Numero 14 del 2020
Titolo: Famiglia e lavoro. Perché è così dura fare tutto?
Autore: a cura di Gaia Giorgetti
Articolo:
(da «F» n. 27 del 2020)
La maternità è la prima causa di discriminazione. Nel 2019 quasi 40 mila neomamme hanno dato le dimissioni: non riuscivano a conciliare vita privata e professionale. Tutti parlano di parità, ma ogni anno le cose peggiorano. Che cosa serve per invertire la rotta?
Posti negli asili nido, assunzioni. È il momento di agire
Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale Istat e componente della task force guidata da Vittorio Colao
«Le politiche sulla parità, insieme alla rivoluzione verde e alla digitalizzazione, sono uno degli assi strategici per rilanciare l'Italia».
D. La Commissione Colao ha messo le donne al centro. Lavorate a qualche progetto?
R. A molti e sono tutte proposte concrete. Garantire posti negli asili nido al 60 per cento dei bimbi permetterebbe a 100 mila donne di tenersi il lavoro. Puntiamo anche a potenziare i congedi di paternità e sviluppare l'occupazione: il Covid ha evidenziato le carenze di personale nella Sanità, se ci avvicinassimo agli standard tedeschi dovremmo assumere un milione e 700 mila addetti, il 70 per cento donne. La misura porterebbe un milione e 200 mila assunzioni.
D. Il part-time ci aiuta e funziona?
R. È accaduto un paradosso: le donne che non lo vogliono sono costrette a farlo, soprattutto ora che la crisi ha aumentato il ricorso a questa misura per ridurre i costi. Le lavoratrici che ne avrebbero bisogno non riescono a ottenerlo.
D. Smart working e altre forme di flessibilità servono?
R. Bisogna incentivare tutti gli strumenti, ma non basta aumentare di qualche ora il congedo parentale per dire che stiamo facendo politiche di parità. La questione è strategica e può essere affrontata in modo efficace solo con un grande impegno di risorse, che non deve prescindere da un cambio di passo fondamentale: i posti di potere non possono essere occupati solo dagli uomini. Dobbiamo esserci anche noi donne, in presenza massiccia, alla pari.
Incentiviamo le donne a rientrare in azienda dopo la maternità
Paola Profeta, professoressa di Scienza delle Finanze alla Bocconi e componente della task force sulla disparità di genere del ministero della Famiglia.
«Per molte donne dimettersi diventa una scelta obbligata: gli asili nido non ci sono o costano troppo, spesso conviene rinunciare a uno stipendio, quasi sempre quello della madre, perché gli uomini guadagnano di più».
D. Quali fattori pesano?
R. Mancano i servizi, gli aiuti e il sostegno economico. Ma anche la cultura diffusa è intrisa di stereotipi. Nelle aziende le qualità delle donne vengono poco valorizzate, soprattutto quando affrontano la maternità, che viene considerata un ostacolo. In Italia è naturale che una donna debba sacrificare il ruolo professionale per la famiglia. Un pregiudizio che alimenta anche lo scarso coinvolgimento dei padri nei ruoli di accudimento: il 73 per cento delle donne, anche se lavora, non può contare su alcuna collaborazione in famiglia.
D. È anche una questione di scelte politiche?
R. Le italiane lavorano meno rispetto alla media europea, eppure fanno pochi bambini. Significa che denatalità e disoccupazione sono fenomeni connessi, legati alla carenza di politiche efficaci.
D. Cosa bisogna fare?
R. Come task force abbiamo avanzato varie proposte, per esempio un incentivo per le neomamme che scelgono di rientrare al lavoro prima dello scadere del congedo. Oggi, al contrario, viene protetto il rapporto madre-figlio, incentivando le madri a stare per un tempo lungo a casa. Abbiamo poi proposto assegni e sgravi fiscali per figli, oltre agli asili nido gratuiti.
a cura di Gaia Giorgetti