Logo dell'UIC Logo TUV

Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ETS - APS

 

Corriere dei Ciechi

torna alla visualizzazione del numero 11 del Corriere dei Ciechi

Numero 11 del 2020

Titolo: SOSTEGNO PSICOLOGICO- L'altra faccia della "crisi"

Autore: Katia Caravello


Articolo:
Non importa quale sia l'età, 14, 20, 50, 70, 80, quando la cecità o l'ipovisione incombe nella vita di una persona va in scena un dramma, un dramma che può anche arrivare ad esiti estremi. Ma, come spesso accade, in situazioni simili si scopre l'altra faccia della "crisi".
Sì, perché siamo abituati ad attribuire alla parola "crisi" un'accezione negativa, utilizzandola per riferirci al peggioramento di una situazione… ma riflettendoci, possiamo coglierne anche una sfumatura positiva. Infatti un momento di crisi cioè di riflessione, di valutazione, di discernimento, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, una rinascita, un rifiorire.
Quindi la crisi può essere anche vista come l'opportunità di scoprire qualcosa di nuovo, nel mondo ma anche - anzi soprattutto - in se stessi!
Ad alcune persone questo modo di pensare viene naturale, quindi vivono ciò che accade loro, le difficoltà che incontrano nella vita, come delle sfide da vincere mettendo in campo tutte le proprie qualità e capacità… ma purtroppo non per tutti è così. Per i motivi più disparati (temperamento, personalità, educazione ricevuta, esperienze di vita passate ecc.), ci sono persone che di fronte alle avversità della vita si fanno abbattere, si arrendono e non riescono a credere di potercela fare a superare il momento, sono convinti di non averne le capacità e la forza.
Quando una persona diventa - più o meno improvvisamente o rapidamente - cieca o ipovedente, tende a concentrarsi su ciò che non riesce più a fare (versarsi un bicchier d'acqua, leggere un libro o un giornale, scegliersi gli indumenti da indossare, guidare se ha la patente, svolgere il proprio lavoro e, in generale, le attività che ha svolto sino a quel momento ecc.) e, conseguentemente, su cosa gli altri penseranno di lei, sul fatto che non potrà mai più avere una vita di relazione normale, non potrà essere più utile alla sua famiglia ed alla collettività.
Disorientamento, paura, frustrazione - dalle quali originano stati di ansia e/o depressione - sono le emozioni più spesso sperimentate da coloro che perdono la vista o diventano ipovedenti. Tutto ciò che li ha caratterizzati sino a quel momento, quelle capacità ed abilità sulle quali si basava l'immagine di sé, appunto la propria identità, sono andati in frantumi e hanno provocato la caduta in un baratro dal quale si pensa sia impossibile risalire.
Si genera così un blocco psicologico, che non consente di intravedere alcuna possibilità di miglioramento. In alcuni casi tale blocco può essere rimosso semplicemente dimostrando che è possibile continuare a svolgere, anche se in altro modo e con altri strumenti, le stesse attività che si svolgevano prima, insegnando nuove tecniche e strategie o anche solo dando informazioni pratiche sulle possibilità ed i servizi disponibili… in altri casi, però, ciò non è sufficiente.
Perché gli interventi di carattere tecnico-specialistico, di informazione e formazione diano i frutti desiderati è essenziale che la persona abbia integrato nella propria immagine di sé il disturbo visivo, che abbia ridefinito la propria identità inglobando in essa la nuova condizione di vita (cieco o ipovedente).
Perché è tanto importante questo passaggio? Perché senza di esso l'individuo, pur apprendendo nuove capacità ed abilità (muoversi dentro e fuori dalla propria abitazione, utilizzare il computer e lo smartphone, prendersi cura di sé e della propria casa e così via), continuerà a rimanere concentrato su ciò che non è più, invece di concentrarsi su chi è ora… rimarrà attaccato al passato, anziché vivere il presente e progettare il futuro.
Per evitare che ciò accada è necessario aiutare la persona a scoprirsi resiliente. La resilienza è la capacità delle persone di riuscire ad affrontare gli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita di fronte alle difficoltà. Il termine resilienza deriva dal latino ("resilire", da "re-salire", saltare indietro, rimbalzare), viene utilizzato per esprimere la capacità dell'individuo di fronteggiare una situazione stressante, acuta o cronica, ripristinando l'equilibrio psico-fisico precedente allo stress e, in certi casi, migliorandolo.
La resilienza non è una caratteristica che è presente o assente in un individuo: essa presuppone comportamenti, pensieri ed azioni che possono essere appresi da chiunque. Essere resilienti non vuole dire non sperimentare le difficoltà o gli stress della vita, significa avere le risorse per riuscire ad affrontarli senza farsi sopraffare da essi. Avere un alto livello di resilienza significa essere disposti al cambiamento quando necessario.
Le persone più resilienti presentano la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività (impegno), la convinzione di poter dominare gli eventi tanto da non sentirsi in balia di essi (locus of control interno) e la predisposizione ad accettare i cambiamenti senza viverli come eventi problematici (gusto per le sfide). Impegno, controllo e gusto per le sfide sono caratteristiche della persona di cui si può avere consapevolezza e perciò possono essere coltivati e incoraggiati.
Come l'UICI può favorire lo sviluppo della resilienza nelle persone che ad essa si rivolgono?
Ovviamente non esiste una ricetta valida per tutti, però esistono due strade - non alternative, ma complementari - che possono aiutare coloro che vivono la disabilità visiva sulla propria pelle a reagire nel modo giusto e a superare quel blocco che li inchioda al passato, impedendogli di vivere il presente e di proiettarsi nel futuro.
Innanzitutto l'incontro e la condivisione con altre persone che vivono la medesima condizione, sia durante situazioni informali (attività ricreative, culturali e di socializzazione), sia in contesti più strutturati in cui si dialoga e ci si scambia opinioni ed esperienze (la consulenza alla pari di cui si è parlato nel numero di ottobre di questo stesso giornale).
Nelle situazioni in cui l'incontro e lo scambio di esperienze con altre persone cieche o ipovedenti non è sufficiente per fare il passaggio di cui ho parlato all'inizio di questo articolo, può essere utile intraprendere un percorso con uno psicologo. Il setting della consulenza psicologica, insieme alla competenza specialistica del terapeuta, crea le condizioni perché la persona si senta libera di affrontare le sue difficoltà, senza temere per il giudizio altrui e/o senza sperimentare il senso di inadeguatezza ed inferiorità che potrebbe derivare dal confronto con altri individui.
O quando, in caso di disabilità congenita, si inizia ad essere consapevoli delle limitazioni imposte dal proprio deficit visivo, cosa che generalmente avviene in età adolescenziale.



Torna alla pagina iniziale della consultazione delle riviste

Oppure effettua una ricerca per:


Scelta Rapida