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Kaleîdos

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Numero 13 del 2020

Titolo: La storia delle donne, discriminate, che ci hanno portato sulla Luna

Autore: Antonio Piazzolla


Articolo:
(da «Huffingtonpost» giugno 2020)
Forse in pochi sanno che «quel piccolo passo per un uomo» è stato possibile grazie al lavoro di tante donne, quasi mai menzionate.
Il contributo delle quote rose nel programma Apollo fu considerevole al punto tale che, probabilmente, senza di loro l'impresa non sarebbe stata possibile o, quanto meno, ci avremmo impiegato molto più tempo del previsto. Eppure le donne che hanno lavorato al programma lunare non sono quasi menzionate, a eccezione di Margaret Hamilton, la cui storia è stata ripresa più volte dopo che Barack Obama l'ha insignita, nel 2016, della medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile degli Stati Uniti, concessa a chi ha contribuito alla sicurezza, agli interessi, alla pace o alla cultura nel Paese.
La Hamilton, oggi 83enne, è una programmatrice del Mit che fu alla guida dell'equipe di scienziati che svilupparono il software di bordo, essenziale per la buona riuscita del programma Apollo: proprio in quegli anni lo sviluppo di software di questo tipo veniva assegnato alle donne perché si riteneva fosse una specializzazione di «minore importanza». Un lavoro preciso, affidabile e meticoloso, tutt'altro che di minor importanze perché senza di esso, molto probabilmente, nessun uomo sarebbe riuscito a mettere piede sul suolo lunare.
La Hamilton, inoltre, risolse un problema non indifferente: nelle simulazioni infatti, a pochi minuti dal touchdown del lander, diversi allarmi si azionavano a causa dell'attivazione del radar per il rientro del Lem sul modulo di comando: un errore che rischiava, in primis di sovraccaricare il computer di bordo andando poi a compromettere l'atterraggio e in secondo luogo deconcentrando gli astronauti impegnati nella discesa sulla Luna.
La programmatrice però aveva previsto l'eventualità che si verificasse un sovraccarico per conflitto di informazioni e così mise a punto il suo software affinché venissero accantonate tutte quelle funzioni non necessarie, prendendo in esame i compiti in base alla priorità. Un software talmente ben riuscito e privo di bug che venne riadattato molti anni più tardi quando lo si applicò sullo Skylab, la prima stazione spaziale degli Stati Uniti e per il programma Space Shuttle.
Ma sebbene la storia di Margaret Hamilton sia stata ben diffusa negli ultimi anni, grazie anche e soprattutto a quella fetta nerd del web e a una foto che la vede in posa davanti a una pila di fogli (quelli impiegati per scrivere all'epoca l'intero codice del software), meno fortuna hanno avuto tre donne afroamericane, nonostante il film «Il diritto di contare» (2016) che vede protagonista principalmente una delle tre (la Johnson), mentre le altre fanno da cornice: il lavoro di queste donne però fu fondamentale quanto quello della programmatrice del Mit. Se non di più.
È la storia di tre brillanti matematiche, Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson. La Johnson, che lo scorso agosto ha compiuto 101 anni, calcolò le traiettorie di volo delle capsule spaziali; la Vaughan invece, scomparsa nel 2008 all'età di 98 anni, si occupò della programmazione e dei linguaggi dei primi computer installati alla Naca, nome originario dell'ente di ricerca spaziale americano diventato poi Nasa nel 1958. E per finire la Jackson, specializzata in ingegneria spaziale e scomparsa nel 2005 all'età di 83 anni, si occupò dei test di volo delle capsule spaziali condotti nelle gallerie del vento.
Le tre donne, tutte laureatesi nelle migliori università degli Stati Uniti per persone di colore, furono assunte al Langley Research Center di Hampton, in Virginia, principalmente per la carenza di personale maschile dovuta alla Seconda guerra mondiale ma anche per poter contare su ogni aiuto possibile per superare i sovietici nella conquista dello spazio.
Non erano bei tempi per le persone di colore e, pur svolgendo gli stessi compiti dei colleghi bianchi, le tre donne vennero confinate in uffici separati e subivano tutte quelle discriminazioni imposte dalle leggi vigenti come i tavoli riservati in mensa, l'impossibilità di ottenere promozioni e un bagno differente rispetto a quello usato dagli altri colleghi.
Eppure è anche e soprattutto per merito loro che si è realizzato il sogno americano; al di là del lavoro «indiretto» ma fondamentale della Vaughan e della Jackson, fu la Johnson a giocare un ruolo chiave nella missione Apollo 11: a lei si devono i calcoli delle finestre di lancio per tutte le missioni e della traiettoria di volo della capsula Freedont 7 con a bordo Alan Shepard, il primo americano nello spazio nel 1961.
La sua reputazione aumentò grazie all'estrema precisione e per questo motivo, nel 1962, la Nasa decise di convocarla per il calcolo dell'orbita intorno alla Terra di John Glenn. Dato il successo, fu scelta qualche anno più tardi, per calcolare la traiettoria dell'Apollo 11, che avrebbe portato Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla Luna, nel 1969. Insomma, è anche ora che la Luna si tinga un po' di rosa, riconoscendo il lavoro immenso fatto da queste donne.
Antonio Piazzolla



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