Numero 20 del 2020
Titolo: Una vera parità: la sogniamo per le nostre figlie
Autore: Ilaria Amato
Articolo:
(da «F» n. 43 del 2020)
Cinque padri speciali ci raccontano che cosa hanno imparato dalle loro ragazze. E il futuro che vorrebbero, libero da pregiudizi e limiti. Anche quelli autoimposti. Come l'aspettativa di avere il corpo di Claudia Schiffer e un cervello da premio Nobel
Scoprite chi siete, realizzatevi. E la felicità verrà da sé
Pier Paolo Pitacco, art director, ha due figlie: Olimpia, 34 anni, e Cecilia, 30
Lo ammetto: sono stato un padre poco presente in termini di quantità di tempo, ma non di qualità. Il mio lavoro mi ha portato a essere sempre molto impegnato, per cinque anni ho vissuto a Parigi tornando soltanto il fine settimana, eppure questo non mi ha impedito di condividere i momenti importanti della crescita delle mie figlie. A consigliarle e sostenerle nei giri di boa. Facendo sempre leva su una delle doti femminili che ammiro, e vi invidio, di più, dal momento che io sono un creativo dall'indole impulsiva, vale a dire la capacità di riflettere, la raffinatezza che avete nel soppesare le situazioni. E non date retta a chi vi dice, solo per sminuirvi, che siete isteriche, umorali, volubili: lo diventate solo quando vi sentite inadeguate, insoddisfatte. Per questo ho sempre detto a Cecilia e Olimpia, che prima di tutto è importante capire chi sono, essere consapevoli di se stesse, conoscere le proprie potenzialità e i propri limiti. E imparare ad accettarli. È fondamentale. Per non chiedersi l'impossibile, come spesso capita a voi donne, che pretendete da voi stesse di essere belle come Claudia Schiffer e con un'intelligenza da premio Nobel. Il che non significa dover rinunciare ad avere il meglio. Le mie ragazze mi hanno insegnato che con una buona strategia e tanta determinazione puoi arrivare dappertutto. Fino a fare la differenza, anche su un uomo. Ecco, io per loro vorrei un mondo in cui tutte le donne possano sentirsi sicure di quello che sono, realizzate, qualsiasi sia la strada che scelgono. La felicità, a quel punto, viene da sé.
Vi auguro un futuro non scritto
Matteo Bussola, 49 anni, scrittore. Il suo ultimo libro è «L'invenzione di noi due» (Einaudi). Ha tre figlie: Virginia, 13, Ginevra, 9, e Melania, 7
Alle mie tre figlie auguro un avvenire che sia meno prevedibile rispetto a quello che avevano davanti le donne in passato. Penso a quando ero ragazzino e ricordo mia sorella: per lei aiutare nelle faccende domestiche era scontato, sin da piccola, io invece, essendo un maschio, ero esentato da certi compiti. Con il risultato che ho imparato a 19 anni, quando sono andato a vivere da solo, a essere autonomo, a prendermi cura della casa e a cucinare. Oggi iniziamo a liberarci da questa schiavitù culturale anche se c'è ancora molto da fare. E io stesso riconosco di alimentare, anche se involontariamente, certi cliché di genere tanto radicati. Me ne sono reso conto quella volta che con mia figlia da qualche giorno vedevamo fuori dalla scuola un monopattino blu. Eravamo quasi tentati a portarlo a casa. «Ma il proprietario verrà a riprenderlo prima o poi», ho ipotizzato. E lei ha obiettato: «Chi ha detto che è di un bambino, e non di una bambina?». «Per il colore: se è blu deve essere di un maschio, no?», ho risposto io. Mia figlia a quel punto ha alzato gli occhi e mi ha guardato storto. E lì mi sono reso conto di quanto fossi io stesso vittima del pregiudizio. Come se ne esce? Iniziando a far leva su una dote tipica femminile: quella di non ragionare per compartimenti stagni e dividere la realtà in categorie. Le donne lo fanno tutti i giorni: il lavoro, l'accudimento, la vita per voi sono un flusso continuo, sempre aperto. Non mettete paletti tra le cose. Con le mie tre figlie in casa, tra una che passa col monopattino, l'altra che chiede un panino alla Nutella e l'altra ancora un aiuto per i compiti, sto finalmente imparando a farlo anche io. E vivo meglio.
Cercate un uomo che vi accenda, ma che non vi domini
Paolo Crepet, 69 anni, psichiatra, ha appena scritto Vulnerabili (Mondadori). Ha una figlia, Maddalena, 26
Auguro a mia figlia Maddalena di non dipendere mai da un uomo. Sì, è vero che le ragazze di oggi sono emancipate, ma alcune restano incastrate in relazioni in cui è il maschio che domina ed è l'unico nella coppia a essere libero. Sono ancora tante le donne che rinunciano alla felicità. Io, invece, voglio che mia figlia non smetta mai di cercarla. Non mi interessa poi sapere troppo sulla sua vita sentimentale. Lei non mi racconta tutto nei dettagli e io non lo pretendo. Il mio ruolo non è quello del confidente. Quello che conta per me è che la persona che ha a fianco sia in grado di accenderla. Non un uomo piatto, noioso, passivo, che non crede nell'amore. Vorrei che Maddalena possa vivere un rapporto in cui non tiri vento di bonaccia, ma si alzi spesso un uragano, capace di mandare all'aria tutto. Di farla sentire viva. Certo, in una passione travolgente si deve mettere in conto che ci si possa fare male: succede di doversi mettere dei cerotti nella vita, di cadere e rialzarsi. Fa parte del gioco. L'intera esistenza è un rischio, e io non posso mettere un materasso su quella di mia figlia per proteggerla dal dolore. Non ne ho il diritto. Anche se sono il padre.
Lasciarle andare, il mio contributo a un mondo migliore
Massimiliano Ossini, 41, conduttore tv e padre di Carlotta, 16, Melissa, 15, e Giovanni, 12
Ho imparato con il tempo a essere un buon padre di due femmine. Da piccole erano molto più in sintonia con la mamma. E per certi argomenti intimi ancora lo sono: i segreti, quelli importanti, li confidano a lei. Mi tengono all'oscuro di tante cose, soprattutto in campo sentimentale. Sanno che sono geloso e quando mi parlano di fidanzati mi scaldo. Insomma, confesso che per me non è stato facile creare subito un rapporto di complicità con le ragazze, cosa che invece è venuta spontanea con il maschio, Giovanni, con cui è più semplice trovare interessi comuni e affinità. Con Carlotta e Melissa ci siamo scoperti a poco a poco e siamo riusciti a creare un rapporto solido condividendo esperienze, più o meno importanti: dal viaggio dall'altra parte del mondo che facciamo ogni anno alla partita a carte tutte le sere dopocena. E ammetto anche che, essendo per indole piuttosto protettivo, in un primo momento ho dovuto fare uno sforzo per lasciar andare Carlotta, la maggiore, a frequentare il terzo anno di liceo nel Regno Unito. A convincermi è stato questo pensiero: «Se fosse stato un maschio cosa avrei fatto? L'avrei lasciato andare. Ne sono sicuro. Non è giusto privarla di una grande opportunità solo perché è femmina». Anche perché lei ha forte determinazione e capacità. Vivere all'estero è il suo sogno sin da quando era piccola. Studia, si impegna, non si spaventa davanti al sacrificio se serve a ottenere quello che vuole. Il mondo ha bisogno di donne come lei. Non puoi tarpare le ali a un'aquila che vuole prendere il volo. E oggi considero quel gesto come il mio contributo a creare il mondo in cui mi auguro vivranno le mie figlie, una società in cui non si dovrà ancora parlare di parità di genere, perché sarà finalmente ottenuta. E mi piace pensare che il mio sogno non rimanga solo un'utopia anche grazie all'impegno di un padre nei confronti delle sue piccole - grandi - donne.
Il domani deve essere donna
Luca Galvani, attore, 46, padre di Bianca, 11
Ho sempre desiderato avere una figlia femmina, credo che sia un dono che ne porta con sé altri, come sesto senso, intuizione, capacità di accogliere. Io, da padre, sento molto la responsabilità di rappresentare per Bianca un modello maschile positivo, fatto di rispetto, dignità, integrità, il che non è così scontato visto che alcuni pregiudizi di genere sono duri a morire. E mia figlia se ne è resa conto presto: è successo in quarta elementare, lei che giocava spesso con i maschi, a fare le corse, a calcio, si è trovata a scontrarsi con delle amichette smorfiose che la escludevano perché non faceva giochi «da femmine». Bianca che è una ragazza tosta, ma dentro dolcissima, ha sofferto e si è sentita tradita. Io le ho spiegato che non siamo obbligati ad adattarci a un cliché. Che neanche io rientro in quello maschile classico, dell'uomo duro. Che ognuno ha un'identità. E io mi auguro che nessuno potrà impedire a mia figlia di vivere a pieno la sua. Il futuro deve essere donna, perché senza donne non c'è futuro.
Ilaria Amato