Numero 34 del 2020
Titolo: 60 anni di cecità trascorsi nei 100 dell'Unione
Autore: Carlo Carletti
Articolo:
Forse l'età e i condizionamenti del Corona-virus, hanno favorito il vagare dei miei pensieri nelle vicende della mia esistenza, riportandomi anche ai ricordi dei momenti più infelici, coincidenti con l'acquisita cecità, che il tempo, mi aveva portato a credere ormai sepolti e dimenticati nel profondo dell'animo. Una fortuita pallonata sul viso durante una partita di calcio, giocata nel mese di novembre del 1960, mi aveva provocato il distacco della retina con la complicanza di emorragie in entrambi gli occhi. Trascorsi circa otto mesi nel reparto oculistico dell'ospedale Sant'Orsola di Bologna, fra speranze e delusioni sull'esito delle terapie e dei necessari interventi chirurgici, sono tornato nella mia città di Pesaro, al compimento dei miei 18 anni, con la sola percezione della luce e un profondo stato depressivo. La cecità, che già conoscevo, in quanto mio fratello di 6 anni più grande era cieco dalla nascita, per un glaucoma infantile, ha evidenziato in me, inattesi problemi. La normalità, che caratterizzava la sua convivenza con la cecità, mi induceva a credere di non possedere la stessa capacita di affrontare la mia nuova condizione. Provavo enorme disagio nel percepire che la mia angoscia per la perdita della vista, non fosse pienamente compresa da parte di mio fratello e dagli amici ciechi che conoscevo e frequentavo.
Considerando la mia nuova condizione, ormai identica alla loro, mi spronavano a seguire il loro esempio per costruirmi un futuro che io, invece, non ero nemmeno in grado di percepire possibile. La convinzione che la mia sofferenza non fosse compresa nemmeno da coloro che vivevano la cecità, mi aveva indotto ad interrompere anche la loro frequentazione e a rifugiarmi in uno stato di totale solitudine. La nostra comune condizione di cecità, che pur aveva effetti pratici identici, era vissuta molto diversamente sotto l'aspetto psicologico e di prospettiva. Mentre mio fratello, cieco dalla nascita, viveva con la curiosità di conoscere l'ambiente che lo circondava e il senso di ogni aspetto del vedere, io vivevo con angoscia la perdita di quel senso conosciuto. Mentre lui viveva valorizzando la sua attività lavorativa, il suo impegno politico e le relazioni umane e sociali, io vivevo in assoluta solitudine l'assenza di ogni prospettiva per il futuro pensando alla perdita dell'attività sportiva, del lavoro e degli amici. Mentre lui pensava e operava per costruirsi una famiglia e migliorare la propria esistenza, io meditavo come poter porre fine alla mia. Le mie frequentazioni sociali si erano pressoché azzerate, in quanto gli amici si trovavano al cospetto di una persona profondamente diversa da quella conosciuta, depressa, incapace di partecipare attivamente alla vita comune. Ogni progetto e ogni azione o divertimento nei quali cercavano di rendermi partecipe, mi apparivano inadeguati alla mia nuova condizione. La totale mancanza di autostima mi induceva a considerare forma pietistica ogni attenzione che mi veniva riservata. Le persone che frequentavano la famiglia mi riservavano espressioni compassionevoli, mettendo a confronto l'attuale triste e penosa condizione con quella precedente di promettente calciatore e di disegnatore di moda per calzature.
Era divenuta una consuetudine dovermi rifugiare nella mia camera in occasione di visite di parenti o amici di famiglia per evitare ogni possibile loro commento. Solo mia madre, ormai esperta in problemi di cecità e senza più lacrime da versare, sapeva arginare i commenti che potevano, anche involontariamente, ferire. Sapeva rassicurare tutti affermando che se il destino e il buon Dio hanno voluto quanto accaduto, significava che un futuro sarebbe esistito anche per me, come avvenuto per mio fratello, occupato come centralinista e in procinto di formarsi una propria famiglia. Il trascorrere del tempo ha contribuito ad attenuare il dolore più acuto e l'esempio rappresentato dal vivere di mio fratello e degli amici ciechi, che avevo ripreso a frequentare, ha gradualmente ricreato anche in me la speranza di un possibile percorso per una nuova esistenza. Quando sono riemerso dal profondo abisso della depressione e il pensiero positivo ha ricominciato ad illuminare la mente, ho iniziato ad accettare e ravvivare qualche sopita amicizia, con la consapevolezza di aver rifiutato ogni gesto di vera solidarietà ed anche di profondo amore che ingiustamente avevo valutato essere soltanto attenzioni pietistiche. Avevo già acquisito la consapevolezza che avrei dovuto convivere con la cecità affrontando le problematiche connesse, quando un giorno, le ombre che vedevo, cominciarono a divenire forme, che si arricchivano anche di sbiaditi tenui colori. Incerto fra sogno e realtà, ricordo di essere restato per alcuni giorni a fissare un preciso punto della finestra, cercando di individuare ulteriori segni di speranza.
Gradualmente ho recuperato, anche se da un solo occhio, un piccolissimo residuo visivo, che mi ha consentito di riprovare quella meraviglia del vedere che credevo definitivamente perduta. Nel momento della contentezza, confermato dal Prof. Caramazza dell'oftalmico S. Orsola di Bologna, che mi ha diagnosticato un modesto parziale riassorbimento dell'emorragia retinica, ho assunto con me stesso l'impegno che quel residuo visivo, anche se piccolo, sarebbe stato un patrimonio a disposizione di tutte le persone cieche e non solo mio. Con emozione ho gradualmente ripreso ad accompagnare mio fratello e gli altri amici ciechi, fra i quali, anche il Presidente dell'Unione di Pesaro, che mi ha rilasciato la prima tessera associativa.
Nel ricordo di mio fratello prematuramente scomparso, per molti anni, mi sono portato dentro molti sensi di colpa per aver compreso le sue difficoltà connesse alla cecità soltanto quando io stesso mi sono trovato a doverle vivere. Soltanto approfondendo l'argomento, con l'aiuto dell'amico prof. Mario Mazzeo, studioso delle problematiche dei ciechi, ho compreso con sollievo che da vedente non potevo disporre degli elementi necessari per compenetrarmi nella sua condizione. Ho altrettanto compreso, che mio fratello, non avendo mai visto, non possedeva elementi sufficienti per valutare le vere ragioni del tanto dolore che io provavo per aver perduto la vista. La triste condizione, i ricordi, le esperienze e le riflessioni riguardanti la mia persona, sono sicuramente particolari per alcuni aspetti e sul piano psicologico, ma nella pratica simili a quelle di molte persone cieche, che hanno costituito e costituiscono anima e corpo della nostra Associazione. Infatti, l'Unione, capace di comprendere le difficoltà e le esigenze di ciascuno, mi ha accolto, sostenuto e guidato per farmi conseguire obiettivi nuovi e possibili, compreso il posto di lavoro, rendendo la mia nuova esistenza dignitosa e positiva, tanto da poterla vivere con serenità.
All'Unione e alle persone, che con immenso spirito di solidarietà l'hanno fondata e guidata, riservo tutta la riconoscenza e la gratitudine per questa mia nuova vita che è stata attratta dai valori umani e sociali dell'Associazione, fino a confondersi positivamente nelle sue vicende e nella sua storia. Dal 1962 ho partecipato e vissuto ogni istante della vita Associativa, ricoprendo nel tempo incarichi ad ogni livello, fino alla Direzione Nazionale. Trasferendomi a Roma, ho potuto conoscere, apprezzare e collaborare con tutti i Presidenti e i dirigenti Nazionali che si sono succeduti nel tempo. La loro frequentazione mi ha consentito di conoscere, apprezzare e condividere i valori umani e sociali che hanno ispirato e sostenuto il loro solidale impegno per rappresentare con passione, forza e tanta dignità i diritti delle persone cieche. La fortuna mi ha davvero assistito, consentendomi di conoscere, di crescere e operare, guidato da persone di altissimo valore umano che hanno illuminato il percorso dell'Unione e il progresso sociale dei ciechi. Come in altri contesti sociali, anche nella vita associativa dell'Unione si sono sempre svolti approfonditi confronti sulle possibili soluzioni dei problemi da prospettare alle autorità di governo, sempre finalizzate al conseguimento di migliori condizioni di vita delle persone cieche, escluse dal contesto sociale e lavorativo. Consapevole del ruolo e dei diritti, mi sono trovato ad esprimere, nel contesto associativo, opinioni anche diverse da coloro che la rappresentavano, non tanto sugli obiettivi, ma soprattutto sulle priorità, sui tempi e sulle modalità delle azioni da intraprendere per conseguirli.
Ho partecipato attivamente, fin dal 1964, quando Presidente Nazionale era Paolo Bentivoglio, alla organizzazione e al coordinamento delle manifestazioni dei ciechi nelle piazze di Roma, anche non autorizzate dalle pubbliche autorità, per sensibilizzare l'opinione pubblica, i rappresentanti dei vari Governi e dei partiti politici, estremizzando le rivendicazioni, per favorire e consentire il più alto livello di mediazione al Presidente e alla Dirigenza Nazionale dell'Unione. Scomparso il Presidente Bentivoglio nel dicembre 1965, verso il quale mi sentivo di dover solo assecondare le sue disposizioni, le rivendicazioni e le manifestazioni continuarono con il Presidente Giuseppe Fucà che lo ha sostituito alla guida dell'Unione. La scelta di manifestare nelle piazze non era condivisa da tutti i dirigenti, alcuni la ritenevano disdicevole e perfino umiliante per i ciechi stessi, tanto da richiedere l'espulsione dei dirigenti del Lazio, quali promotori e organizzatori. Nel corso di una riunione del Consiglio Nazionale, nella quale venivo contestato per le esuberanti manifestazioni, il Presidente Fucà pose fine alle incomprensioni informando che i dirigenti nazionali dell'Unione per conseguire i positivi risultati concernenti l'indennità di accompagno, l'aumento della pensione e la soppressione dell'Opera Nazionale ciechi civili, si sono avvalsi anche delle non ufficialmente condivise, ma in privato sostenute, manifestazioni di piazza organizzate dai dirigenti locali, che hanno riscosso anche la solidarietà di altre componenti sociali. Nel 1978, dopo una serie di travagliate vicende connesse al ritorno dell'Unione ad essere nuovamente una Associazione privata, il Congresso nel riconfermare alla Presidenza Giuseppe Fucà, ha anche consentito di eleggere alla Vice presidenza l'avv. Roberto Kervin, cieco vittima civile di guerra, al quale va riconosciuto il merito di aver intuito e proposto la necessità di dover equiparare la indennità di accompagno dei ciechi civili a quella percepita dai ciechi per causa di guerra, in quanto anche se diversa era la causa della cecità, identico ne era il conseguente bisogno.
Tale equiparazione fu approvata dal Parlamento nel dicembre 1979, ma per renderla fruibile ai ciechi civili per la carenza dei finanziamenti, furono necessarie numerose manifestazioni di protesta che culminarono con quella organizzata il 22 ottobre 1982, con circa mille ciechi a Roma, davanti a palazzo Chigi, sede del Governo, durante la quale, insieme al Presidente dell'Unione di Latina e Frosinone, fui tratto in arresto e condotto nel carcere di Regina Coeli, fino all'arrivo del magistrato, che ci ha liberati nella tarda serata. Anche questa manifestazione, che ad alcuni di noi organizzatori ha comportato problemi sul piano personale, ha contribuito a far assicurare i necessari finanziamenti per l'effettiva equiparazione dell'indennità di accompagnamento. Nella vita associativa non sono mancati dissapori e contrasti sulle cose da fare e su ruoli da attribuire, che in alcune circostanze hanno inciso profondamente e negativamente anche sui rapporti personali. Ho partecipato attivamente alla vita associativa, nel proporre, nel fare, ma anche nel subire, come ho subito, un provvedimento di espulsione dall'associazione, ritenuto ingiusto dalla totalità dei soci della mia Sezione e anche dal Tribunale di Roma.
Il tempo e la vicinanza delle tante persone che con me avevano condiviso azioni e obiettivi hanno mitigato le amare delusioni. Il saldo convincimento che il primario ruolo dell'Unione non potesse essere oscurato e mitigato nemmeno dai comportamenti errati dei suoi dirigenti, ha accompagnato me e molti altri ciechi anche nella migrazione in altre associazioni. Dopo 16 anni, fortemente sollecitato dai comuni amici, Franco Valerio e Giovanni D'Alessandro, è avvenuto il positivo incontro con il Presidente Nazionale Tommaso Daniele, che ha sancito la nostra riconciliazione, ponendo fine ad ogni possibile recriminazione e il mio ritorno, insieme a molti amici ciechi, alla vita associativa nell'Unione. Un momento veramente importante ed emozionante sul piano umano, quello della riconciliazione fra persone che si erano fortemente contrapposte e che con umiltà hanno convenuto di dover rivolgere ogni loro pensiero al futuro dell'Associazione. Il ruolo dell'Unione è stato di fondamentale importanza per il progresso umano sociale e culturale dei ciechi italiani. Ha consentito loro di conseguire nel tempo molti obiettivi nei vari settori: pensione, indennità di accompagnamento, lavoro, istruzione ecc. L'impegno attuale è volto a conservare quanto acquisito, a programmare il raggiungimento di nuovi obiettivi e nuovi diritti, rispondenti alle mutate esigenze e condizioni delle persone cieche e ipovedenti. La cecità, attualmente, colpisce in prevalenza le persone adulte, le quali possono usufruire del sostegno economico, pensione e indennità di accompagno, ma ancora non dispongono del necessario sostegno psicologico e pratico per fronteggiare la loro nuova condizione.
Penso con profondo dispiacere che ognuna di queste persone, ancora oggi, è costretta a vivere la stessa difficile e infelice condizione che ho vissuto io in tempi lontani. Nel corso del mio impegno associativo, l'attività di «Consulenza alla pari» ha assorbito molto del mio tempo. Ricorrendo a questa positiva esperienza umana, e nel corso dell'attuale impegno, rilevo situazioni di persone che riescono in pochi mesi e con pochi incontri a ritrovare in loro stessi le necessarie risorse per ricostruire una nuova esistenza, ma rilevo anche la situazione di persone più fragili, sconvolte dal tragico evento nel quale sono incorse, che vivono la nuova condizione nello sconforto e nella profonda depressione. Alcune, soltanto dopo vari incontri percepiscono che il Consulente alla pari è persona amica che comprende e condivide il loro stato emotivo, al quale possono aprirsi per confidare anche i loro pensieri più nascosti. Può anche accadere che alcuni confessino anche di aver pensato al suicidio nei momenti di maggior disperazione, trovando sollievo nel sapere che tale pensiero affiora nella mente anche di altre persone che vivono la loro stessa condizione.
Qualche volta è accaduto che anch'io avessi confessato di averlo pensato, senza però riuscire ad essere sincero fino in fondo, in quanto ho sempre tentato di sfuggire al triste ricordo di quel giorno, che giunto sul ponte della Via Adriatica, che sovrasta la ferrovia, ho trovato la persona a me più cara che avendo intuito l'intenzione del folle gesto, mi ha ricondotto a casa. Una triste vicenda sepolta dal complice e più assoluto riserbo, un segreto, che non so con quanto dolore, mia madre si è portata fino alla fine dei suoi giorni. Ripercorrendo come in un film la mia esistenza credo che la colonna sonora possa essere attribuita di diritto al brano: «Meraviglioso», che sembra far riferimento alla mia personale vicenda. Modugno ha lanciato quel brano nel lontano 1968, proprio in coincidenza con il mio matrimonio con Giovanna, che ci ha regalato due figli, 5 nipoti e due piccoli pronipoti, ai quali è affidata la nostra proiezione nel futuro. Penso di dover riservare tutto il mio tempo e il mio bene ai più piccoli della famiglia per compensarli del minor tempo che mi resta da riservare loro.
Genera in me forti emozioni l'ascolto di quel brano, che mi ripropone il ricordo di un momento disperato ma anche il ricordo di una persona speciale che con quella sua puntuale presenza ha reso possibile il mio sereno cammino verso un mondo che si è rilevato davvero meraviglioso. Il desiderio di ricondurre al pensiero positivo persone che vivono la sofferenza della cecità, è stato un impegno che ha accompagnato la mia esistenza. Operando a contatto con queste persone ho potuto costatare che lo strumento della Consulenza alla pari è molto efficace.
Il Consulente alla pari risulta efficace soprattutto nel promuovere il primo contatto di relazione e informazione con la persona che ha acquisito il deficit visivo al quale, quando necessario, può far seguito quello con lo Psicologo con specifiche competenze sulla disabilita visiva. La consulenza e l'informazione può essere estesa anche al contesto famigliare quando manifesta difficoltà nell'affrontare le problematiche connesse alla nuova situazione. Il Consulente alla pari non offre soluzioni ma induce la persona consultata a ritrovare in se stessa le risorse per ridefinire la propria esistenza. Credo che la Consulenza alla pari per la sua sperimentata validità, se estesa presso le strutture associative, potrebbe divenire anche una riconosciuta professione per giovani e meno giovani ciechi e ipovedenti. I Consulenti alla pari risultano essere anche Dirigenti dell'Unione più motivati, più competenti e consapevoli di dover corrispondere a nuove problematiche associative. Nonostante il mio doloroso ritorno alla cecità totale e la mia avanzata età, mi sento profondamente e doverosamente impegnato affinché l'Unione di oggi e di domani possa programmare anche attività e interventi diretti alle problematiche delle persone che perdono la vista in età adulta, che rappresentano circa l'80% dei ciechi totali e parziali.
All'Unione, che rappresenta e tutela tutte le persone con disabilità visiva, compete il difficile compito di adeguare le proprie strutture e formare i dirigenti alle nuove e più complesse problematiche tenendo conto che coloro che perdono la vista, molto spesso, si auto-condannano a quell'isolamento che solo i consulenti alla pari hanno le maggiori probabilità di rimuovere. L'Unione dovrà promuovere e organizzare le modalità per informarle circa le loro possibilità e i loro diritti. Diffondere e donare loro almeno la prima tessera associativa, accompagnata da una semplice informativa sulle finalità dell'Unione, quale simbolo di accoglienza e appartenenza alla nostra comunità, potrebbe rappresentare uno dei momenti più significativi del ruolo della nostra Associazione. L'Unione, fin dalla sua fondazione, ha sempre operato con generosità per raggiungere e offrire solidarietà a coloro che non la conoscevano e che non possedevano alcun punto di riferimento. Su coloro che fortunati come me, sostenuti dall'Unione hanno conseguito autonomia, soddisfacenti condizioni economiche, sociali e culturali, ricade la responsabilità di offrire il loro impegno per riorganizzarla, adeguandola alla nuova e più complessa realtà sociale.
All'Unione, che ha portato con sé i miei 60 anni di cecità, in occasione del suo «centenario», venendo meno anche al riserbo delle cose più private e mai confessate, affido, nel giorno del mio 77o compleanno, le emozioni e i ricordi personali di una vita costituita da grandi speranze deluse, da immensi dolori, da grandi speranze rinate, da sicurezze conseguite, da serenità ed anche da momenti di vera felicità. Per questa vita intensa, sorprendente, appagante e bella per essere vissuta con dignità, un immenso e vero grazie lo riservo alle tante persone cieche che con alto senso di umana solidarietà, illuminato e coinvolgente impegno sociale hanno, nel tempo, assicurato e assicurano l'esistenza della nostra Associazione.