Numero 11 del 2020
Titolo: Facciamoci accettare
Autore: Antonio Russo
Articolo:
Penso sempre che occorra andare oltre il nostro essere per capirlo completamente: potrei parlare della mia vita immersa nel continuo disagio, fatta di rinunce, di tante delusioni e di qualche luce gioiosa che mi ha aiutato ad arrivare fino a qui. Eppure quando si discute del vivere, spesso mi trovo a confrontarmi con una realtà di persone che nel disagio trovano la negazione di ogni forma di civile accettazione del diverso quale essenza pratica del sociale.
In termini semplici: il disabile anche grave fa da supporto a chi dalla vita ha ricevuto tanti doni per misurarsi con se stesso anche con una disabilità complessa come la mia. Se oggi posso dirlo è perché ieri non avrei immaginato di parlarvi di un destino tragico che con la cecità ha trovato nel sordo silenzio il senso unico per esporre la sua presenza inevitabile. La pratica inevitabile della vita è il desiderio comune della cosiddetta normalità. Quando persi l'udito non riuscivo ad accettarmi, era come dire che dopo qualche settimana il tutto sarebbe passato e nella normale cadenza del tempo e dello spazio mi sarei ritrovato a sentire e non vedere il mondo: ora sono trent'anni, ma allora definirmi sordo gravava pesantemente sulla mia cecità che non riusciva a superare il problema della comunicazione immediata con gli altri. A parte lo smarrimento iniziale mio e della mia famiglia, mi feci una domanda: se altri ci hanno provato posso farlo pure io. Con il Braille che conoscevo e di carta in carta con tavoletta e punteruolo mi fu ricostruita la realtà di vita di tutti, fatalmente persa nel disagio e nel tempo. Poi vanne il Malossi per parlarci meglio, con la trepidante tecnologia che ora sembra il logico approccio al futuro per qualsiasi disabilità; per farsi un'idea di come gli altri considerino la sordocecità, basti citare un commento quasi anonimo alla mia condizione di allora: «se fossi Antonio basterebbe una pistola per farla finita», e invece sono ancora qua.
Cari tutti, è un problema culturale, è una questione di elevata sensibilità quella che ci richiama al diritto-dovere della nostra libertà, vista e sentita come uno sforzo creativo per affermare il noi con la nostra identità, in questo periodo complesso ho trovato possibile il parlare ad altri, a volte una forma semplice adattata ad un dire schietto e facile e anche a distanza, pensate alla rete telematica, la spinta giusta che incoraggia a proseguire. Mi sono sempre confrontato così col mio prossimo e questo modo di fare mi ha stimolato tantissimo per andare proficuamente avanti: grazie.
Antonio Russo