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Corriere dei Ciechi

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Numero 11 del 2020

Titolo: RUBRICHE- Occhio alla ricerca

Autore: a cura di Andrea Cusumano


Articolo:
"Nuovi fotorecettori" per i non vedenti con le tecniche di optogenetica
I fotorecettori - coni e bastoncelli - sono le uniche cellule della retina in grado di percepire la luce e generare gli impulsi nervosi che innescano il fenomeno della visione. Gli impulsi generati dai fotorecettori vengono trasmessi alle cellule della retina interna, al nervo ottico e infine alla corteccia cerebrale, dove vengono elaborati e "tradotti" in immagini. Quando i fotorecettori vengono danneggiati o muoiono a causa di una patologia o di un trauma, la visione non può più aver luogo poiché le cellule della retina interna che prendono parte al processo visivo sono in grado di trasmettere gli impulsi nervosi generati dai fotorecettori ma non di produrli in modo autonomo.
I fotorecettori sono le uniche cellule capaci di rispondere alla luce perché sono le uniche che posseggono le opsine, speciali proteine che in presenza di uno stimolo luminoso attivano specifici processi cellulari in grado di generare un corrispondente impulso nervoso.
Esistono molte patologie della retina che causano la degenerazione e la morte dei fotorecettori, con conseguente scadimento o perdita della visione, quali ad esempio la retinite pigmentosa e la degenerazione maculare legata all’età. Nei pazienti affetti dallo stadio terminale di queste patologie l’impulso visivo non può più essere innescato, però nella maggior parte dei casi le cellule della retina interna sarebbero ancora in grado di trasmettere il segnale visivo se esso fosse generato.
Da ciò è nata l’idea di ripristinare la visione restituendo alla retina la capacità di generare l’impulso nervoso che fa partire il processo visivo. In questo caso lo stimolo viene fatto partire direttamente dalle cellule della retina interna, quelle che normalmente partecipano alla trasmissione dell’informazione visiva dai fotorecettori al cervello. Per "trasformare" le "cellule che normalmente passano il messaggio visivo" in "cellule che danno origine al messaggio visivo" si ricorre a tecniche di trasferimento genico che permettono di inserire in queste cellule un gene estraneo, nello specifico il gene che dà alle cellule le "istruzioni" per produrre le opsine.
La branca della ricerca che studia la possibilità di "trasformare le cellule della retina interna in fotorecettori" prende il nome di optogenetica. Questa ha già testato diversi tipi di opsine, partendo da quelle presenti in alcune alghe unicellulari per arrivare a proteine progettate in laboratorio con caratteristiche via via sempre più adatte a funzionare nella retina umana in presenza di condizioni ambientali compatibili con la salute dell’occhio.
Recentemente la prestigiosa rivista scientifica Nature Gene Therapy ha pubblicato i risultati di uno studio di un gruppo di ricercatori della Compagnia statunitense Nanoscope, che ha creato un nuovo tipo di opsina sintetica denominata MC01, capace di funzionare in presenza di luce ambientale (luce "bianca"), producendo una risposta molto simile a quella dei fotorecettori e senza il rischio di causare fototossicità per la retina.
La sequenza di DNA che codifica per la proteina MC01 è stata inserita in vettori virali di tipo AAV (virus adeno-associati) e trasferita nelle cellule retiniche di modelli sperimentali murini rd10 - privi di fotorecettori e senza percezione di luce - mediante un’unica iniezione intravitreale. L’inserimento del DNA nelle cellule retiniche si è dimostrato efficace, specifico (il gene di MC01 è stato inserito solo nelle cellule bipolari, come programmato), duratura e senza effetti collaterali quali ad esempio l’infiammazione. I topi che hanno ricevuto il trattamento hanno mostrato un incremento della funzionalità visiva, misurato mediante test quali la capacità di orientamento in un labirinto e la capacità di individuare cambiamenti di direzione di moto di un oggetto.
Questi dati suggeriscono che l’inserimento dell’opsina MC01 potrebbe rappresentare una metodica terapeutica utile al ripristino della funzionalità visiva nei pazienti che hanno perso l’uso della vista a causa della morte dei fotorecettori. I ricercatori hanno stimato che questa metodica potrebbe portare un recupero visivo che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe arrivare a 20/60. Tuttavia gli studiosi non possono ancora prevedere se il tipo di visione potrà essere simile a quella "naturale".
Grazie ai risultati promettenti della sperimentazione preclinica, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha autorizzato un trial clinico che permetterà di verificare la validità della strategia terapeutica nei pazienti affetti da retinite pigmentosa.
Questa ricerca aggiunge senz’altro grande speranza per la realizzazione di una nuova metodica utile a ripristinare la visione nei pazienti con cecità assoluta e che potrebbe rappresentare una valida alternativa all’utilizzo dei microchip retinici.



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