Numero 17 del 2020
Titolo: Donne coraggiose
Autore: Redazionale
Articolo:
Il parroco ha abusato di me
Storia di Giada (di Alina Rizzi)
(Tratto da «Coraggiose» a cura di Silvia Gavino - Cairo Editore)
Nella penombra della chiesa cerco di scacciare dalla mente le cose brutte che stanno attraversando la mia vita. Prego in silenzio, chiudo gli occhi. Poi li riapro nella speranza che sia il crocefisso a mandarmi una risposta e invece incontro lo sguardo di Don Marino che mi ghiaccia. Mi fa segno di raggiungerlo sulla soglia della sacrestia e io ubbidisco con riluttanza. Entro nella sua stanza e lui chiude la porta.
«Come sei bella, Giada» dice accarezzandomi i capelli. Arretro di un passo, imbarazzata. Lui sorride, sussurra parole affettuose, come ha già fatto altre volte. Ma perché ora mi spinge contro la parete? Le sue mani scivolano dai miei capelli scuri alle spalle e poi sul mio petto. Questo non va bene, non dovrebbe starmi così addosso, sono raggelata. Ora infila le mani sotto la felpa e mi sfiora la pelle nuda. Sospira e col corpo viene avanti, mi schiaccia e si strofina. Io resto immobile, non so davvero cosa fare, mi vergogno tanto.
Cerco di spingerlo via, ma il Don è forte e determinato. Infila una mano dentro i miei jeans e poi le dita sotto l'elastico delle mutandine. Gli sfugge un lungo sospiro, trema tutto. Io chiudo gli occhi e stringo i pugni. Vorrei gridare ma trattengo il respiro. «Fa' che finisca presto. Fa' che sparisca!» ripeto a bocca chiusa, dentro di me. Lui geme, si accascia, la tensione si allenta. Non ho neppure il coraggio di guardarlo in faccia mentre si scosta, si aggiusta la veste. Dice che mi vuole tanto bene, mi benedice la fronte con la punta delle dita. Io ho voglia di vomitare.
Senza mio padre mi affeziono al Don
Papà è morto che avevo 3 anni, la mamma ha perso il lavoro. Ora che è morta anche la nonna siamo rimaste completamente sole e senza un soldo, dal momento che vivevamo con la sua pensione. Ho 13 anni, frequento la terza media e mi manca tanto una figura paterna che mi faccia da guida, mi rassicuri sul futuro e mi protegga dai mille dubbi dell'adolescenza. Forse è per questo che mi sono affezionata a Don Marino: ha quarant'anni più di me e potrebbe essere davvero mio padre. E poi sa essere gentile e affettuoso quando vuole. Mi convince a fidarmi, a raccontargli i miei dolori. Ogni tanto m'invita a casa sua con la scusa di volermi parlare, in realtà approfitta del fatto che siamo soli per accarezzarmi e baciarmi. Ripete che mi vuole tanto bene e che sono l'unica per lui. Ma cosa significa? Lui è troppo grande per me e per di più è un prete, non dovrebbe comportarsi così!
Le sue pretese aumentano
Quando esco da lì mi sento sporca, mi faccio schifo. Tento di parlarne con la mamma: le confido che Don Marino mi ha baciata sulla bocca, ma lei si arrabbia e non mi crede.
«Smettila di dire stupidaggini, ti stai inventando tutto!» grida, e io ammutolisco.
Non mi concentro più sullo studio e a scuola vado male.
Mi è passata anche la voglia di mangiare. Mamma crede che soffra tanto per la morte della nonna e quindi non cerca altre risposte. Mi sento sola e disperata. La mia unica consolazione è la musica: suono l'organo in chiesa per trovare un po' di pace, la forza di andare avanti. Dentro la chiesa, purtroppo, oltre all'organo c'è Don Marino ad aspettarmi: «Ti voglio mettere incinta, voglio un figlio». Ormai sono diventata la sua preda, non ho scampo, mi trovo le sue mani dappertutto che profanano i segreti del mio essere ancora una bambina.
Una parrocchiana mi tende la mano
Sprofondo nell'abisso, cominciano le mie nevrastenie, i miei scontenti, mi sento impura, mi vergogno, lo odio, ma in certi momenti mi sembra di amarlo. Ed è questa la violenza più grande che mi sta facendo: il rapporto mi coinvolge sempre più, si trasforma in una specie di dipendenza che non mi permette di vedere il baratro in cui sto precipitando. Lui esige rapporti sempre più sofisticati e umilianti per me, ma non so ribellarmi. Un giorno, una delle signore che organizzano il coro in chiesa vedendomi sempre abbattuta e triste mi si avvicina e chiede cosa mi sta succedendo. Io alzo le spalle. «Puoi confidarti con me, tesoro» sussurra. Non so dove trovo il coraggio di dirle quello che mi sta capitando, ma non ce la faccio più a tenermi tutto dentro, rischio di scoppiare e impazzire. Con mio grande stupore lei mi crede e dice che chiederemo aiuto alla Chiesa. Così andiamo a denunciare le violenze al vescovo.
Mi sento sporca e colpevole, ma lui promette di aiutarmi. Mi fa seguire da alcuni psicologi, che mi prescrivono degli psicofarmaci e fa rimuovere il parroco, che se ne va in fretta e furia dalla parrocchia senza dare spiegazioni.
È finita? Proprio per niente! Non faccio in tempo a tirare un sospiro di sollievo che la situazione si ribalta. La gente del paese comincia a fare domande, a indagare. I giornali scrivono quello che sta capitando e, d'un tratto, mi trovo tutti contro. Nessuno è disposto a credermi. Mi coprono di insulti e accuse. Mi minacciano di morte.
Sono la vittima, ma mi dipingono da carnefice. E intanto il vescovo tace, difende col silenzio la reputazione del mostro che mi ha violentata.
Denunciare porta altri guai
«Non avrei mai pensato di scrivere o di cercare di avere un contatto epistolare con una personalità grande come la Sua: il capo di tutti i cristiani del mondo, l'ultimo successore di Pietro sulla Terra». Comincia così la lettera che scrivo a Papa Francesco nel 2013, disperata, umiliata, emarginata. Non ottengo risposta.
Quando vedo che Don Marino continua a fare il prete indisturbato, decido di andare in Procura e lo denuncio formalmente.
La Chiesa a questo punto è obbligata a uscire dal silenzio, e lo sospende a divinis per due anni, (niente messa, niente sacramenti), mentre per me inizia un calvario di deposizioni e di udienze rinviate, sempre accompagnate da maldicenze e accuse feroci.
Oggi mi chiedo perché ho cercato giustizia e mi rendo conto che, se tornassi indietro, mi guarderei bene dall'espormi pubblicamente contro un parroco.
A 63 anni, Don Marino è tornato a fare il suo lavoro in una chiesa vicino a Roma, come se io non fossi mai esistita. Non solo, dopo un processo di tre anni il giudice ha stabilito che la nostra era una relazione d'amore e che io ero consenziente.
E l'ha assolto per ciò che è accaduto quando avevo compiuto 14 anni. Secondo la legge, infatti, è colpevole di atti sessuali con minorenne chiunque abbia rapporti con un minore di quell'età. Che sale a 16 se il colpevole è un genitore adottivo o un tutore. Non è il nostro caso, anzi. Hanno detto che Don Marino, poiché non è uno psicologo, non era tenuto a chiedersi se gli incontri sessuali mi facevano soffrire.
L'indagine prosegue
Alla fine, il giudice si è espresso soltanto sui due mesi precedenti al mio quattordicesimo compleanno, come se poche settimane possano trasformare una ragazzina traumatizzata in una donna consapevole. L'ha condannato a sei anni di reclusione, poi ridotti in appello nel maggio 2019 a quattro anni e dieci mesi perché il sacerdote «non ha avuto comportamenti violenti».
È stata poi chiesta l'archiviazione del fascicolo su ciò che ho subito dai 14 ai 17 anni, ma io mi sono opposta per ben due volte: attendo a breve l'udienza davanti al gip per sapere come andrà a finire.
Tutto questo sembrerebbe ridicolo se non mi avesse procurato ferite tali che non so se riuscirò mai a riprendermi. Ce la sto mettendo tutta, voglio guardare avanti. Ma che nessuno venga più a parlarmi di uomini che seguono le orme di Cristo. Io mi sono sbattezzata, ma ancora credo in Dio. Chi mi ha fatto tanto male può ancora definirsi cristiano?
Giada Vitale, 24 anni: vive a Portocannone (Cb). Laureata in Conservatorio, fa la musicista.