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Kaleîdos

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Numero 19 del 2020

Titolo: Donne coraggiose

Autore: Redazionale


Articolo:
Pornovendetta, per fermarla ci ho messo la faccia
Storia di Silvia
(tratto da «Coraggiose» a cura di Silvana Gambino - Cairo Editore)
Non so cosa mi abbia preso quel pomeriggio. Mi occupo di diritti digitali e ho sempre avuto un senso di grande rispetto per la privacy altrui. Eppure ho preso il cellulare di un amico e ho iniziato a guardarci dentro. C'era una chat dal nome vergognoso: DonneTuttePuttane. Conteneva diverse foto di amiche al mare, in costume, fatte per gioco. Erano state scaricate dai loro profili Facebook, giravano di mano in mano accompagnate da commenti orribili.
«Sono solo goliardate, se posti certe foto poi non puoi lamentarti. Dai, non fare casino» mi è stato detto quando ho chiesto spiegazioni.
L'ho trovato intollerabile: una donna può farsi tutte le foto che vuole, ma nessuno ha il diritto di farle circolare in questo modo umiliante.
Ho pensato a Tiziana Cantone, la trentenne napoletana che si è tolta la vita nel 2016 per la gogna mediatica dei suoi video intimi, diventati virali sul web, il cosiddetto revenge porn, la pornovendetta.
E, di getto, ho scritto un post su Facebook.
«Attenzione, ci sono uomini che mandano in giro le nostre fotografie accompagnate da commenti sgradevoli. Ne sapete qualcosa?» Era un semplice sfogo, ma le mie parole hanno rotto il muro dell'ipocrisia, scoperchiando il vaso di Pandora. Amiche di amiche, leggendo quel post sul mio profilo, hanno iniziato a raccontarmi la loro vergogna.
Le storie delle altre
C'è chi si è trovata molestatori sotto casa perché il suo ex, dopo la fine della relazione, aveva aperto pagine porno a suo nome, con foto, video e dati sensibili.
E chi ha avuto la sciagura di finire nella famigerata «Bibbia», un grosso archivio online di raccolta di immagini di revenge porn in cui le ragazze vengono schedate per nome e cognome. Quei dati non si possono rimuovere e tu sei segnata per sempre. Pochissime le donne che denunciano. Si vergognano e si sentono molto sole perché c'è ancora un grosso stigma sociale connesso a questo problema.
Ero stufa di sentire questi racconti e di vivere nel timore che gli uomini usassero le nostre foto per affermare la loro virilità e sentirsi parte del branco.
Sono un'attivista e ho deciso di fare qualcosa di concreto.
«Dobbiamo approfondire, servono i numeri, è necessario capirci qualcosa in più» ripeto ad alcuni colleghi con cui mi confido al rientro in università, dove sono ricercatrice in Sociologia digitale.
Revenge porn, questo sconosciuto
Mi metto al lavoro: scopro che sulla vendetta pornografica non c'è quasi nulla, a parte un report di Amnesty International, con cui avevo già collaborato. E i dati sono allarmanti: una donna su cinque in Italia ha subito qualche forma di molestia online. Esattamente un anno dopo, con le tre associazioni Insieme in Rete, I Sentinelli e Bossy, lancio #intimitaviolata, una petizione per sensibilizzare sul revenge porn: nel giro di una settimana supera le 110 mila firme. C'è il mio volto su quella campagna.
Una scelta difficile: so di poter essere bersagliata da commenti sessisti che infatti non tardano ad arrivare: «Potevate pensarci prima di fare le puttane» mi scrivono, giusto per fare un esempio. E poi ricevo attacchi hacker. Ma i commenti positivi battono quelli d'odio: è il segno che stiamo facendo un buon lavoro e che la società è preparata per accoglierlo. La campagna viene appoggiata da Laura Boldrini alla Camera che si mette dietro a una proposta di legge. Anche il Movimento 5 Stelle comincia a interessarsi al tema.
La campagna non si ferma
Nel gennaio 2018 firmo, insieme a Valerio Mazzoni, esperto di monitoraggi online, un'inchiesta sulla piattaforma di messaggistica Telegram che viene pubblicata sulla rivista «Wired». S'intitola Uscite le minorenni, parla di gruppi che riuniscono fino a 60 mila persone, in cui gli utenti si scambiano tutto il giorno foto di donne e ragazzine e ne diffondono anche i dati personali. Un pozzo nero d'illegalità. Il canale più attivo, quello dove passa più materiale passibile di denuncia, è Canile 2.0 con oltre 2.300 utenti. Poi ci sono altri canali specializzati in modalità spy, come Video Segreti che ne ha 42 mila, e Scatti Segreti che ne conta quasi 18 mila. Ma materiale pedopornografico e di revenge porn circola spesso anche su chat che tendenzialmente nascono per il porno generico, come i Malatoni con 9 mila iscritti e La Casa del falegname con oltre 24 mila. Con queste ricerche arrivo a Montecitorio.
Intanto scoppia lo scandalo in Parlamento
La deputata grillina Giulia Sarti, 33 anni, ex presidente della Commissione Giustizia, rischia di diventare la prima vittima di revenge porn a scopo politico. I suoi video privati iniziano a fare il giro del Parlamento. Anche lei trattata come le donne che mi hanno contattato su Facebook, perché non importa l'estrazione sociale, l'età o la provenienza. Così monta la macchina del fango, perché in Italia la gente non sta dalla parte di chi subisce, ma colpevolizza le vittime. Nessuno escluso.
L'aria sta cambiando
Quando alla Camera viene bocciato l'emendamento sul revenge porn, la società civile reagisce con durezza, spingendo poi i deputati a rivotarlo e farlo approvare senza voti contrari. È il 2 aprile 2019: a quattro mesi dalla petizione #intimitaviolata, passa all'unanimità l'emendamento al disegno di legge Codice Rosso che introduce anche in Italia il reato di revenge porn.
Dopo tanto tempo mi sento bene: credo di essere riuscita a trasformare la rabbia e la frustrazione in una battaglia collettiva. E non ho paura perché tante persone combattono assieme a me questa lotta di civiltà.
Il lavoro instancabile di oltre un anno ha cambiato la mia vita e quella di tante altre donne sui temi dell'emancipazione femminile e della libertà di gestione del nostro corpo. In molti mi avevano sconsigliato di dare il mio volto alla campagna, ma ho scelto di testa mia. Strada facendo, in questa battaglia, ho incontrato persone di valore. E ho capito che quella era la cosa giusta su cui impegnarmi. È stato doloroso all'inizio scoprire i lati oscuri di alcuni amici. Mi hanno insultata, ma non sono tornata sui miei passi. Certo, mi sono dovuta ricredere su molte opinioni che avevo e la disillusione è stata dolorosa. I rapporti sani tra uomo e donna? Ci sono ferite che hanno bisogno di tempo per rimarginarsi, però non dispero. I miei ex amici non credo siano cambiati, avranno ancora quelle chat degradanti. Mi dà forza l'idea che quel «semplice passatempo» tra maschi, su cui ho rotto il silenzio, sia diventato reato.
Silvia Semenzin, 28 anni, ricercatrice di Sociologia digitale alla Statale di Milano. È stata promotrice della petizione #intimitaviolata che ha portato all'approvazione di un emendamento sul revenge porn.



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