovevo rialzarmi. L'importante era rimettermi in piedi, non permettergli di sopraffarmi. E oggi, grazie all'aiuto di Bo e alla forza che mi dà la mia bimba, penso che prima o poi potrò avere una vita normale. Certo, oltre alle ferite dell'anima, lui ha rallentato la mia carriera, ma sono sicura che riuscirò a essere felice». Guerreschi è un'economista, ha fondato Bon't Worry dopo aver subito anche lei le angherie da parte dell'ex marito. Le sue «donne» la definiscono un carrarmato perché per aiutarle non si ferma davanti a nulla. «Noi interveniamo ogni volta che la polizia ci chiama, forniamo assistenza materiale, psicologica e legale. Se è necessario mettiamo le vittime in case protette; talvolta le nascondiamo all'estero», spiega.
Nel gruppo delle donne che non hanno avuto paura a esporsi con «Grazia» su Zoom per raccontare che cosa può accadere se si incontra il partner sbagliato c'è anche Simona, collegata da Londra. Ha solo 21 anni ed è anglo-italiana. «Quando avevo 10 anni, sono andata in Italia dai miei parenti. Mio cugino, anche lui minorenne, mi ha stuprata. L'ha fatto ogni volta che tornavo in Italia. Il giorno in cui ho trovato il coraggio di confessarlo a mia madre, non mi ha voluto credere. Anzi, mi ha detto che per la reputazione della famiglia era meglio tacere, finché un giorno, dopo che ho rivelato a un insegnante che cosa mi fosse successo, se ne è andata di casa». Simona è cresciuta con la nonna e il padre che hanno cercato di proteggerla anche dalla depressione che l'ha spinta a tentare il suicidio. «Simo, ti ricordi quando sono venuta a prenderti, quante risate ci siamo fatte la prima sera che siamo state insieme in un hotel?», interviene Guerreschi per alleggerire il peso di queste confidenze, rievocando quella sera in cui è stata avvisata dall'Interpol, l'Organizzazione internazionale della polizia criminale, che Simona sarebbe venuta in Italia per un'audizione protetta in tribunale.
Prima di scollegarsi, Simona chiede di fare un appello. «Voglio dire a tutte le donne che non bisogna mai arrendersi. Se qualcuno non vi crede, andate avanti. Alla fine si può trovare una soluzione, se ci ribelliamo ce la possiamo fare». Cala subito il silenzio perché l'appello di una 21enne che ha subìto stupri ripetuti quando era ancora una bambina lascia tutte senza fiato.
Prende la parola Monica, 30 anni e un volto solare che non sembra tradire il dolore che ha ancora nel cuore. Nonostante siano passati cinque anni dall'inizio della sua odissea, ancora oggi non riesce a farsene una ragione perché dentro il vortice della guerra con il suo ex partner, le hanno sottratto anche due figlie che sono state date in affido. «Sapevo sin dall'inizio che lui aveva dei problemi, ma mi sono illusa. Prima ha iniziato con le violenze psicologiche, mi controllava, era geloso, mi impediva di vedere la mia famiglia, le mie amiche e il figlio avuto da una precedente relazione che ero stata costretta a lasciare a mia madre. All'inizio non ho reagito perché soffrivo di una depressione post partum. Poi sono iniziate le violenze e ho trovato la forza di ribellarmi. È stato arrestato dopo la quinta denuncia», racconta.
Quando tocca a lei, Milena parla con uno sguardo allo schermo e uno rivolto alla porta della stanza in cui si trova perché non vuole che suo figlio minore ascolti. Milena ha 36 anni e lavora in un istituto per disabili. «Il mio matrimonio è andato bene per cinque anni, poi lui ha cominciato ad assumere sostanze stupefacenti ed è cambiato tutto. All'inizio ho cercato di aiutarlo, ma invano. Poi sono arrivate le violenze e allora ho preso i miei due figli e me ne sono andata. Da allora mio marito è diventato uno stalker. Ci sono stati giorni in cui mi ha mandato un messaggio al minuto per insultarmi o minacciarmi di morte. Una volta mi ha detto che sarebbe venuto dove lavoravo per uccidermi e io gli ho risposto che lo aspettavo. Mio fratello che era con me mi ha aiutata a prendere tempo finché è arrivata la polizia». Milena vive a casa sua, mentre l'ex marito entra ed esce dal carcere a causa delle sue denunce, ma ogni volta che è libero ricomincia a ossessionarla. Lei sembra forte e non molla. L'ex partner ha dato fuoco anche alla macchina di sua madre, ma Milena resiste. «Ho schiacciato il tasto delete, cancella, e cerco di vivere come se lui non esistesse», dice.
Prima di chiudere il collegamento, guardo queste donne. Hanno tutte lo sguardo di chi sa che ribellarsi e condividere la loro storia è fare la cosa giusta.
Cristina Giudici



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