Numero 13 del 2020
Titolo: Bisogna parlarne
Autore: Antonio Russo
Articolo:
Qualche anno fa, quando le tensioni per il sociale erano alte e veniva messa in discussione l'essenza stessa dell'assistenza a tutti i disabili, si parlava di abolire l'indennità di accompagnamento; da queste pagine, con l'amico Flavio Vezzosi, fu posto all'attenzione di tutti un aspetto rilevante del problema: i disabili non sono fonte di reddito, non producono lavoro, non creano le condizioni economiche che permettono alle imprese industriali di portare denaro alla collettività a vario titolo; ma sono fruitori di servizi che lo Stato deve garantire loro per assicurare a tutti una vita dignitosa.
Si è parlato di terzo settore, di volontariato, di famiglie in difficoltà, di singoli disabili, che anche vivendo da soli devono gestirsi l'esistenza con l'aiuto di qualcuno. Il discorso fu ripreso da tanti organi di informazione con l'affermazione definitiva che le indennità di accompagnamento ci garantiscono una base economica per superare la disabilità a livello pratico sotto ogni profilo, umano, sociale ed assistenziale, per ribadire che il diritto all'assistenza è legato agli aspetti generali del vivere che coinvolgono chi è in evidente disagio vitale: disabili sensoriali, non vedenti, sordi, sordociechi, e disabili psichici che trovano nella famiglia il miglior supporto per affermare se stessi.
Il clima in quegli anni era caldo, e nelle polemiche si discusse di un fatto che oggi è assai ricorrente: ci sono disabili che vivono da soli, per scelta consapevole, e che per poter andare avanti richiedono servizi assistenziali alle pubbliche strutture, ad esempio io come sordocieco ho richiesto all'Inps una persona che in casa mi aiuti a gestire la vita domestica, bene, la collaborazione domestica viene remunerata con il sostegno che lo Stato mi dà, ma a parte il quotidiano, mangiare, sistemare, passeggiare e curarsi, io necessito di una persona che possa comunicare con me in modo veloce con tutto quello che ne consegue, occorre per questo insegnare a chi mi assiste il sistema Malossi adatto allo scopo: io l'ho fatto e proficuamente si va avanti. Ma se chi mi assiste volesse interrompere il suo rapporto di assistenza con me, io dovrei onorare la rescissione del contratto di lavoro con adeguato compenso economico e non avendo quasi famiglia, e come detto, gestendomi da solo la vita, con le scarse risorse che ci sono destinate la questione diventa un serio problema... pur avendo versato in questo periodo all'Ente erogatore del servizio i contributi economici.
Si auspicherebbe che questi aspetti legati alla praticità dell'interpretazione della legge fossero considerati con un adeguato riscontro nelle modalità di applicazione di essa; in termini semplici: alla fine di tutto bisogna dare la liquidazione in denaro a chi ci assiste, e non producendo reddito e avendo pagato normalmente chi lo fa, in che modo viene considerata la mia e la altrui disabilità dal legislatore che in ogni caso ne dovrebbe tener conto? La domanda è attuale in periodo di coronavirus e lo sarà in un futuro prossimo quando la povertà di base coinvolgerà una più ampia fascia di persone nel nostro Paese. Il problema va affrontato con strategie adeguate, per noi sordociechi la questione è resa complessa perché necessitiamo di servizi specifici per comunicare e di ausili tecnologici che oggi costano a livello di mercato molto in denaro, e che non sono sempre garantiti da chi li dovrebbe fornire.
A voi le riflessioni e grazie per l'attenzione.
Antonio Russo